Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24057 del 16/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 16/11/2011, (ud. 19/10/2011, dep. 16/11/2011), n.24057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

C.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 63/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 25/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/10/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale del Lazio n. 63/35/5, depositata il 25 ottobre 2005, con la quale, rigettato l’appello della seconda contro quella della commissione tributaria provinciale, veniva disattesa la pretesa relativa al pagamento di maggiori imposte Irpef ed Ilor per il 1992, per le quali era stata emessa cartella di pagamento a seguito di ripresa a tassazione di onorari riscossi e non indicati in dichiarazione da parte di D. C.. La CTR osservava che l’ufficio non aveva fornito alcun supporto probatorio alla sua pretesa, mentre i dati ed elementi indicati nella dichiarazione del reddito per 1.1 1991 corrispondevano alle annotazioni effettuate nei registri Iva per lo stesso anno, sicchè si doveva dedurre che la contestazione di C. fosse fondata. Il contribuente non si è costituito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Preliminarmente va rilevato che il Ministero non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello; pertanto il ricorso proposto anche da esso va dichiarato inammissibile. Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la società contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il rapporto processuale si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate. Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per diletto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. ^19072 del 2003).

3. Ciò premesso, col primo motivo la ricorrente agenzia, deduce violazione di norme di legge, in quanto il giudice di appello non considerava che era proprio l’appellato che doveva fornire la prova del suo assunto, dal momento che non vi era alcuna traccia della somma di L. 129.948.000 non solo nella dichiarazione del reddito relativo al 1991 e nei registri Iva dello stesso anno, ma anche in quella dell’anno 1992 in argomento, tanto che nel rigo E36 attinente ai compensi nessun importo vi figurava. Peraltro il compenso in questione era stato riscosso nel 1992, sicchè per il principio di cassa esso doveva essere indicato con riferimento a quell’anno e non inverosimilmente in quello precedente per competenza.

Il motivo è fondato, in quanto C. non aveva esibito l’elenco clienti e fornitori per il 1992, sebbene richiesto, a nulla valendo che eventualmente ne avesse fatto istanza all’ufficio senza esito, atteso che si trattava di documento contabile che comunque doveva essere sempre in suo possesso sino alla definizione di ogni eventuale pratica di carattere fiscale. Ma a parte ciò, va rilevato che l’ente erogatore della somma in contestazione, e cioè Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Basilicata, aveva rilasciato un’attestazione da cui risultava che quel compenso all’ingegnere contribuente era stato pagato proprio nel 1992, e ciò costituiva elemento rilevante ai fini probatori che ne occupano, essendo determinante il principio di cassa allora vigente.

Invero in tema di imposte sui redditi, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 50, comma 8, (nel testo vigente “ratione temporis”), nel disciplinare, nell’ambito del genere “lavoro autonomo”, il “reddito derivante dai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 49, comma 2, lett. a)”, stabilendo che in tal caso il reddito a dichiararsi “è costituito dall’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, con esclusione delle somme documentate e rimborsate per spese di viaggio, alloggio e vitto relative alle prestazioni effettuale fuori del territorio comunale, ridotto del 10 per cento a titolo di deduzione forfettaria delle altre spese”, non ha lo scopo di concedere un beneficio fiscale, ma quello di determinare, con riferimento ad una specifica sottospecie, la base imponibile da prendere in considerazione per calcolare l’imposta, trovando, pertanto, applicazione a prescindere dal comportamento del contribuente, e, quindi, anche nell’ipotesi di volontaria omessa dichiarazione di tale tipo di reddito, come nella specie (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 4643 del 25/02/2011).

4. Col secondo motivo la ricorrente denunzia ancora violazione di norme di legge, giacchè il giudice di seconde cure non considerava che persino la dichiarazione del reddito relativo al 1991 non riportava alcuna indicazione di compensi nel prescritto rigo” E36, con importo pari a zero, e neppure le annotazioni per l’Iva contenevano alcun riporto in tal senso, nonostante la dichiarazione allegata da C. secondo cui egli avrebbe assoggettato l’emolumento a tassazione relativamente al 1991. Invece era determinante l’attestazione dell’Ente per l’irrigazione suindicata, come pure era rilevante la documentazione Iva, per cui la fatturazione doveva corrispondere all’anno di riscossione, sicchè l’emissione della cartella era legittima sulla scorta della dichiarazione del reddito.

La censura va condivisa, posto che l’amministrazione finanziaria, allorchè riscontri un mero errore materiale o di calcolo emergente “ictu oculi” nella dichiarazione dei redditi, provvede bene di conseguenza a notificare una cartella di pagamento al contribuente in esito alla procedura di controllo automatizzato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 2, lett. a), senza peraltro che essa sia tenuta ad alcuna particolare motivazione di tale provvedimento, onere necessario soltanto quando la contestazione dell’erario si fondi su interpretazioni giuridiche od elaborazioni della documentazione allegata dal contribuente, come nella specie (V. pure Cass. Sentenze n. 9224 del 21/04/2011, n. 26671 del 2009).

5. Il terzo motivo, attinente a vizi di motivazione, rimane assorbito, anche se appare opportuno rilevare che la documentazione Iva doveva essere conservata sino alla chiusura della pratica relativa all’annualità d’imposta e comunque non meno di cinque anni e sino a dieci anni rispetto a quello d’imposizione, senza che il contribuente l’avesse mai esibita.

6. Ne deriva che il ricorso dell’agenzia va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., comma 2, e con rigetto del ricorso in opposizione del contribuente avverso la cartella di pagamento.

7. Quanto alle spese dell’intero giudizio, per quelle relative al rapporto tra il Ministero e l’intimato alcuna statuizione va emessa, stante la mancata costituzione di C., mentre le altre seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze; accoglie quello dell’agenzia; cassa la sentenza impugnata senza rinvio, e, decidendo nel merito, rigetta quello introduttivo, e condanna l’intimato al rimborso delle spese dell’intero giudizio nei confronti della ricorrente, e che liquida complessivamente per il primo grado in Euro 1.000,00 per diritti ed Euro 1.350,00 per onorari; per il secondo in Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 1.600,00 per onorari, e per il presente giudizio in Euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito; alle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2011

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