Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24062 del 07/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 07/09/2021, (ud. 02/03/2021, dep. 07/09/2021), n.24062

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17518-2019 proposto da:

R.L., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della

CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso

dall’avvocato PAOLO PICCOLO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.P., elettivamente domiciliato presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e

difeso da sé medesimo;

– controricorrente –

contro

S.E., MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), UNIPOLSAI

SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2093/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/04/2019.

 

Fatto

RILEVATO

che:

R.L. evocava in giudizio gli avvocati F.P. e P.G.M. deducendo di avere dato mandato ai convenuti di instaurare un giudizio contro l’Inali per il ripristino della percentuale di invalidità originariamente riconosciutagli. Lamentava che, il primo, non aveva dimostrato di avere notificato il ricorso in appello, con conseguente declaratoria di improcedibilità da parte della Corte partenopea e, il secondo, non aveva sollevato la questione riguardante la decadenza dell’Istituto dalla facoltà di esercitare la revisione dell’invalidità, così precludendo al giudice di esaminarla. F. otteneva di chiamare in causa il Ministero di Giustizia, rilevando che la dichiarazione di improcedibilità dell’appello sarebbe dipesa da irregolarità imputabili alla Corte territoriale e al personale di cancelleria e spiegava domanda riconvenzionale per il pagamento delle proprie competenze, oltre che per il risarcimento del danno esistenziale. Anche D.P. chiamava in causa il Ministero, deducendo che il giudice del lavoro, incorrendo in violazione di legge, non avrebbe rilevato d’ufficio la decadenza. Evocava in giudizio anche la propria assicurazione, Fondiaria Sai S.p.A. e la causa, all’esito del decesso del chiamante, veniva riassunta nei confronti della moglie, S.E.;

il Tribunale di Napoli, con sentenza del 26 febbraio 2014, dichiarava il F. responsabile del danno sofferto dall’attore, condannandolo a pagare la somma di Euro 62.751, oltre interessi; rigettava la domanda di risarcimento proposta dall’attore nei confronti di D.P. e, in parziale accoglimento della riconvenzionale proposta da F., condannava l’attore al pagamento della somma di Euro 1.666, oltre interessi. Rigettava la domanda proposta da F. nei confronti del Ministero di Giustizia e quella riconvenzionale proposta da S.E.. Condannava il R. al pagamento delle spese in favore di S.E. e di UnipolSai Assicurazioni, mentre poneva a carico di F. quelle sopportate dal Ministero e dichiarava interamente compensate quelle nei rapporti tra il Ministero di Giustizia e S.E.;

secondo il Tribunale non sussisteva una responsabilità del Ministero atteso che l’ordinanza di assegnazione di nuovo termine era stata adottata in udienza e, quindi, era nota al difensore. Quest’ultimo, invece, era stato negligente perché, dopo la notifica del ricorso, aveva omesso di depositare l’atto introduttivo, pur essendo comparso in occasione di due udienze. Ciò aveva determinato un danno costituito dalla riduzione della percentuale e della relativa rendita. Per il resto, con valutazione prognostica, riteneva che verosimilmente l’appello sarebbe stato accolto. Quanto al credito del professionista, rilevava che il cliente non aveva proposto ritualmente l’eccezione ai sensi dell’art. 1460 c.c. e determinava il compenso riferito al valore della causa corrispondente all’importo della rendita sino alla data di definizione del giudizio di appello;

avverso tale decisione proponeva impugnazione l’avvocato F., contestando la prova del danno e del nesso causale, tra la condotta del professionista e il pregiudizio e censurando la valutazione di ragionevole probabilità di accoglimento del giudizio di appello. Per il resto, la perdita di chances non era risarcibile per assenza di elementi certi, dai quali desumere la elevata probabilità di un pregiudizio economico. Si costituiva R.L. contestando i motivi di gravame, nonché S.E., che concludeva per la conferma della decisione. Analoga richiesta formulava anche il Ministero della Giustizia, mentre Unipolsai Assicurazioni S.p.A. chiedeva di confermare la decisione con condanna di “chi di ragione” al pagamento delle spese di lite;

la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 17 aprile 2019, accoglieva l’appello, per quanto di ragione, e rigettava la domanda di risarcimento proposta da R.L. nei confronti di F.P., compensando le spese nei rapporti tra tali parti. Dichiarava inammissibile e, comunque, rigettava, l’appello proposto nei confronti del Ministero della Giustizia, compensando le spese anche nei rapporti tra R. e il Ministero;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione R.L., affidandosi ad un motivo illustrato da memoria. Resiste con controricorso F.P. e deposita memoria. Le altre parti non svolgono attività processuale in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo si lamenta la violazione dell’art. 346 c.p.c., nonché degli artt. 342 e 343 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4. La Corte territoriale avrebbe errato nell’interpretare l’art. 346 c.p.c. L’odierno ricorrente, quale parte totalmente vittoriosa in primo grado, avrebbe dovuto proporre impugnazione solo nel caso di rigetto di più domande alternative e/o subordinate. Nella vicenda in esame il ricorrente aveva proposto un’unica domanda, riguardante il giudizio prognostico, fondata su tre distinte argomentazioni. Si trattava dell’azione di risarcimento danni da responsabilità professionale, che richiedeva un giudizio prognostico fondato sulla illegittimità della riduzione della rendita prevista dal D.P.R. n. 124 del 1965, art. 83, in assenza di un miglioramento dello stato patologico dell’infortunato ovvero in violazione del divieto di effettuare la revisione oltre il decennio dalla data di costituzione della rendita ovvero per violazione del giudicato riguardante la controversia tra R.L. e l’Inail. Sotto tale profilo la richiesta di rigetto dell’appello presupponeva implicitamente le contestazioni sulla esistenza del fatto costitutivo della domanda. In sostanza, la Corte territoriale avrebbe erroneamente esteso l’applicazione dell’art. 346 c.p.c., che riguarda la disciplina delle domande e delle eccezioni, anche all’onere di affrontare mere difese e prospettazioni difensive;

preliminarmente, deve darsi atto che è pervenuta la comunicazione del decesso l’avv. Negri difensore del ricorrente. La circostanza non assume rilievo in questa sede, sia perché nel giudizio di legittimità non opera l’interruzione, sia perché la comunicazione è stata fatta al nuovo difensore del ricorrente, avv. Piccolo, che costituendosi con memoria (in data 23.2.21) in sostituzione del precedente difensore di R.L. ha sanato ogni eventuale criticità;

il motivo è infondato. La giurisprudenza di legittimità, con la decisione del 12 maggio 2017 n. 11799 a Sezioni Unite, ha chiarito che in caso di rigetto esplicito o implicito inequivoco, il convenuto vittorioso è tenuto a proporre appello incidentale. Nel caso di eccezione ignorata direttamente o implicitamente dal giudice a quo, per il convenuto vittorioso è sufficiente la riproposizione esplicita. Ma in difetto di riproposizione, è insufficiente la mera eccezione in appello. Il meccanismo processuale subisce una deroga (ed è consentita la mera eccezione in appello, senza la riproposizione), se ricorre l’ipotesi di eccezione rilevabile d’ufficio ex art. 345 c.p.c., comma 2;

in particolare, in caso di rigetto esplicito o implicito inequivoco (come nell’ipotesi in esame), il convenuto vittorioso è tenuto a proporre appello incidentale, mentre nel caso di eccezione che venga ignorata direttamente o implicitamente dal giudice, per il convenuto vittorioso è sufficiente la riproposizione esplicita. In questa seconda ipotesi, se non si provvede alla riproposizione è insufficiente la mera eccezione in appello, con l’unica deroga (per cui si ritiene idonea anche la mera eccezione, senza la riproposizione).se si tratta di eccezione rilevabile d’ufficio con l’art. 345 c.p.c., comma 2;

pertanto, in tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2″ (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), né sufficiente la mera riproposizione;

come emerge dal contenuto del ricorso (pagina 12) che trascrive il passaggio rilevante dell’argomentazione della decisione del Tribunale e come evidenziato dalla Corte d’Appello nella decisione impugnata (pagina 5), il primo giudice ha esplicitamente rigettato le due questioni che riguardavano, rispettivamente, la possibilità per l’Inail di procedere ad una revisione della valutazione della posizione dell’odierno ricorrente, nonostante il decorso del termine di 10 anni, previsto al citato D.P.R., art. 83, e (relativamente al 30 motivo di appello), la questione relativa alla p.sa sussistenza di un giudicato vincolante;

pertanto, nel caso di specie, trova applicazione il principio secondo cui, qualora una eccezione di merito sia stata ritenuta infondata nella motivazione della sentenza del giudice di primo grado, ai fini della devoluzione al giudice di appello della sua cognizione ad opera del convenuto vittorioso relativamente all’esito finale della lite, è necessaria la proposizione dell’appello incidentale, non essendo sufficiente la mera riproposizione di cui all’art. 346 c.p.c; pertanto, R. aveva interesse a contrastare la decisione di merito, per rivalutare i due profili ritenuti infondati in primo grado e per evitare il rischio, verificatosi nel caso di specie, di rigetto della domanda nell’ipotesi in cui, in appello, fosse stata ritenuta infondata l’unica argomentazione valutata positivamente dal Tribunale. L’appellato/ Invece, si è limitato a richiedere il rigetto della impugnazione, senza proporre appello incidentale in ordine al rigetto degli altri due motivi a sostegno della domanda di accertamento del pregiudizio sofferto, sui quali, in assenza di censure, si è formato il giudicato;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021

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