Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24071 del 24/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 24/11/2016, (ud. 21/09/2016, dep. 24/11/2016), n.24071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18089-2015 proposto da:

SARDALEASING SPA, in qualità di incorporante di ABF LEASING SPA, in

persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SISTINA, 42, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI GALOPPI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANDREA MARTELLACCI giusta procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE di NOVARA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato

GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MAURIZIO FOGAGNOLO giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 29/36/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di TORINO del 2/12/2014, depositata il 14/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue:

Con sentenza n. 29/36/15, depositata il 14 gennaio 2015, non notificata, la CTR del Piemonte ha accolto l’appello proposto dal Comune di Novara nei confronti della ABF Leasing (ora Sardaleasing) S.p.A. per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Novara, che aveva invece accolto i ricorsi, di seguito riuniti, proposti dalla società avverso avvisi di accertamento per TARSU per gli anni dal 2005 al 2008.

La sentenza della CTR, per quanto qui rileva, ritenne che, intervenuto il fallimento della società conduttrice dei locali, gli stessi erano restituiti dal curatore nella detenzione della società proprietaria, tenuta dunque, in ragione del disposto del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, al pagamento della tassa sui rifiuti, avendo omesso quest’ultima di far seguire la denuncia di variazione che avrebbe consentito all’ente impositore di accertare l’effettiva sussistenza delle condizioni di non utilizzabilità dei locali.

Avverso detta pronuncia la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, al quale il Comune resiste con controricorso.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere ricollegato il presupposto impositivo alla titolarità dell’immobile.

Con il secondo motivo la società deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata ha attribuito portata dirimente alla mancata presentazione della denuncia di variazione da parte della società, al fine di escludere l’applicazione del tributo, stante la presenza di cause oggettive di inutilizzabilità dell’immobile.

I motivi possono essere congiuntamente esaminati, in quanto tra loro strettamente connessi.

Essi sono manifestamente infondati.

Invero, è la natura tributaria della TARSU (tra le molte, più di recente, Cass. sez. 5, 10 giugno 2015, n. 12035), donde l’insuscettibilità della qualificazione in termini di corrispettivo di quanto dovuto per la fruizione del servizio, a giustificare la presunzione legale relativa, posta dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, di produzione di rifiuti da parte di chi occupi o detenga locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibite, ad esclusione di quelle espressamente indicate dalla citata norma.

A ciò consegue che le deroghe di cui all’art. 62, comma 2 non possano operare in via automatica, in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto (per quanto qui interessa la circostanza che i locali versassero in condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno), dovendo, invece, di volta in volta, i relativi presupposti essere addotti, nell’adempimento di uno specifico onere d’informazione gravante sul contribuente, nella denuncia originaria o in quella di variazione (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 15 settembre 2014, n. 19469; Cass. sez. 5, 15 febbraio 2013, n. 3772).

In particolare questa Corte (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 21 gennaio 2013, n. 1332), riguardo al requisito giustificante l’esclusione dal tributo consistente nel fatto che i locali e le aree interessate “risultino in obbiettive condizioni di non utilizzabilità”, ha osservato che detto requisito non può ritenersi sussistente quando sia data soltanto la prova, secondo l’apprezzamento insindacabile del giudice di merito, dell’avvenuta cessazione di un’attività industriale, poichè, in tal modo, il contribuente al più può avere provato la mancata utilizzazione di fatto del locale o dell’area, ma non pure la sua obbiettiva “inutilizzabilità”.

Di tali principi la sentenza impugnata risulta avere fatto corretta applicazione nella fattispecie in esame, in cui è pacifico che – una volta rientrati i locali nella detenzione dell’immobile da parte della curatela fallimentare della società che aveva svolto precedentemente in loco la propria attività industriale – la società ricorrente ha omesso di denunciare con apposita variazione la situazione pur emergente dall’indicata perizia conseguente all’abbandono dell’opificio da parte della società conduttrice con conseguente degrado del cespite.

Nè parte ricorrente ha illustrato i motivi addotti a sostegno del proprio ricorso con elementi idonei a mutare l’orientamento di questa Corte come innanzi esposto.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione in favore del Comune controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 2300,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2016

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