Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24057 del 26/09/2019

Cassazione civile sez. I, 26/09/2019, (ud. 24/06/2019, dep. 26/09/2019), n.24057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22014/2018 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Asiago 9

presso lo studio dell’avvocato Edoardo Spighetti e rappresentata e

difesa dall’avvocato Silvana Guglielmo, in forza di procura speciale

in calce al ricorso,

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositata il

04/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/06/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 4/6/2018 il Tribunale di Catanzaro Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea ha respinto il ricorso del D.Lgs. n. 5 del 2008, ex art. 35 bis, depositato il 22/7/2017, da B.M., cittadino del Mali, avverso il provvedimento di diniego opposto dalla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

Il ricorrente aveva raccontato di provenire da (OMISSIS); di aver ereditato un terreno dopo la morte del padre; che lo zio paterno, pretendeva che lui, falegname, lasciasse il lavoro per coltivare un suo campo; che lo zio si era impossessato del terreno; che la sua madre si era opposta e, vittima di magia nera, aveva avuto una gamba paralizzata; che lo zio, uomo violento, lo trattava come uno schiavo; di essere fuggito in Guinea, rientrando un solo giorno per far visita alla figlia, ripartendo prima che lo zio sapesse del suo rientro; che il terreno era rimasto allo zio.

Secondo il Tribunale non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso B.M., con atto notificato il 3/7/2018, svolgendo due motivi. L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su alcuni punti decisivi della controversia.

1.1. In primo luogo, il ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e della correlativa nozione normativa di protezione sussidiaria, che non richiede un timore personale e neppure che il rischio di danno dipenda da ragioni particolari.

Il Giudice avrebbe dovuto quindi d’ufficio indagare sulle condizioni del Mali e sulla possibilità di tutela per il giovane, povero, minorenne analfabeta e perseguitato.

Inoltre una seria indagine sulla situazione del Paese di provenienza avrebbe mostrato che la città di (OMISSIS) era soggetta a continui attentati terroristici di matrice Jihadista.

In secondo luogo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 15, lettera C), della Dir. 2004/83/CE del 29/4/2004, in ordine alla nozione di conflitto armato interno.

Inoltre il Tribunale avrebbe dovuto verificare d’ufficio la sussistenza di situazioni persecutorie nel Paese di origine a prescindere dal giudizio sulla credibilità dell’interessato.

Infine non era vero che il ricorrente non avesse esposto alcun particolare timore per il suo rientro in Mali, a parte quello per lo zio.

Il Giudice aveva errato nell’applicare il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nel valutare la situazione oggettiva della zona di provenienza e nell’esame dell’aspetto soggettivo, negando ripercussioni psicofisiche in caso di rimpatrio.

1.2. Giova rammentare che secondo la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Sez. 1, 12/6/2019, n. 15794) le ragioni fondanti la domanda di protezione devono essere senz’altro allegate dall’interessato. Il richiedente ha il preciso onere di offrire agli organi del Paese al quale rivolge la domanda di protezione ogni elemento utile al suo scrutinio, in un’ottica di schietta collaborazione alla luce della previsione normativa, che impone di procedere all’esame della domanda di protezione internazionale “in cooperazione con il richiedente”.

Inoltre la domanda di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Sez. 1, 28/9/2015, n. 19197).

Il ricorrente nel caso concreto espone la sua censura in maniera oltremodo generica e non indica il diverso timore addotto dal richiedente asilo, diverso da quello rappresentato dalla presenza dello zio violento e aggressivo.

1.3. Quanto al secondo profilo del motivo, la situazione della città di (OMISSIS) è stata specificamente valutata dal Tribunale con riferimento a informazioni COI norvegesi (Landinfo) del 2016, considerando l’esistenza di sporadici attentati terroristici ma escludendo, previa valutazione in concreto, la sussistenza di un conflitto armato interno generalizzato tale da esporre i civili a rischio di violenza indiscriminata.

1.4. In contrasto con la valutazione espressa dal Tribunale, che non si è sottratto all’accertamento officioso della situazione del Paese di origine, il ricorrente contrappone una diversa valutazione, sollecitando da questa Corte un inammissibile apprezzamento di merito, per giunta sulla base di alternative fonti di prova, che compendia senza neppur dar atto di come e quando sarebbero stati e sottoposte al contraddittorio nel giudizio.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, nonchè art. 2 Cost. e agli artt. 3 e 8 CEDU.

2.1. Il ricorrente osserva che la protezione umanitaria ha natura di diritto soggettivo riconoscibile in caso di esposizione in caso di rientro al Paese di provenienza alla violazione di diritti umani fondamentali lesiva della dignità della persona umana.

Il Mali non poteva essere ritenuto un Paese sicuro; in caso di rientro il ricorrente sarebbe esposto a una situazione di estrema vulnerabilità.

Il Giudice aveva errato nel considerare negativamente il contratto di lavoro a tempo determinato (unica soluzione concretamente possibile) o la mancanza di un alloggio locato, non essendo possibile lasciare i centri di accoglienza prima di aver acquisito un titolo di soggiorno di lunga durata.

2.2. Il Tribunale ha riconosciuto in capo al richiedente un principio di integrazione socio-lavorativa, comunque non integrale, e ha comunque affermato, in sintonia con la giurisprudenza di questa Corte, che tale fattore non è di per sè sufficiente al riconoscimento della protezione umanitaria, in difetto di una situazione di particolare vulnerabilità soggettiva e di una intollerabile compressione del livello di tutela dei diritti umani nel Paese di provenienza al di sotto della soglia di dignità.

2.3. Al proposito, questa Corte ha chiarito che i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, sono accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

La condizione di vulnerabilità può avere ad oggetto anche le condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa. Al fine di verificare la sussistenza di tale condizione, non è sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. Il livello di integrazione dello straniero in Italia e il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del richiedente deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente stesso, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la sua situazione particolare, ma quella del suo Paese di origine in termini generali e astratti, in contrasto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il riconoscimento della protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, non può pertanto escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine. Tale riconoscimento deve infatti essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Sez. 1, 23/02/2018, n. 4455).

2.4. Gli assunti del ricorrente si basano su di una situazione di intollerabile compromissione dei diritti umani nel paese di origine, concretamente esclusa con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, su di una indimostrata fragilità soggettiva e su di una integrazione sociale, in parte sussistente ma comunque di per sè insufficiente a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria.

5. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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