Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24059 del 26/09/2019

Cassazione civile sez. I, 26/09/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 26/09/2019), n.24059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26677/2018 proposto da:

H.M., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico

38, presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia del 19-2-2018;

udita la relazione della causa svolta in Camera di consiglio dal

Cons. Dott. FRANCESCO TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

H.M. ricorre per cassazione nei confronti della sentenza della corte d’appello di Perugia che ne ha respinto la domanda di protezione internazionale;

il ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con unico motivo il ricorrente censura la sentenza per omessa applicazione del principio di non refoulement, non potendo esser rifiutata la protezione umanitaria qualora lo straniero possa esser perseguitato nel suo paese di origine o ivi possa incorrere in gravi rischi personali; sostiene che la situazione del Bangladesh, paese di indiscussa provenienza, doveva esser ritenuta rilevante a prescindere dalle dichiarazioni e allegazioni prospettate in giudizio, onde desumerne le condizioni di fatto rilevanti per la protezione umanitaria;

il motivo è inammissibile perchè assolutamente eccentrico rispetto ai fatti allegati a fondamento della domanda;

dalla sentenza risulta – senza censure al riguardo – che il richiedente aveva affermato di essere emigrato dal Bangladesh per ragioni economiche e che, avendo un debito col proprio “padrone”, egli aveva timore per la vita in caso di ritorno in patria, “a causa della reazione del proprio padrone”;

l’impugnata sentenza ha negato la protezione, anche umanitaria, poichè in tale situazione di migrazione avvenuta su base puramente economica non erano stati allegati gravi motivi atti a giustificarla;

contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la domanda diretta a ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo;

il ricorrente ha cioè l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (v. Cass. n. 27336-18); e niente emerge dal ricorso in ordine a gravi motivi di carattere umanitario effettivamente dedotti in aggiunta a quanto considerato dalla corte d’appello;

la declaratoria di inammissibilità del ricorso implica in sè doversi dare atto dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato (Cass. n. 9660-19).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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