Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24086 del 07/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 07/09/2021, (ud. 31/03/2021, dep. 07/09/2021), n.24086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19182-2020 proposto da:

K.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 68,

presso lo studio dell’avvocato LUCA ZANACCHI, rappresentato e difeso

dall’avvocato FEDERICA MONTANARI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 10/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 02/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 31/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA

MELONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Bologna con sentenza in data 2/1/2020, ha confermato la sentenza del Tribunale di Bologna in ordine alle istanze avanzate da K.K. nato in Senegal il (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese per timore di essere denunciato ed arrestato perché, mentre stava pascolando le pecore, una banda di guerriglieri aveva rubato sei capi di bestiame e lui non aveva i soldi per risarcire il proprietario degli animali. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a 4 motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ed art. 5, per aver ritenuto non credibile il ricorrente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Col secondo motivo, denunziando la violazione o falsa applicazione di distinte norme (art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14 e 17, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, t.u. imm., artt. 5 e 19, Convenzione di Ginevra sui rifugiati, art. 33, D.Lgs. n. 286 del 98, art. 5, comma 6, e art. 19; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. A), B), C)), il ricorrente si duole della valutazione offerta dal tribunale a proposito della non credibilità dei fatti narrati.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1988, art. 5, comma 6, riguardo alla mancata concessione della protezione per motivi umanitari a causa delle violenze subite in Libia in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3, e art. 5 c.p.c..

Col quarto motivo denunzia omesso esame di un fatto decisivo e la violazione o falsa applicazione degli artt. 2,32 e 35 Cost., in punto di protezione umanitaria anche per l’omesso esame dei presupposti della domanda.

Il ricorso è inammissibile.

In ordine al primo e secondo mezzo è risolutivo che la Corte di Appello, ha considerato nel complesso inattendibili le sue dichiarazioni in ordine al presupposto timore di subire ritorsioni in patria; ciò ha fatto tenendo in considerazione non solo la genericità e la scarsa logicità delle dichiarazioni rese ma elencando i motivi a pag. 3 e 4 della sentenza.

A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al citato D.Lgs., art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età.

Esclusa la genuinità del racconto, la Corte di merito non aveva alcun motivo per riconoscere al ricorrente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria di cui D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, prime due lettere. Infatti qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. tra molte: Cass. n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre.

Infatti riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e lett. b), è necessario invece osservare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503): il che, nel caso in esame va negato proprio in ragione della mancanza di riscontri quanto a una vicenda personale che conferisca specificità e concretezza a un tale rischio.

L’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), che si configura anche in mancanza di un diretto coinvolgimento individuale dello straniero nella situazione di pericolo, è stata, poi, motivatamente esclusa dalla Corte distrettuale, la quale, ha appurato che il paese di provenienza dell’odierno istante non è teatro di un “conflitto diffuso” e di una “violenza generalizzata” anche perché incluso tra i paesi sicuri alla luce del D.I. 4 ottobre 2019: Tale apprezzamento, che sfugge al sindacato di legittimità, porta ovviamente a disconoscere che nel presente giudizio di cassazione si possa far questione della “minaccia, grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armalo interno o internazionale”.

Il terzo motivo è generico, a fronte della motivata affermazione della Corte per cui non erano state dal ricorrente dedotte specifiche conseguenze psicofisiche derivanti dalla permanenza in Libia, tali da assumere rilevanza sul piano del giudizio di vulnerabilità personale ai fini della protezione umanitaria.

Con riguardo poi alle violenze subite nel paese di transito prima dell’arrivo in Italia, ossia in Libia, si deve ribadire che “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perché l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese”(Cass. 15 maggio 2019, n. 13096; 6 dicembre 2018, n. 31676; 20 novembre 2018, n. 29875).

In ordine al quarto motivo sulla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria il motivo si rileva inammissibile in quanto censura l’accertamento di merito compiuto dalla Corte in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente: il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dalla Corte (in sé evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato considerato che la condizione di vulnerabilità deve essere sempre correlata a elementi legati alla vicenda personale del richiedente, apprezzata nella sua individualità e concretezza (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo e dell’avvenuta integrazione dello straniero in Italia esso può essere valorizzato non come fattore esclusivo bensì come presupposto della protezione umanitaria e come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa alla luce della valutazione comparativa espressa dal giudice di merito con esaustiva indagine circa le condizioni descritte dello straniero con riguardo al suo paese di origine ed all’integrazione in Italia acquisita, valutazione in sé evidentemente non rivalutabile in questa sede. La Corte di merito infatti ha accertato che non sussiste una specifica situazione di effettiva, stabile e significativa integrazione raggiunta in Italia non essendo sufficiente a tale scopo lo svolgimento di attività a tempo determinato e la frequenza di una scuola.

Per quanto sopra il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva del Ministero.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1/sesta sezione della Corte di Cassazione, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021

 

 

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