Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24050 del 26/09/2019

Cassazione civile sez. I, 26/09/2019, (ud. 10/05/2019, dep. 26/09/2019), n.24050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21495/2015 proposto da:

Z.G. + 2, elettivamente domiciliati in Roma rappresentati

e difesi dall’avvocato Luca Pavanetto, che la rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Veneto Banca scarl, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’avvocato

Giovanni Galoppi, che, unitamente all’avvocato Antonella Lillo, la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1474/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA

depositata il 18/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/05/2019 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Gli eredi di Z.G. impugnano al fine della sua cassazione l’epigrafata sentenza della Corte d’Appello di Venezia che, rigettando l’appello del loro dante causa, ha confermato la decisione di rigetto in primo grado della domanda di risarcimento proposta dallo Z. nei confronti di Veneto Banca scarl in conseguenza della truffa posta in essere in suo danno dal direttore di una sua dipendenza, tale F.M.T., che, a più riprese tra il maggio ed il novembre 1998, aveva indotto lo Z. a prelevare la somma di complessivi EUR 180.759,91 dal proprio conto e l’aveva utilizzata diversamente da quanto convenuto.

Per la cassazione di detta sentenza, motivata sull’assunto che la domanda attorea, trattata con il rito “societario” era rimasta indimostrata tanto perchè le istanze istruttorie rassegnate nella memoria di replica di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 6 erano state dichiarate inammissibili a causa del tardivo deposito di essa, quanto perchè le risultanze emerse nel corso del processo penale in danno della F. non erano state ritenute concludenti, gli odierni ricorrenti si affidano a due motivi di ricorso ai quali resiste la banca con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Nel resistere al ricorso la banca ha eccepito previamente il difetto di legittimazione degli istanti sulla considerazione che costoro, agendo nell’asserita veste di successori mortis causa dell’originario attore, non hanno “dato prova delle altre circostanze che li avrebbero legittimati a proporre il ricorso per cassazione” e cioè dell’esistenza di un testamento che li istituiva eredi ovvero del rapporto di parentela con il de cuius e di essere perciò gli unici eredi legittimi di questo.

3. Esaminando le carte processuali, a cui il collegio si deve ritenere abilitato in quanto la Corte è qui giudice del fatto processuale, e prendendo atto che effettivamente da esse non si apprende nessuna ragione giustificatrice sul piano della legittimazione processuale dell’iniziativa incoata, giacchè nè in sede di ricorso nè nei termini dell’art. 372 c.p.c. i ricorrenti si sono dati cura di comprovare il loro status, non replicando neppure a termini dell’art. 380-bis1 c.p.c. al rilievo avversario, l’eccezione deve ritenersi fondata, sicchè, posto che secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte il soggetto che proponga impugnazione ovvero vi resista nell’asserita qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresì fornire la prova – la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, è rilevabile d’ufficio – delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo ex art. 110 c.p.c. (Cass., Sez. U, 22/04/2013, n. 9692), ne discende che in difetto “il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per mancanza di prova della legittimazione ad impugnare” (Cass., Sez. IV, 27/01/2011, n. 1943).

4. Dichiarandosi perciò inammissibile il proposto ricorso, le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da susseguente dispositivo.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 10 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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