Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2407 del 04/02/2014


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Civile Sent. Sez. U Num. 2407 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: GIUSTI ALBERTO

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

impiego pubblico
giudice speciale
rifiuto di giurisdizione

sul ricorso 11251-2013 proposto da:
BIVIANO Domenico, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dagli Avv. Pietro Intilisano e Mario Intilisano, con domicilio eletto presso il dott. Gregorio D’Agostino in Roma, via Lunigiana, n.
6;
– ricorrente contro
PRESIDENZA DELLA REGIONE SICILIANA, in persona del Presidente pro
tempore, e ASSESSORATO AGRICOLTURA E FORESTE DELLA REGIONE SICILIANA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati
e difesi, per legge, dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici
di questa domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrenti –

Data pubblicazione: 04/02/2014

avverso la sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
Siciliana n. 862/12 in data 3 ottobre 2012.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;
udito l’Avvocato Mario Intilisano e l’Avvocato dello Stato Federico Di
Matteo;

Umberto Apice, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. – Domenico Biviano, dipendente della Regione Siciliana – Assessorato
agricoltura e foreste a far data dal 15 giugno 1989 con la qualifica di agente tecnico forestale, ha richiesto, ai sensi dell’art. 11 della legge della Regione Siciliana 15 giugno 1988, n. 11 (Disciplina dello stato giuridico ed
economico del personale dell’Amministrazione regionale per il triennio
1985-1987 e modifiche ed integrazioni alla normativa concernente lo stesso personale), il riconoscimento, ai fini della progressione giuridica ed economica, dei servizi non di ruolo prestati, alle dipendenze della Regione,
presso l’Ispettorato ripartimentale delle foreste di Messina negli anni compresi tra il 1973 ed il 1989, per complessive 4.143 giornate.
La richiesta dell’interessato è stata rigettata con nota gruppo VIII prot. n.
21170 del 30 agosto 1998 dell’Assessorato regionale.
Il ricorso del Venuti avverso la suddetta nota è stato accolto dal Tribunale
amministrativo regionale per la Sicilia, sezione distaccata di Catania, con
sentenza in data 14 febbraio 2008.
2. – Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con
sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 3 ottobre 2012,
ha accolto l’appello della Presidenza della Regione e dell’Assessorato agricoltura e foreste della Regione e, per l’effetto, ha integralmente riformato
la decisione di primo grado.
2.1. – Il Consiglio di giustizia amministrativa ha osservato che l’art. 11 della legge regionale n. 11 del 1988 è inapplicabile agli operai forestali per i
servizi resi come avventizi presso l’Assessorato agricoltura e foreste, sia

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udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale dott.

per la natura occasionale e provvisoria delle prestazioni rese, sia per
l’assunzione tramite chiamata numerica presso gli uffici di collocamento,
costituente modalità propria di instaurazione di rapporti di lavoro secondo
il diritto privato.
Secondo il Consiglio di giustizia amministrativa, ciò che rileva per
l’applicazione della “progressione giuridica ed economica” disposta dal cita-

temente resi con i fini istituzionali dell’Aziende foreste demaniali, quanto
piuttosto la connotazione pubblicistica del rapporto in base al quale detta
prestazione è resa.
3. – Per la cassazione della sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa il Biviano ha proposto ricorso, con atto notificato 1’8 aprile 2013, sulla
base di un motivo.
La Presidenza della Regione Siciliana e l’Assessorato agricoltura e foreste
hanno resistito con controricorso.
Considerato in diritto
1. – Con l’unico mezzo (violazione della giurisdizione in ordine alla commessa violazione dei principi di diritto comunitario ed in particolare della
direttiva 1999/70/CEE, così come interpretata dalla Corte di giustizia europea in ordine al divieto di discriminazione tra dipendenti a tempo determinato ed indeterminato) il ricorrente lamenta “una evidente violazione della
giurisdizione del giudice amministrativo rientrante nelle ipotesi di violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo
grado cui si può porre rimedio solo con la proposizione del . . .ricorso per
motivi inerenti la giurisdizione”. Il ricorrente richiama il principio enunciato
dalla sentenza di queste Sezione Unite 23 dicembre 2008, n. 30254, secondo cui, ai fini dell’individuazione dei limiti esterni della giurisdizione
amministrativa, si deve tenere conto dell’evoluzione del concetto di giurisdizione dovuta a molteplici fattori, tra cui il ruolo centrale della giurisdizione nel rendere effettivo il primato del diritto comunitario ed il canone
dell’effettività della tutela giurisdizionale, essendo mutato il giudizio sulla
giurisdizione rimesso alle Sezioni Unite, non più riconducibile ad un giudizio di pura qualificazione della situazione soggettiva dedotta, alla stregua

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to art. 11, non è tanto la mera congruenza materiale dei servizi preceden-

del diritto oggettivo, né rivolto al semplice accertamento del potere di conoscere date controversie attribuito ai diversi ordini di giudici di cui l’ordinamento è dotato, ma nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli
interessi, che comprende, dunque, le diverse tutele che l’ordinamento assegna a quei giudici per assicurare l’effettività dell’ordinamento.
Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata, nel ritenere non sussi-

prestato dal ricorrente prima dell’immissione in ruolo alle dipendenze della
Regione Siciliana in ragione della sola natura del rapporto (di diritto privato o pubblico) senza alcuna indagine in ordine alle mansioni effettivamente
svolte, si porrebbe in palese contrasto con il diritto dell’Unione.
Richiamato il principio di non discriminazione di cui alla clausola n. 4
dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, attuato con la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, il ricorrente ricorda che
le sentenze della Corte di giustizia 8 settembre 2011 (nella causa C177/10) e 18 ottobre 2012 (nelle cause riunite da C-302/11 a C-305/11)
hanno stabilito che detta clausola osta ad una normativa nazionale la quale
escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a
tempo determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica siano presi in
considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da ragioni oggettive, precisando che il semplice
fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un contratto o di un rapporto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere.
2. – Il ricorso è inammissibile perché non deduce alcuna violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo.
3. – Ai sensi dell’art. 111, ultimo comma, Cost., contro le decisioni del
Consiglio di Stato (il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
Siciliana va considerato come una sezione del Consiglio di Stato, ai sensi
dell’art. 23 dello statuto della Regione, approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito dalla legge costituzionale 26
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stenti i presupposti per il riconoscimento dell’equiparazione del servizio

febbraio 1948, n. 2, e della successiva normativa di attuazione, da ultimo
recata dal decreto legislativo 24 dicembre 2003, n. 373: Sez. Un., 26 luglio 2004, n. 14064; Sez. Un., 3 maggio 2005, n. 9105) il ricorso per cassazione è ammesso «per i soli motivi inerenti alla giurisdizione» (v. anche
l’art. 362 cod. proc. civ. e l’art. 110 del codice del processo amministrativo, approvato con il d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104).

tificati o nell’ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato
(in positivo o in negativo) l’ambito della giurisdizione in generale (come
quando abbia esercitato la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore
o alla discrezionalità amministrativa oppure, al contrario, quando abbia
negato la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non potesse formare oggetto in modo assoluto di funzione giurisdizionale), o
nell’ipotesi in cui abbia violato i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione (ipotesi, questa, che ricorre quando il Consiglio di Stato abbia
giudicato su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia negato la propria giurisdizione nell’erroneo
convincimento che essa appartenesse ad altro giudice, ovvero ancora
quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo sindacato della legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un
sindacato di merito). Pertanto, è inammissibile il ricorso con il quale si denunci un cattivo esercizio da parte del Consiglio di Stato della propria giurisdizione, vizio che, attenendo all’esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge al giudice amministrativo, non può essere dedotto dinanzi alle Sezioni Unite di questa Corte (tra le tante, Sez. Un., 29
aprile 2005, n. 8882; Sez. Un., 29 marzo 2013, n. 7929; Sez. Un., 12 dicembre 2013, n. 27847).
La Corte – muovendo dalla evoluzione del concetto di giurisdizione come
strumento per la tutela effettiva per le parti, anche per assicurare il primato del diritto comunitario, e dalla considerazione che è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell’attribuzione del
potere giurisdizionale, ma anche quella che dà contenuto al potere stabilendo attraverso le forme di tutela in cui esso si estrinseca – ha altresì precisato che, dovendo la tutela giurisdizionale essere effettiva, le norme pro-

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Per costante giurisprudenza, i motivi inerenti alla giurisdizione vanno iden-

cessuali “debbono prevedere congegni che consentono di riparare l’errore
compiuto dalla parte nella scelta del giudice, ma anche di superare l’errore
del giudice nel denegare la giurisdizione, perché altrimenti il diritto alla tutela giurisdizionale risulterebbe frustrato dalle stesse norme che sono ordinate al suo migliore soddisfacimento” (Sez. Un., 23 dicembre 2008, n.
30254). Su questa base, si è stabilito (nella sentenza da ultimo citata) che
rientra nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdi-

tela, onde verificare se il giudice amministrativo la eroghi concretamente,
per poi giungere alla conclusione che, proposta al giudice amministrativo
domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del
danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, “è
viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento”: ciò in quanto l’attribuzione al
giudice amministrativo della tutela risarcitoria, in caso di esercizio illegittimo della funzione pubblica, presuppone che quella tutela sia esercitata con
la medesima ampiezza, sia per equivalente sia in forma specifica, che davanti al giudice ordinario, spettando, in linea di principio, al titolare dell’interesse sostanziale leso, nel caso in cui alla tutela risarcitoria si aggiunga
altra forma di tutela, scegliere a quale far ricorso al fine di ottenere ristoro
al pregiudizio subito.
Poiché, dunque, ai fini dell’individuazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, che segnano il confine entro il quale è ammesso il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato, si deve
tenere conto del canone dell’effettività della tutela giurisdizionale, rientra
nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione
l’operazione che consiste nell’interpretare la norma attributiva di tutela per
verificare se il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 111, ultimo comma,
Cost., la abbia concretamente erogata rispettandone il contenuto essenziale (Sez. Un., 6 settembre 2010, n. 19048; Sez. Un., 20 gennaio 2014, n.
1013). In questa prospettiva, il ricorso con il quale venga denunciato un
rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo rientra fra i mo-

zione l’operazione che consiste nell’interpretare la norma attributiva di tu-

tivi inerenti alla giurisdizione soltanto se il rifiuto sia stato determinato
dall’affermata estraneità della domanda alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice, oppure nei casi, estremi, nel quali l’errore si sia tradotto
in una decisione anomala o abnorme, frutto di radicale stravolgimento delle norme di riferimento, non quando si prospettino come omissioni
dell’esercizio del potere giurisdizionale meri errori in iudicando o in procedendo (Sez. Un., 26 gennaio 2009, n. 1853; Sez. Un., 12 marzo 2012, n.

17933; Sez. Un., 9 settembre 2013, n. 20590; Sez. Un., 16 gennaio 2014,
n. 774; Sez. Un., 27 gennaio 2014, n. 1518). L’evoluzione del concetto di
giurisdizione nel senso di strumento per la tutela effettiva delle parti non
giustifica il ricorso avverso la sentenza del Consiglio di Stato, ai sensi
dell’art. 111, ultimo comma, Cost., quando non si verta in ipotesi di aprioristico diniego di giustizia, ma la tutela negata si assuma negata dal giudice speciale in conseguenza di errori, di giudizio o processuali, che si prospettino dal medesimo commessi in relazione allo specifico caso sottoposto
al suo esame (Sez. Un., 16 gennaio 2014, n. 771).
Con particolare riguardo, poi, alla questione se l’esigenza di assicurare una
tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione
europea e la necessità che le disposizioni di legge vigenti siano conformi ai
vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione, ai sensi dell’art. 117 Cost.,
impongano di ritenere impugnabili per cassazione le sentenze del Consiglio
di Stato che abbiano adottato una interpretazione della norma interna non
conforme al diritto eurounitario o abbiano violato l’obbligo di disapplicazione per illegittimità comunitaria, queste Sezioni Unite hanno escluso che la
violazione del diritto dell’Unione da parte del giudice amministrativo valga,

3854; Sez. Un., 8 febbraio 2013, n. 3037; Sez. Un., 24 luglio 2013, n.

di per sé, ad integrare un superamento delle attribuzioni del giudice amministrativo. La primazia del diritto dell’Unione europea – si è osservato
(Sez. Un. 1° marzo 2012, n. 3236) – “non sovverte gli assetti procedimentali degli ordinamenti nazionali (e la relativa funzione di garantire certezza
e stabilità ai rapporti giuridici)”: sicché, per un verso, “il mancato accoglimento, da parte del Consiglio di Stato (organo di vertice dell’ordinamento
giurisdizionale di appartenenza), di una richiesta di rinvio pregiudiziale alla
Corte di giustizia del Lussemburgo . . . è determinazione che, essendo espressione della potestas iudicandi devoluta a quel giudice, non esorbita i

01/1,

’limiti interni’ della sua giurisdizione”, e, per l’altro verso, “il ricorso per
cassazione, teso ad accertare la ricorrenza, esclusa dal Consiglio di Stato,
delle condizioni per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, è inammissibile, giacché si risolve in una impugnativa diretta, non già a prospettare
una questione attinente alla giurisdizione del giudice amministrativo, ma a
denunciarne un (supposto) errore di giudizio”. In questa prospettiva, si è
ribadito (Sez. Un., 20 gennaio 2014, n. 1013, cit.) che il mancato rinvio

figura una questione attinente allo sconfinamento dai limiti esterni della
giurisdizione del giudice amministrativo, e che – impugnata per cassazione
una decisione del giudice amministrativo – non sussistono neppure le condizioni perché la Corte, la cui cognizione è limitata ai motivi attinenti alla
giurisdizione, prospetti alla Corte di giustizia “quesiti interpretativi che attengono al merito della vertenza e non al tema della giurisdizione”; non
senza ricordare che “l’ordinamento giuridico interno assicura comunque
una effettività di tutela rispetto al pregiudizio ipoteticamente subito a fronte della lesione di un diritto riconosciuto dal Trattato europeo, ben potendo
il preteso danneggiato ottenere il relativo ristoro in sede risarcitoria” (Sez.
Un., 5 luglio 2013, n. 16886).
4. – Nella specie il ricorrente non denuncia un rifiuto di giurisdizione: non
si duole, cioè, che il giudice amministrativo, al quale si è rivolto, si sia rifiutato di erogare la richiesta tutela per l’affermata estraneità alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice della domanda proposta. Egli lamenta, piuttosto, che il giudice amministrativo, nell’esaminare la domanda, l’abbia rigettata per un errore interpretativo, non avendo dato all’art.
11 della legge della Regione Siciliana n. 11 del 1988 una lettura conforme
a quella risultante da pronunce della Corte di giustizia con riguardo alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio.
Il ricorrente contesta la legittimità del concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali attribuite al giudice amministrativo, e quindi finisce in realtà
per sollecitare, al di là della prospettazione formale, un sindacato per violazione di legge. La doglianza non attiene alla corretta individuazione dei
limiti esterni della giurisdizione – che, come detto, non sono soltanto quelli
che separano i diversi plessi giurisdizionali ma anche quelli che stabiliscono

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pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato alla Corte di giustizia non con-

fin dove ciascun giudice è tenuto ad esercitare il potere-dovere di ius dicere – ma investe un vizio del giudizio concernente il singolo e specifico caso.
Sennonché, l’error in iudicando non si trasforma in eccesso di potere giurisdizionale solo perché viene in gioco, nell’interpretazione della norma sostanziale attributiva di diritti, il diritto dell’Unione. Non ogni pretesa devia-

ed applicativo del diritto sostanziale, si risolve in un difetto di giurisdizione
sindacabile ad opera della Corte di cassazione, a meno che non ci si trovi
di fronte ad un indebito rifiuto di erogare la dovuta tutela giurisdizionale a
cagione di una male intesa autolimitazione, in via generale, dei poteri del
giudice speciale. “Qualsiasi erronea interpretazione o applicazione di norme di cui il giudice possa incorrere nell’esercizio della funzione giurisdizionale, ove incida sull’esito della decisione, può essere letta – hanno ricordato queste Sezioni Unite (sentenza 17 maggio 2013, n. 12106) – in chiave
di lesione della pienezza della tutela giurisdizionale cui ciascuna parte legittimamente aspira, perché la tutela si realizza compiutamente soltanto
se il giudice interpreta ed applica in modo corretto le norme destinate a
regolare il caso sottoposto al suo esame. Non per questo, però, ogni errore
di giudizio . . . imputabile al giudice è qualificabile come un eccesso di potere giurisdizionale assoggettabile ai sindacato della Corte di cassazione”.
5. – Il Collegio ritiene che, nei confronti delle sentenze del Consiglio di Stato, il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione che la Costituzione affida alla Corte di cassazione non includa la funzione di finale
verifica della conformità di quelle decisioni al diritto dell’Unione europea.
La tesi, prospettata dal ricorrente, di una funzione di nomofilachia della
Corte di cassazione estesa fino a comprendere l’esercizio di un sindacato
sull’osservanza, da parte del giudice amministrativo, della giurisprudenza
della Corte di giustizia o dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, non tiene conto
della circostanza che – fermo il compito affidato dalla Costituzione alle Sezioni Unite della Cassazione di verificare il mantenimento delle varie giurisdizioni speciali, compreso il Consiglio di Stato, nei limiti dei loro poteri e
delle loro competenze – nel plesso della giurisdizione amministrativa spetta al Consiglio di Stato, alle sue sezioni e all’adunanza plenaria, quale giu-

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zione dal corretto esercizio della giurisdizione, sotto il profilo interpretativo

dice di ultima istanza ai sensi dell’art. 267, terzo comma, del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea (ex art. 234 TCE), garantire, nello specifico ordinamento di settore, la compatibilità del diritto interno a quello
dell’Unione, anche e soprattutto attraverso l’operazione interpretativa del
diritto eurounitario, originario e derivato, svolta dalla Corte di giustizia,
all’uopo sollecitata, se del caso, mediante il meccanismo della questione
pregiudiziale, e così contribuire alla formazione dello jus commune euro-

Del resto, la soluzione prospettata dal ricorrente, ad essere conseguenti,
dovrebbe valere non solo quando l’azione amministrativa rientri
nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, ma anche quando essa
abbia un’origine esclusivamente nazionale: anche in tal caso, infatti, il
principio di effettività della tutela richiederebbe, per coerenza, la garanzia
dell’uniformità dell’interpretazione delle norme attributive di diritti soggettivi, tanto più quando sono in gioco i diritti fondamentali della persona (di
cui sempre più spesso conosce il giudice amministrativo, con un catalogo
di materie rientranti nella sua giurisdizione esclusiva che si va facendo via
via più fitto ed esteso), e quindi una nuova configurazione dell’eccesso di
potere giurisdizionale derivante dall’errore interpretativo. A questo risultato, tuttavia, le Sezioni Unite, sinora, non hanno ritenuto di poter pervenire,
pur nella consapevolezza dell’esistenza di profili problematici, perché il
principio di eguaglianza postula “l’esigenza della uniforme interpretazione
della legge”, la quale invece, “stante la non ricorribilità delle sentenze dei
giudici amministrativi per violazione di legge”, non ha “strumento alcuno
per attuarsi a fronte di differenti orientamenti (e di un diverso diritto vivente, quindi) che dovesse (e lo potrebbe) formarsi in ordine a medesime
disposizioni . . . nelle non comunicanti giurisprudenze dei giudici ordinari e
amministrativi” (Sez. Un., 30 marzo 2000, n. 72).
Certo, può accadere che la decisione del giudice amministrativo di ultima
istanza contenga una violazione del diritto comunitario in pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto dell’Unione.
Ma il principio di effettività della tutela in presenza di danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario imputabili al giudice amministrativo di ultima istanza non impone né di riaprire quella controversia ormai
– 10 –

paeum.

definitivamente giudicata negli aspetti di merito né di attribuire alla parte
soccombente un nuovo grado di impugnazione dinanzi al giudice regolatore
della giurisdizione al fine di rimediare ad un errore che, pur “sufficientemente caratterizzato”, non si traduca in uno sconfinamento dai limiti della
giurisdizione devoluta al giudice amministrativo. L’ordinamento conosce infatti, là dove la violazione del diritto comunitario sia grave e manifesta, altri strumenti di tutela, secondo una logica di compensazione solidaristica

224/01, Keibler e Repubblica d’Austria; Corte di giustizia, sentenza 13 giugno 2006, nel procedimento C-173/03, Traghetti del Mediterraneo s.p.a.,
in liquidazione, contro Repubblica italiana; Corte di giustizia, sentenza 24
novembre 2011, nella causa C-379/10, Commissione europea contro Repubblica italiana).
6. – La complessità della questione trattata giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.
Risultando dagli atti che il procedimento in esame è considerato esente dal
pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione
di cui al comma 1-quater all’art. 13 del testo unico approvato con il d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013).
PER QUESTI MOTIVI

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e dichiara le spese processuali integralmente compensate tra le parti.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 28 genn.

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20

(cfr. Corte di giustizia, sentenza 30 settembre 2003, nel procedimento C-

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