Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24076 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 13/10/2017, (ud. 03/02/2017, dep.13/10/2017),  n. 24076

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

R.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PASUBIO 2,

presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA GALELLA, rappresentata

e difesa dall’avvocato CRISTIANA LORETI giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIPOL SAI SPA, L.M., TM TRASPORTI MELFA SRL, ALLIANZ SPA,

F.R., F.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1896/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/02/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RASILE TOMMASO che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 20/3/2014 la Corte d’Appello di Roma ha respinto i gravami, e per quanto in questa sede ancora d’interesse, in particolare quello in via principale interposto dalla sig. R.C., in relazione alla pronunzia Trib. Cassino n. 57/08, di rigetto della domanda dalla medesima e dal sig. L.M. proposta nei confronti dei sigg. F.P. e R., nonchè della società LLoyd Adriatico s.p.a., di risarcimento dei danni lamentati all’esito del sinistro, ascritto alla esclusiva responsabilità del L., avvenuto (OMISSIS) lungo la SP n. (OMISSIS) tra l’autovettura Mercedes 250 D (di proprietà della società T.M. Trasporti Melfa s.r.l.) da quest’ultimo condotta e a bordo della quale viaggiava in qualità di trasportata la R., e l’autovettura Fiat Tipo di proprietà del F.P. e condotta dalla F.R..

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la R. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo la ricorrente denunzia “violazione, falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di estensione automatica della domanda risarcitoria in caso di chiamata di terzi in causa indicati come esclusivi responsabili dell’illecito aquiliano” e degli artt. 345,102 e 112 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Il ricorso è sotto plurimi profili inammissibile.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all’atto di citazione, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di appello) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851), dovendo al riguardo invero ribadirsi che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il requisito prescritto all’art. 366 c.p.c., n. 6 deve essere invero dal ricorrente comunque rispettato nella redazione del ricorso per cassazione (cfr. Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978), giacchè pur divenendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, da ultimo, Cass., 31/7/2017, n. 18926).

Deve altresì porsi in rilievo che, essendosi l’odierna ricorrente invero limitata a lamentare che “non occorre alcuna manifestazione di volontà attorea in tale senso (altrimenti sarebbe stata statuita la non estensione in difetto di istanza di parte)” non risulta invero idoneamente censurata la ratio decidendi dell’impugnata sentenza secondo cui “La domanda subordinata svolta dalla R., che ha chiesto in ogni caso la condanna al risarcimento del danno nella qualità di terza trasportata nei confronti dei chiamati in causa, si profila come nuova, e in quanto tale inammissibile” in quanto “Se è vero… che alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale la domanda si estende in modo automatico alla parte che il convenuto abbia chiamato in causa, contestando la responsabilità dei fatti addebitatigli, è anche vero che occorre che l’originaria attrice abbia esplicitato l’intenzione di estendere la pretesa al chiamato, non potendo certo provvedervi di ufficio il giudice, in mancanza di qualsiasi manifestazione di volontà espressa in tal senso dalla parte interessata. Posto che negli scritti difensivi del giudizio di primo grado nè nelle conclusioni precisate innanzi al Tribunale si rinviene alcuna richiesta di estensione della domanda, la stessa non può trovare ingresso in appello”, nulla essendo stato al riguardo dalla odierna ricorrente in ordine al principio della domanda ad essa sotteso.

E’ dunque sufficiente che, come nel caso, anche una sola delle rationes decidendi su cui si fonda la decisione impugnata non abbia formato oggetto di idonea censura (ovvero sia stata respinta) perchè il ricorso (o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa) debba essere rigettato nella sua interezza (v. Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602, e, da ultimo, Cass., 27/12/2016, n. 27015). Non già per carenza di interesse, come pure si è da questa Corte sovente affermato (v. Cass., 11/2/2011, n. 3386; Cass., 12/10/2007, n. 21431; Cass., 18/9/2006, n. 20118; Cass., 24/5/2006, n. 12372; Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602), quanto bensì per essersi formato il giudicato in ordine alla ratio decidendi non censurata (v. Cass., 27/12/2016, n. 27015; Cass., 22/9/2011, n. 19254, Cass., 11/1/2007, n. 1658; Cass., 13/7/2005, n. 14740).

Deve infine sottolinearsi che il vizio di motivazione pur se non indicato in rubrica dedotto nel corpo del motivo risulta inammissibilmente dedotto al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), giacchè alla stregua della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso ratione temporis applicabile, il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si sostanzia solamente nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche – giusta quanto viceversa adombrato dall’odierna ricorrente – l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, da ultimo, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni della ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Non è a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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