Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24071 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 13/10/2017, (ud. 07/12/2016, dep.13/10/2017),  n. 24071

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19731/2013 proposto da:

G.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIA

ADELAIDE 8, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MINUTILLO TURTUR,

rappresentata e difesa dall’avvocato RODOLFO UMMARINO giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA CONSORZIALE TERME DI COMANO ACTC, in persona del Presidente e

legale rappresentante pro tempore Ing. S.N., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO PANARITI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MARCO SARTORI, LIDIA AJMA DOTTI giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 55/2013 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 19/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Trento, con sentenza 19.2.2013 n. 55, in riforma della decisione di prime cure, ha rigettato la domanda di condanna al risarcimento danni proposta da G.R. nei confronti dell’Azienda Consorziale Terme di Comano, per essere la G. caduta procurandosi lesioni personali mentre usciva dalla vasca termale dopo aver inutilmente atteso il personale di cui aveva richiesto l’assistenza, rilevando: a) che il rapporto di convenzionamento dell’Azienda termale di Comano con il Servizio sanitario pubblico per la erogazione delle cure termali non dimostrava che la prima fosse tenuta a svolgere attività ulteriori e diverse dalle prestazioni alberghiere; b) che era rimasto indimostrato, all’esito della istruttoria, l’affidamento riposto dalla G. sulla assistenza che sarebbe stata prestata dal personale nei giorni precedenti; c) che difettava la prova di disabilità deambulatoria della paziente o di specifiche situazioni di pericolo correlate all’uso della vasca termale.

La sentenza non notificata è stata impugnata con cinque motivi dalla G.. Resiste con controricorso l’Azienda termale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La ricorrente ha impugnato la sentenza censurando la ricostruzione della fattispecie concreta, sotto il profilo della mancata rilevazione da parte del Giudice di appello di circostanze di fatto non contestate ex art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (1-la G. era stata aiutata ad entrare nella vasca; 2-era stata invece costretta ad uscire da sola dalla vasca, non essendo intervenuto alcuno sebbene per circa venti minuti avesse azionato il pulsante di chiamata: primo motivo; 3-la danneggiata era affetta da difficoltà deambulatorie; 4-il pavimento attorno alla vasca era bagnato; secondo motivo) ovvero di fatti “decisivi”, provati in giudizio ma del tutto omessi dalla Corte territoriale, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (1-il marito, assunto a teste, aveva dichiarato che il coniuge aveva difficoltà deambulatorie dopo un intervento all’embolo: terzo motivo; 2-la presenza di pulsante di chiamata, consentiva di ricondurre anche la prestazione di assistenza alla persona tra quelle contrattualmente assunte dall’Azienda: quarto motivo), ed ancora per errore di diritto determinato dalla violazione degli artt. 1173 e 1218 c.c., o – in alternativa – dal vizio di nullità per mancanza del requisito motivazionale ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (avendo la Corte d’appello erroneamente negato la sussistenza di elementi idonei a ravvisare nella fattispecie una responsabilità di natura contrattuale derivante da “contatto sociale”, sostenendo che la struttura termale era tenuta esclusivamente ad eseguire prestazioni di natura alberghiera e sanitaria, senza considerare che, anche in tal caso, l'”essenza del contratto stesso” consistente nella prestazione del servizio di immersione nelle vasche, imponeva comunque alla Azienda termale di adottare le cautele necessarie – tra cui eventualmente la predisposizione di personale ausiliario – volte ad evitare situazioni di rischio in considerazione delle precarie o comunque non pienamente efficienti condizioni fisiche di pazienti anziani sottoposti a tali cure: quinto motivo).

La Corte d’appello ha rigettato l’appello della G. sulla base del seguente percorso argomentativo, ritenendo: a) che l’interrogatorio formale dell’attrice aveva smentito la circostanza che nei giorni precedenti la G. era stata assistita nella entrata e nella uscita dalla vasca termale; b) che la danneggiata non aveva offerto alcuna prova b1 – della difficoltà di deambulazione, b2 – che il pavimento fosse bagnato; c) che l’onere della prova di tali fatti gravava sulla danneggiata attesa “la più generale negazione di ogni responsabilità” sull’accaduto opposta dalla Azienda con la comparsa di risposta (sentenza appello, in motiv. pag. 8); d) che era apodittico il richiamo compiuto dalla ricorrente alla “responsabilità da contatto”.

Ritiene il Collegio fondato il ricorso, relativamente al quarto ed al quinto motivo, dovendo essere dichiarati assorbiti gli altri motivi.

La Corte territoriale ha escluso una responsabilità della Azienda termale estesa anche “oltre il contratto”- per l’evento dannoso occorso alla G., affermando che la “responsabilità da contatto” è configurabile soltanto “quando l’ordinamento impone a determinati soggetti, in ragione della attività o della funzione esercitata e della specifica professionalità richiesta a tal fine, di tenere in determinate situazioni specifici comportamenti, sorgendo in tal modo a carico di detti soggetti…. obblighi essenzialmente di protezione nei confronti di tutti coloro che siano titolari degli interessi la cui tutela costituisce la ragione della prescrizione di quelle specifiche condotte”, richiamandosi al precedente di questa Corte n. 11642/2012.

Occorre al riguardo premettere che come è stato rilevato dalla dottrina e risulta evidenziato anche nel recente arresto di questa Corte (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14188 del 12/07/2016), il “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ex art. 1173 c.c., e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c., opera anche nella materia contrattuale, in relazione a quegli aspetti che non attengono alla esecuzione della prestazione principale – nella specie consistente nel “mettere a disposizione degli ospiti i locali ove eseguire i trattamenti terapeutici che le acque termali favoriscono” (sentenza, in motiv., pag. 7) -, ma ad interessi ulteriori, quali nel caso di specie la incolumità personale dei fruitori del servizio, non direttamente oggetto dell’accordo contrattuale ma che accedono al rapporto obbligatorio e che si sostanziano nei “doveri di protezione” che ciascuna parte ha nei confronti dell’altra in virtù del reciproco affidamento riposto nella buona fede, correttezza e professionalità, e che insorgono, anche al di fuori di uno specifico vincolo contrattuale, tutte le volte in cui le parti instaurino una “relazione qualificata” e cioè agiscano di concerto in vista del conseguimento di uno scopo (elemento questo che distingue, per l’appunto, la responsabilità da “contatto sociale” dalla responsabilità derivante da illecito extracontrattuale caratterizzata dalla assenza di una relazione tra i soggetti anteriore alla commissione dell’illecito).

La tutela degli interessi di protezione e di informazione, viene dunque a trovare fondamento nell’art. 2 Cost., cui è ancorato il principio di correttezza buona fede nei rapporti obbligatori ex art. 1175 c.c., e nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c., quale espressione del dovere di solidarietà imposto “a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra e costituisce un dovere giuridico autonomo a carico di entrambe, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da norme di legge”, la cui violazione “…”costituisce di per sè inadempimento” e può comportare l’obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato a titolo di responsabilità contrattuale (cfr., tra le tante, Cass. 21250/2008; 1618/2009; 22819/2010)…” (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 14188 del 12/07/2016, in motivazione, paragr. 14). Il dovere di salvaguardia, richiesto a ciascuna delle parti che si pongono in relazione qualificata, pertanto, non viene in rilievo soltanto nelle ipotesi “grigie” di confine tra il contratto ed il torto, ma si inserisce a pieno titolo nello stesso rapporto contrattuale prescrivendo un autonomo obbligo di condotta che si aggiunge e concorre con l’adempimento della obbligazione principale, in quanto diretto alla protezione di ulteriori interessi della parte contraente che – nella concreta fattispecie sottoposta all’esame di questa Corte – riceve la prestazione principale.

Tanto premesso, risulta errata in diritto, oltre che priva di argomentazione giustificativa adeguata al minimo costituzionale ex art. 111 Cost., comma 6, (cfr. Corte cass. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014), l’affermazione del Giudice territoriale secondo cui il mancato intervento dei dipendenti dell’Azienda termale ad assistere una paziente che si trovava in difficoltà, per motivi anche solo contingenti, ad uscire dalla vasca termale – e dunque indipendentemente da una condizione patologica soggettiva acclarata di incapacità o ridotta capacità di deambulazione -, non soltanto non integrava inadempimento della prestazione principale “ex contractu”, ma neppure poteva astrattamente configurare una ipotesi di responsabilità da violazione dei “doveri di salvaguardia” come sopra delineati, tanto più non risultando esplicitamente esaminata e vagliata dal Giudice di appello la circostanza di fatto, allegata dalla danneggiata, dell’inutile azionamento della chiamata di assistenza (circostanza della quale si dà menzione nello “svolgimento del processo”, ma che viene del tutto trascurata nella esposizione delle regioni a sostegno del “decisum”).

Il mancato tempestivo intervento in ausilio al soggetto che versava in occasionale difficoltà, indipendentemente dal contenuto della prestazione principale (di natura alberghiera e od anche sanitaria) e dalla previsione di impiego di personale ausiliario di sostegno soltanto per i pazienti disabili, integra una condotta violativa del “dovere di protezione” (prescritto dall’art. 2 Cost., artt. 1175 e 1375 c.c.) di quegli “altri” interessi, della parte contraente, estranei all’oggetto della prestazione contrattuale ma che rimangono comunque coinvolti dalla realizzazione del risultato negoziale programmato, e che, in quanto tale, determina una responsabilità di natura contrattuale per le conseguenze pregiudizievoli derivate dalla inosservanza di detto dovere.

Il ricorso trova dunque accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata, in ordine ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, che procederà a nuovo esame attenendosi al principio di diritto enunciato in motivazione.

PQM

 

accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso; dichiara assorbito il primo, secondo e terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Trento in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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