Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24073 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 13/10/2017, (ud. 16/12/2016, dep.13/10/2017),  n. 24073

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11723-2014 proposto da:

AZIENDA OSPEDALIERA BIANCHI MELACRINO MORELLI DI REGGIO CALABRIA in

persona del legale rappresentante, Direttore generale pro-tempore,

considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CARLO

MALARA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI,

6, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE SCRIVO, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE

49, presso lo studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ARMANDO ATTINA’ unitamente all’avvocato

SALVATORE ATTINA’ giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 372/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 10/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE FEMIA;

udito l’Avvocato PASQUALE SCRIVO;

udito l’Avvocato FABRIZIO DE’ MARSI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo di

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In riforma della decisione di prime cure la Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza 11.10.2013 n. 372, ha accertato la responsabilità per inadempimento contrattuale dell’Azienda Ospedaliera “Bianchi-Melacrini-Morelli” di Reggio Calabria e la responsabilità da “contatto sociale” del medico chirurgo M.R., dipendente dell’Azienda predetta, in relazione alla esecuzione della operazione di asportazione totale di un rene, cui era stata sottoposta I.G. su consiglio del sanitario il quale aveva diagnosticato una neoplasia in base alla presenza di una estesa neoformazione evidenziata dalla indagine ecografica, confermata dal risultato della TAC all’addome, omettendo tuttavia di approfondire la indagine diagnostica mediante esecuzione di esame bioptico estemporaneo, essendo risultato affetto l’organo asportato, al successivo esame istologico, da una patologia infettiva (pielonefrite xantogranulomatosa con ampia area emorragica) che avrebbe richiesto una nefrectomia soltanto parziale in luogo della asportazione totale dell’organo.

La sentenza è stata impugnata per cassazione dall’Azienda ospedaliera con due motivi.

Resistono con distinti controricorsi I.G. e M.R..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Azienda Ospedaliera impugna la sentenza in punto di accertamento del nesso di causalità tra la omessa esecuzione dell’esame bioptico e l'”eventum damni” consistente nella perdita del rene.

Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p. e dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e con il secondo motivo (vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’Azienda Ospedaliera deduce che le risultanze della c.t.u. medico-legale non consentivano di pervenire ad accertare la incidenza eziologica della omessa diagnosi sulla successiva asportazione totale del rene, in quanto l’ausiliario aveva ritenuto che la esecuzione dell’esame bioptico estemporaneo non avrebbe consentito con certezza di pervenire ad una corretta diagnosi, essendo comunque estremamente difficoltoso distinguere la infezione dal carcinoma.

Indipendentemente dall’inesatto riferimento alla responsabilità da illecito extracontrattuale (art. 2043 c.c.), la impostazione difensiva della ricorrente, volta ad escludere la responsabilità contrattuale dell’ente, è falsata dalla errata trasposizione del criterio del “più probabile che non”, che opera sul piano della causalità materiale ed attiene alla verifica del nesso di determinazione consequenziale “condotta omissiva o commissiva – evento dannoso”, sul distinto piano dell’accertamento della imputabilità per colpa dell’inadempimento: la difficoltà di indagine diagnostica, e più correttamente la difficoltà che, secondo quanto affermato dal CTU, il medico incontra nella interpretazione del dato biologico ai fini della individuazione della particolare patologia infettiva – successivamente riscontrata dall’esame istologico post operatorio -, ricade, infatti, sul piano della verifica dell’elemento soggettivo (condotto secondo il parametro della negligenza, imprudenza, imperizia e della scorretta applicazione delle leges artis), e dunque si colloca in un momento logicamente successivo rispetto a quello della verifica della causalità materiale che richiede invece la correlazione tra la condotta (nella specie omessa) e I’ “eventum damni” (asportazione del rene).

In caso di mancata attuazione della condotta “dovuta” (come nel caso di specie in cui l’esame bioptico estemporaneo è prescritto dal protocollo operatorio chirurgico), la sussistenza della relazione eziologica non può che essere ipoteticamente dedotta alla stregua di un criterio di prevedibilità oggettiva (desumibile da regole statistiche o leggi scientifiche), verificando se il comportamento omesso poteva o meno ritenersi idoneo – in quanto causalmente efficiente – ad impedire l’evento dannoso, con la conseguenza che deve escludersi dalla serie causale l’omissione di quella condotta che non sarebbe riuscita in alcun modo ad evitare l’evento (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 16123 del 08/07/2010).

A tali criteri si è conformata la Corte territoriale quando ha affermato che “la difficoltà di pervenire comunque ad una diagnosi differenziale non vale ad escludere la astratta idoneità della indagine non effettuata” ad individuare la corretta patologia, e quindi ad impedire l’erronea asportazione totale del rene (cfr. sentenza appello in motivazione pag. 8): è rimasto quindi accertato che l’esame bioptico era richiesto come necessario proprio per confermare od escludere la neoplasia ed evidenziare eventuali patologie diverse. Dunque trattavasi di condotta eziologicamente rilevante rispetto alla successiva scelta terapeutica di asportazione totale o invece solo parziale del rene. Tanto è sufficiente, ai fini dell’esaurimento del giudizio di causalità materiale (ipotetica omissiva), non venendo ad incidere su detto accertamento l’ulteriore ipotesi formulata dal CTU in ordine alla difficoltà della lettura dell’esame diagnostico omesso – che attiene solo al successivo momento della corretta interpretazione dell’esame bioptico da valutarsi alla stregua del parametro della perizia professionale e che, presuppone, per essere compiuta? l’espletamento della indagine diagnostica ed il relativo oggetto da interpretare.

La affermazione del CTU che la diagnosi di pielofrenite xantogranulomartosa, presenta aspetti di difficoltà “per cui nella maggior parte dei casi” la certezza della diagnosi viene posta dopo l’intervento chirurgico, e l’argomento difensivo della ricorrente secondo cui non vi è certezza che la biopsia estemporanea avrebbe condotto ad escludere la indicazione di neoplasia, non elide, infatti, la efficienza causale della condotta omissiva predicabile in base alla astratta idoneità (fondata sulle migliori acquisizioni scientifiche allo stato disponibili che reputano necessaria l’effettuazione dell’esame inserito nel protocollo) dell’esame bioptico estemporaneo a disvelare la corretta patologia, riversandosi sull’Azienda ospedaliera e sul sanitario – secondo gli ordinari criteri di riparto dell’onere probatorio in materia di inadempimento contrattuale: cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001 – l’onere di fornire la prova contraria, dimostrando che l’esecuzione della biopsia avrebbe, con certezza, in ogni caso dato un risultato negativo per diagnosi di infezione ovvero un dato non oggettivamente interpretabile come di pielofrenite xantogranulomartosa.

Deve al riguardo essere ribadito il principio di diritto secondo cui in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo invece a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 577 del 11/01/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 27855 del 12/12/2013).

La sentenza della Corte d’appello si è conformata ai principi di diritto indicati e va dunque esente dal vizio di violazione degli artt. 40 e 41 c.p..

Il secondo motivo, con il quale si deduce il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, è inammissibile in quanto sottopone alla Corte un vizio di legittimità non più presente nell’elenco tassativo previsto dall’art. 360 c.p.c., a seguito della modifica del n. 5 della predetta norma ad opera del D.L. n. 83 del 2012, art. 54conv. in L. n. 134 del 2012 applicabile alla sentenza impugnata in quanto pubblicata successivamente alla data dell’11.9.2012, non evidenziando alcun “fatto storico decisivo” che il Giudice di appello avrebbe illegittimamente omesso di valutare (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014), ma limitandosi a reiterare gli stessi argomenti difensivi svolti nel precedente motivo di ricorso, già ritenuti infondati.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e l’Azienda Ospedaliera va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

 

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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