Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24072 del 13/10/2017

Cassazione civile, sez. III, 13/10/2017, (ud. 07/12/2016, dep.13/10/2017),  n. 24072

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6945-2014 proposto da:

T.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.B.VICO 22,

presso lo studio dell’avvocato GIORGIO VECCHIONE, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ANDREA TOGNONI giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA,

15, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA SMIROLDO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato REALDO COLOMBO giusta

procura a margine del controricorso;

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo procuratore speciale

Dott. DANIELE GUGLIELMETTI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE FORNACI 38, presso lo studio dell’avvocato FABIO ALBERICI che

la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

REALE MUTUA ASSICURAZIONI, in persona del procuratore Dirigente Dott.

N.E.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TANGORRA

12, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CATRICALA’,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE RANIERI giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1751/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 14/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato GIORGIO VECCHIONE;

udito l’Avvocato FRANCESCO CATRICALA’ per delega;

udito l’Avvocato FABIO ALBERICI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’accoglimento p.q.r..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Confermando la decisione di prime cure, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza 14.11.2013 n. 1751, ha rigettato l’appello proposto da T.O., ritenendo infondata, alla stregua delle risultanze della c.t.u. medico-legale svolta in primo grado, la domanda di condanna al risarcimento dei danni da malpractice medica proposta dalla T. nei confronti del chirurgo B.M..

La Corte territoriale escludeva i diversi profili di responsabilità professionale, dedotti dalla danneggiata, per incompleta asportazione della neoplasia con deiscenza dell’anastomosi colon-rettale e per negligente vigilanza sul decorso post-operatorio, con conseguente ritardata diagnosi di recidiva ed espansione della malattia, che aveva reso necessario il successivo devastante intervento demolitorio di “exenteratio pelvica e di sacrectomia distale” eseguito presso il National Cancer Center Hospital di (OMISSIS).

I Giudici di appello condividevano le conclusioni del CTU secondo cui 1-l’intervento operatorio era stata eseguito secondo la corretta metodologia, 2-la recidiva non era imputabile a condotta medica, 3-il sospetto di insorgenza della stessa recidiva era stato tempestivamente già posto nel corso delle preliminari indagini eseguite in Italia e sarebbe emerso in esito agli ulteriori e più approfonditi esami richiesti che, tuttavia, la paziente preferì effettuare in Giappone. I Giudici di appello, inoltre, dichiaravano inammissibile -in quanto tardivamente formulata per la prima volta nella comparsa conclusionale- la domanda di condanna al risarcimento dei danni per omessa prestazione del consenso informato.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione da T.O. con due motivi.

Resistono con controricorso B.M., UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. e Società Reale Mutua Assicurazioni.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo con il quale si deducono censure tra loro incompatibili (non essendo impugnabile una sentenza deducendo che è priva del requisito di validità della motivazione – nel minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, e dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), -, ed al tempo stesso ritenendo, invece, la stessa sentenza dotata del requisito di validità predetto, ma viziata quanto all’attività di rilevazione e valutazione delle risultanze probatorie, per omessa considerazione di un fatto storico decisivo ritualmente dimostrato in giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) è inammissibile.

E’ consolidato principio di questa Corte che la critica rivolta alla sentenza che ha motivato riportandosi integralmente alle risultanze delle indagini ed alle argomentazioni tecniche svolte dall’ausiliario, non può limitarsi alla mera contrapposizione di conclusioni contrastanti nel merito, ma deve invece: a) individuare i singoli passaggi dell’elaborato peritale ritenuti erronei, onde consentire alla Corte di verificare “in limine” se le affermazioni del consulente tecnico oggetto di critica rivestano carattere di decisività; b) specificare le ragioni della critica, evidenziando se attengono a carenze o deficienze diagnostiche, nell’espletamento delle indagini, od in affermazioni illogiche e scientificamente errate, o ancora nella omissione degli accertamenti clinici strumentali dai quali non possa prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi; c) indicare nel ricorso per cassazione, onde evitare la inammissibilità per novità della questione, che le critiche erano state oggetto di puntuali motivi di gravame, trascrivendone almeno i punti salienti (cfr. Corte cass. Sez. Lf Sentenza n. 7341 del 17/04/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 17369 del 30/08/2004; id. Sez. 2, Sentenza n. 13845 del 13/06/2007; id. Sez. L, Sentenza n. 3224 del 12/02/2014; id. Sez. 1, Sentenza n. 16368 del 17/07/2014; id. Sez. 1, Sentenza n. 11482 del 03/06/2016).

Nella specie la ricorrente nella parte espositiva del motivo in esame:

non trascrive i motivi di gravame, proposti con l’appello principale, e non consente, pertanto, a questa Corte di verificare la dedotta erroneità della statuizione del Giudice di appello che ha ritenuto generiche le critiche svolte alla c.t.u. in quanto non evidenziavano “deviazioni dai canoni della specifica disciplina che l’ausiliario era chiamato ad applicare”, nè di verificare eventuali errori in ordine alla omessa rilevazione di circostanze di fatto determinanti, inerenti al quadro clinico e diagnostico, non considerate dall’ausiliario contesta al CTU omissioni relative a circostanze delle quali, da un lato, risulta al contrario che sono state espressamente accertate e valutate dall’ausiliario (prima dell’intervento chirurgico era stata eseguita rettosigmoidoscopia che aveva evidenziato “una neoformazione a 7 cm. dal margine anale”; la deiscenza dell’anastomosi colon-rettale è complicanza correlata alla ridotta distanza dalla rima anale: cfr. relazione peritale riportata nella sentenza di appello in motivazione, a pag. 8); dall’altro, neppure ne specifica la rilevanza e decisività (trattandosi di esami volti alla esatta descrizione della complicanza neoplastica, sulla cui possibilità di insorgenza e sulla cui natura e dimensioni non vi è contestazione); dall’altro, ancora, deducendo una incongrua scelta dell’ “accesso” operatorio, senza tuttavia specificare 1-se la questione fosse stata oggetto di discussione nei gradi di merito, nonchè 2-quale fosse la rilevanza causale di tale scelta sul lamentato danno;

quanto alla condotta post-operatoria, viene a confondere la fase concernente la eliminazione della complicanza (mediante intervento di confezionamento di colostomia traversa) con gli esami strumentali, che avevano dato risultati negativi, effettuati invece precedentemente diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, pag. 11- in considerazione di valori CEA incrementati (rilevati dai controlli in data 14.12.2000 e 4.1.2001) ai fini dell’accertamento della recidiva (TAC addome 8.1.2001; Eco addome 10.1.2001: cfr. sentenza appello, pag. 9)

esaurisce la critica alla sentenza impugnata nell’anapodittica affermazione per cui la emersione della irregolarità parietale e del tessuto ispessito a livello anastomotico ed il “notevole enhancement contrasto grafico” rilevati nel febbraio 2001, nel corso degli esami strumentali disposti dal dott. M., in Giappone, erano indice certo della mancanza di asportazione completa della neoplasia nel primo intervento eseguito dal B., non fornendo tuttavia alcun elemento idoneo a contrastare la diversa conclusione peritale secondo cui, la negatività delle indagini radiologiche eseguite dopo l’intervento, a dicembre 1999, e la ricomparsa della patologia a distanza di circa un anno, deponevano invece per la insorgenza di una recidiva.

Difettano pertanto i requisiti di ammissibilità del motivo di ricorso per difetto di specificità della censura richiesta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

Manifestamente inammissibile è il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione degli artt. 1176,1218 e 2236 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente impugna la statuizione del Giudice di appello di conferma della pronuncia del Giudice di prime cure di inammissibilità della domanda risarcitoria fondata sull’inadempimento contrattuale, per omessa previa acquisizione del consenso informato. Il Giudice territoriale ha rilevato in proposito che tale specifico fatto d’inadempimento e la relativa richiesta risarcitoria erano stati, rispettivamente, allegato e proposta, per la prima volta nella comparsa conclusionale in primo grado, essendo quindi incorsa l’attrice nella preclusione determinata dalla chiusura della fase processuale di trattazione.

Sostiene la ricorrente che avendo contestato, nell’atto di citazione in primo grado, l’inadempimento del professionista per avere eseguito l’intervento chirurgico “in modo non corretto per trascuratezza, e/o negligenza e/o imperizia”, doveva intendersi per ciò stesso implicitamente allegata anche la mancanza di consenso informato, non potendo configurarsi pertanto alcuna “mutatio libelli”.

La tesi è priva di fondamento.

Questa Corte ha ripetutamente ribadito che l’acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2854 del 13/02/2015), di tal chè la relativa pronuncia che accerta tale mancanza viene ad integrare un distinto capo di sentenza suscettibile se non impugnato di autonomo passaggio in giudicato (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1.4642 del 14/07/2015). E non appare superfluo rimarcare che “la diversità tra i due diritti (ndr. il diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico ed il diritto alla salute) è resa assolutamente palese dalle elementari considerazioni che, pur sussistendo il consenso consapevole, ben può configurarsi responsabilità da lesione della salute se la prestazione terapeutica sia tuttavia inadeguatamente eseguita; e che la lesione del diritto all’autodeterminazione non necessariamente comporta la lesione della salute, come accade quando manchi il consenso ma l’intervento terapeutico sortisca un esito assolutamente positivo (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2847 del 09/02/2010, in motivazione): conseguentemente nel caso in cui l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico, e domandi poi in corso di causa anche il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento, da parte dello stesso medico, al dovere di informazione (necessario per ottenere un consenso informato), si verifica una “mutatio libelli” e non una mera “emendatio”, in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 18513 del 03/09/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 25764 del 15/11/2013).

La Corte di appello si è attenuta ai principi di diritto indicati e dunque la statuizione di inammissibilità per tardività della allegazione in ordine al difetto di consenso informato, va esente da censura.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in dispositivo.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore di B.M., in Euro 5.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, ed a favore di ciascuna delle imprese assicurative UNIPOL SAI Assicurazioni s.p.a. e Reale Mutua Assicurazioni s.p.a., in Euro 6.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa la indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di T.O. riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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