Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2408 del 29/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 29/01/2019, (ud. 23/10/2018, dep. 29/01/2019), n.2408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10123-2011 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO

301, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO MILITERNI, rappresentato

e difeso dagli avvocati. ADOLFO NAPOLETANI, MICHELE ALFREDO PAESE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 32/2010 della COMM. TRIB. REG. della CALABRIA,

depositata il 02/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/10/2018 dal Consigliere Dott. SAIJA SALVATORE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate di Cosenza – in forza di due p.v.c. emessi dalla G.d.F. di Catanzaro a seguito di verifiche sui conti correnti bancari e postali dell’avv. B.A. – gli notificò tre distinti avvisi di accertamento per gli anni 1998, 1999 e 2000, recuperando a tassazione maggiori compensi professionali non dichiarati e contestandogli acquisti in evasione d’imposta. Proposti altrettanti ricorsi dal contribuente, la C.T.P. di Cosenza – previa riunione degli stessi – li rigettò con sentenza del 28.6.2007. La C.T.R. di Catanzaro, con sentenza del 2.3.2010, accolse parzialmente l’appello del contribuente, rideterminando in diminuzione i ricavi per ciascun anno e confermando nel resto la decisione impugnata.

B.A. ricorre ora per cassazione, sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorrente si duole del fatto che la C.T.R., muovendo l’esame dalle sole memorie da lui prodotte in appello in data 10.9.2009, anzichè dal gravame, abbia sorvolato sui motivi fondanti l’impugnativa, senza considerare adeguatamente la documentazione concernente la richiesta di autorizzazione di utilizzo a fini fiscali avanzata al Procuratore della Repubblica di Cosenza nel procedimento penale n. 1171/1999 R.G. da parte della G.d.F., e senza tener conto che esso ricorrente non era soggetto indagato in detto procedimento. Secondo il ricorrente, se la C.T.R. avesse esaminato i documenti (tra cui l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, che come detto non lo riguardava), avrebbe dovuto rilevare che non esistevano i presupposti per procedere alla verifica e ai successivi accertamenti bancari. La C.T.R., dunque, non avrebbe precisato i motivi che l’hanno indotta a non valutare i presupposti che hanno originato la verifica, con conseguente nullità della sentenza.

1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia ancora omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo il ricorrente, la C.T.R. non ha tenuto in alcuna considerazione la circostanza che sui medesimi p.v.c. alla base degli accertamenti impugnati, anche se in relazione ad annualità diverse (dal 1994 al 1997), erano intervenute due sentenze emesse dalla C.T.P. di Cosenza e passate in giudicato per mancata impugnazione da parte dell’Agenzia, sentenze con cui erano stati totalmente accolti i rilievi di esso ricorrente. La C.T.R., sul punto, non ha sufficientemente ed analiticamente motivato sulla sussistenza dei giudicato esterno, sebbene riferito a periodi di imposta diversi.

1.3 – Col terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, nonchè della L. n. 212 del 2000. Si censura la decisione impugnata perchè tutte le operazioni compiute dagli accertatori erano da considerare legittime, in quanto non precedute dalla necessaria autorizzazione prescritta dalla normativa in rubrica per l’utilizzo ai fini fiscali, con conseguente invalidità derivata degli avvisi di accertamento impugnati.

1.4 – Col quarto motivo, infine, si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 442 del 1997, artt. 1,2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La C.T.R. ha accertato che nel 1997 esso ricorrente aveva optato, sebbene non fosse tenuto, per la contabilità ordinaria, senza tuttavia rispettarne gli adempimenti e senza aver revocato formalmente l’opzione, che una volta manifestata doveva comunque essere mantenuta ferma per almeno tre anni. Osserva il ricorrente che, pertanto, è stata violata la normativa in rubrica, che valorizza l’effettiva della scelta del regime fiscale, da desumersi anche da comportamenti concludenti.

2.1 – Il primo e il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente stante la connessione, sono inammissibili.

Ciò deriva non tanto dal profilo sollevato dalla controricorrente – ossia per la contemporanea presenza, nella censura, del preteso triplice vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – giacchè la giurisprudenza richiamata sul punto dall’Agenzia (Cass. n. 5471/2008) è propria del periodo in cui vigeva l’art. 366-bis c.p.c., con conseguente necessità di formulazione dei quesiti (peraltro, pure inammissibilmente proposti dallo stesso B.), quanto piuttosto perchè il ricorrente lamenta confusamente una non corretta valutazione, da parte del giudice d’appello, della documentazione a sostegno delle proprie tesi, anzichè il vizio motivazionale in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

E’ noto, infatti, che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate” (Cass. n. 21152/2014).

Nella specie, le pretese circostanze di fatto su cui ricadrebbe il vizio motivazionale sarebbero a) l’inesistenza dell’autorizzazione della Procura della Repubblica nei confronti di esso ricorrente, nonchè b) il giudicato esterno. Si tratta, a ben vedere, non di “fatti”, ma di “questioni”, tanto più che, riguardo all’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, il ricorrente ha (opportunamente) proposto il terzo motivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e che, con riferimento al giudicato esterno, non si indicano neanche gli estremi identificativi delle sentenze, nè dove e quando esse siano state prodotte, con ulteriore inammissibilità della censura per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

3.1 – Il terzo motivo è infondato.

Il mezzo muove dall’assunto che l’autorizzazione resa dal Procuratore della Repubblica di Cosenza, su istanza della Guardia di Finanza, circa l’utilizzo a fini fiscali della documentazione acquisita nel procedimento penale iscritto al N. 1171/1999 R.G. non spieghi alcun effetto nei confronti del ricorrente, perchè egli non era soggetto indagato in quel procedimento.

In realtà, è stato condivisibilmente affermato che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 3, per la trasmissione, agli uffici delle imposte, di documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancata produzione o riproduzione testuale della suddetta autorizzazione, di cui siano indicati gli estremi, non determina in alcun modo la nullità dell’accertamento e ciò neppure nel caso in cui l’attività di polizia giudiziaria riguardi soggetti diversi dal contribuente, anche considerato che la L. n. 413 del 1991, art. 18, comma 1, eliminando dal suddetto art. 33, comma 3, le parole “nei confronti dell’imputato”, ha reso irrilevante la circostanza che l’indagine penale si sia svolta nei confronti del contribuente o di altro soggetto” (Cass. n. 7279/2009).

Pertanto, la censura (che si basa sulla pretesa inutilizzabilità dei documenti per estraneità del B. all’indagine penale, o se si preferisce alla sola utilizzabilità dei documenti nei confronti degli indagati in quel procedimento) dev’essere disattesa, proprio perchè detta autorizzazione ha finalità di tutela della riservatezza delle indagini e non è posta a tutela nè dell’indagato, nè di terzi estranei al procedimento. Pertanto, i documenti acquisiti nel corso di un procedimento penale ben possono essere utilizzati dalla G.d.F., una volta acquisita l’autorizzazione dal Procuratore della Repubblica, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 33, anche nei confronti di soggetti diversi dallo stesso indagato.

4.1 – Il quarto motivo è inammissibile.

Infatti, il ricorrente sebbene il giudice d’appello abbia riconosciuto parzialmente le sue ragioni mediante esclusione dall’imponibile delle operazioni non inerenti all’attività professionale – non si cura di spiegare in cosa debba individuarsi il pregiudizio da lui patito in relazione all’affermazione della C.T.R. circa l’applicabilità del regime ordinario (anzichè semplificato) della contabilità per effetto della sua opzione. Risulta quindi assai problematico non solo individuare uno specifico interesse all’impugnazione, ex art. 100 c.p.c., ma anche riscontrare l’idoneità e sufficienza dell’esposizione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè da nessun passaggio del ricorso può desumersi quando la questione del valore concludente della tenuta della contabilità in forma semplificata sia stata introdotta nel giudizio, nè attraverso quali passaggi logico-giuridici essa possa considerarsi decisiva rispetto alla posizione del ricorrente.

5.1 – E’ appena il caso di precisare che le questioni sollevate con la memoria notificata dal ricorrente in data 10.3.2016 e successivamente depositata in cancelleria sono inammissibili per novità.

Con detta memoria, infatti, si invoca l’applicazione al caso che occupa della pronuncia con cui la Corte costituzionale (sent. n. 228/2014) ha dichiarato l’illegittimità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, nella parte in cui prevedeva che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo fossero destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta fosse produttivo di un reddito.

Tuttavia, è noto che “Gli effetti di una pronuncia di illegittimità costituzionale, sopravvenuta in corso di causa, non possono essere dedotti per la prima volta con la memoria difensiva per il giudizio di cassazione, depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., allorquando riguardino una questione non proposta con i motivi di ricorso, atteso che in detto giudizio l’individuazione delle censure avviene attraverso i motivi contenuti nel ricorso e sulla base di questi” (Cass. n. 12962/2005). Ancor più di recente, e avuto riguardo sul piano generale al problema della norma sopravvenuta, è stato poi ulteriormente precisato che “Nel giudizio di legittimità, lo ius superveniens, che introduca una nuova disciplina del rapporto controverso, può trovare di regola applicazione solo alla duplice condizione che, da un lato, la sopravvenienza sia posteriore alla proposizione dei ricorso per cassazione, e ciò perchè, in tale ipotesi, il ricorrente non ha potuto tener conto dei mutamenti operatisi successivamente nei presupposti legali che condizionano la disciplina dei singoli casi concreti; e, dall’altro lato, la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell’ordinamento in materia di processo per cassazione – e soprattutto quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l’individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse – impediscono di rilevare d’ufficio (o a seguito di segnalazione fatta dalla parte mediante memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c.) regole di giudizio determinate dalla sopravvenienza di disposizioni, ancorchè dotate di efficacia retroattiva, afferenti ad un profilo della norma applicata che non sia stato investito, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e che concernano quindi una questione non sottoposta al giudice di legittimità” (Cass. n. 19617/20181). Ebbene, nella specie, a questione della presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, per quanto verosimilmente posta a fondamento degli avvisi di accertamento per cui è processo, non costituisce oggetto (neppure indiretto) dei motivi di censura proposti con il ricorso in esame, sicchè della citata pronuncia del giudice delle leggi non può tenersi conto in questa sede.

6.1 – Il ricorso è dunque rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

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