Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24060 del 12/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 12/10/2017, (ud. 20/09/2017, dep.12/10/2017),  n. 24060

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9024/2016 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA n. 12,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO RANCHETTI, rappresentata e

difesa dall’avvocato GAETANO CATERA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI C.F. (OMISSIS),

nonchè la DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO DI COSENZA, in persona

dei legali rappresentanti, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 960/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 12/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 20/09/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 12.10.2015, la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della decisione del primo giudice, rigettava l’opposizione proposta da G.M. avverso l’ordinanza-ingiunzione della DPL di Cosenza 21/2011 avente ad oggetto il pagamento di sanzioni amministrative per violazione di norme in materia di tutela del lavoro, segnatamente: del D.L. n. 510 del 1996, art. 9 bis, comma 2, convertito in L. n. 608 del 1996, per omesso invio della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro subordinato con la lavoratrice M.F.A. e della L. n. 264, art. 21, comma 1, sostituito dal D.Lgs. n. 297 del 2002, art. 6, comma 3, per mancata comunicazione di cessazione dello stesso rapporto e di quello con altra lavoratrice; del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 14, comma 2, per omessa comunicazione al momento di assunzione e cessazione del rapporto dei codici fiscali delle lavoratrici; del D.Lgs. n. 181 del 2000, art. 4 bis, comma 2, per omessa consegna alle predette della dichiarazione con i dati della registrazione effettuata sul libro matricola; della L. n. 4 del 1953, artt. 1 e 2, per omessa consegna del prospetto paga; del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, commi 3, 4 e 5, conv. dalla L. n. 73 del 2002, per aver occupato alle proprie dipendenze la lavoratrice suddetta per 799 gg. senza che la stessa risultasse nelle scritture obbligatorie;

che la Corte territoriale riteneva raggiunta la prova delle condotte materiali oggetto di sanzione e la loro ascrivibilità alla G. sulla scorta delle risultanze del verbale ispettivo e, in particolare, di quanto rilevato personalmente dagli ispettori e del confronto, da questi ultimi effettuato, tra le dichiarazioni rese dai lavoratori e quanto rilevabile dalle scritture contabili;

che di tale sentenza la G. ha chiesto la cassazione affidando l’impugnazione a due motivi, ai quali hanno opposto difese il Ministero e la Direzione Provinciale, con controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale la G. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2, con allegata pronuncia del Tribunale di Cosenza.

Diritto

CONSIDERATO

1. che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

2. che viene denunziata, col primo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e, con il secondo, violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c.;

3. che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso;

3.1. che, in ordine al primo motivo, è sufficiente osservare che il rilievo relativo alla avvenuta contestazione nel giudizio di primo grado, da parte della G., di ogni fatto posto a base dell’ordinanza ingiunzione e dell’orario lavorativo giornaliero della lavoratrice M. non è supportato da idoneo richiamo al contenuto specifico delle asserite contestazioni mosse ai fatti suddetti, alle circostanze relative alla durata del rapporto di lavoro, alle modalità della prestazione lavorativa resa e ad ogni altro aspetto ritenuto rilevante ai fini dell’irrogazione delle sanzioni;

che la asserita contestazione dell’orario di lavoro non rileva ai fini voluti dalla ricorrente, essendo corretto l’approccio della Corte che ha posto a fondamento della pronunzia relativa alla correttezza delle sanzioni irrogate unicamente la qualificazione del rapporto e l’epoca di instaurazione dello stesso, indipendentemente da ogni questione riferita all’orario di lavoro, che solo nella presente sede la ricorrente assume essere stato inferiore a quello che aveva determinato l’entità delle sanzioni, questione che, evidentemente, deve ritenersi nuova e come tale inammissibile nel giudizio di legittimità;

che parimenti il richiamo all’esistenza di un giudicato afferente altro giudizio instaurato dalla lavoratrice contro il Centro estetico di G.M. (parti diverse da quelle del presente giudizio), conclusosi con il rigetto della domanda proposta per il riconoscimento di differenze retributive relative al periodo dal 1.10.2004 al 14.11.2007 sull’assunto di un diverso orario lavorativo, non consente di pervenire alle conclusioni volute della ricorrente, posto che, a prescindere da ogni valutazione in ordine alla tempestività del deposito della pronuncia del Tribunale di Cosenza del 21.11.2011, manca ogni attestazione della Cancelleria in ordine alla mancata impugnazione nei termini di legge della pronuncia in oggetto (che, in ogni caso, attesta la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti), ai fini della dimostrazione dell’avvenuto passaggio in giudicato della stessa, in conformità a quanto dedotto dalla G.;

3.2. che, quanto al secondo motivo, deve ribadirsi il principio secondo cui il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonchè alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante nè ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (cfr. Cass. 7.11.2014, conf., tra le altre, a Cass. 11012/2013, Cass. 3705/2013);

che, in applicazione di tale principio, è stato correttamente riconosciuto valore di piena prova al verbale ispettivo dell’INPS, in cui si dà atto che i funzionari avevano personalmente esaminato il libro paga e matricola, nonchè le denunce contributive ed i pagamenti dell’impresa dell’opponente, accertando il mancato rispetto delle prescrizioni di legge, con conseguente irrogazione delle corrispondenti sanzioni amministrative;

che, peraltro, la sostenuta mancanza di valore legale del libro matricola a partire dall’entrata in vigore del D.M. 9 luglio 2008, non rileva nel contesto di una pronuncia, quale quella qui impugnata, pacificamente riferita ad un periodo anteriore (2004-2007) e che complessivamente il motivo si delinea come inammissibile in quanto, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione;

che è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, ex plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003) e che ciò tanto più è vero sotto il vigore dell’art. 360, n. 5, novellato del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis;

che pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, il ricorso va rigettato con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5, non essendo i rilievi contenuti in memoria, per quanto detto, idonei a giustificare una decisione di segno diverso da quella di cui alla proposta;

che le spese del presente giudizio vanno regolate come da dispositivo; che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017

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