Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24049 del 26/09/2019

Cassazione civile sez. I, 26/09/2019, (ud. 10/05/2019, dep. 26/09/2019), n.24049

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17725/2015 proposto da:

BANCO DI NAPOLI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio

dell’avvocato Dario Martella, che la rappresenta e difende, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SAPONARO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’avvocato

Stefano Loconte, che la rappresenta e difende, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza non definitiva n. 684/2012 e la sentenza

definitiva n. 310/2012 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositate il

10/12/2012 e il 27.4.2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/05/2019 dal Cons. MARCO MARULLI;

lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Con sentenza non definitiva n. 684/2012, seguita da riserva di gravame in uno con la sentenza definitiva n. 310/2015, la Corte d’Appello di Lecce, attinta in sede di gravame dalla Saponaro s.r.l., ha riformato l’impugnata decisione di primo grado nella parte in cui questa aveva assunto, ai fini del ricalcolo del rapporto di dare-avere relativo al conto corrente a suo tempo in essere con il Banco di Napoli al netto delle pattuizioni inficiate di nullità, il saldo iniziale pari al primo degli estratti conto prodotti dalla banca risalente al (OMISSIS) ancorchè il rapporto avesse avuto inizio il (OMISSIS).

1.2. A supporto del decisum la Corte territoriale, ravvisato l’onere della banca in ragione delle rilevate nullità, segnatamente in punto di capitalizzazione degli interessi, di provare l’effettiva entità del proprio credito, ha affermato che, “poichè l’importo riportato nel primo estratto conto prodotto in giudizio – che costituisce il risultato dell’andamento dei conti degli anni pregressi nel corso dei quali è stata computata la capitalizzazione trimestrale degli interessi – non può costituire la base di calcolo del credito della banca, in difetto di prova dell’effettiva entità del credito della banca alla data del primo estratto conto prodotto, occorre rideterminare il rapporto di dare-avere tra le parti partendo da un saldo pari a zero”.

1.3. Per la cassazione di dette sentenze ricorrono in via principale la banca con ricorso affidato a sei motivi, illustrati pure con memoria, ed in via incidentale la Saponaro con ricorso affidato due motivi, entrambi resistendo reciprocamente con controricorso.

Requisitorie del P.M. e memoria della banca ex art. 380-bis1 cod. proc. civ..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo del proprio ricorso la banca lamenta la violazione degli artt. 345 e 112 c.p.c. in cui sarebbe incorsa la prima delle sentenze impugnate, poichè, sebbene avanti al giudice di primo grado la Saponaro si era limitata a chiedere solo che, in relazione alla denunciata nullità di talune clausole figuranti nel contratto di conto corrente, fosse accertato l’esatto ammontare dell’eventuale credito della banca nei suoi confronti, in sede di appello aveva invece insistito per la condanna della banca al rimborso del saldo attivo, in tal modo introducendo nel giudizio una domanda nuova, di cui la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare d’ufficio l’inammissibilità.

3. La violazione dell’art. 345 c.p.c. è denunciata poi con il secondo motivo di ricorso della banca sul presupposto, imputato sempre alla prima delle richiamate sentenze, che la Corte d’Appello, decretando l’inutilizzabilità del primo saldo bancario disponibile, avrebbe accolto un’eccezione mai proposta dalla Saponaro, che si era infatti limitata a chiedere in primo grado il ricalcolo delle partite contabili, senza eccepire alcunchè al riguardo e che detta eccezione aveva sollevato solo in sede di gravame.

4. Il terzo e quarto motivo di ricorso allegano, sempre con riferimento alla prima sentenza impugnata, la violazione, rispettivamente dell’art. 2033 c.c. e art. 2697 c.c., comma 1 e dell’art. 2033c.c. e art. 2697 c.c., comma 2, poichè la Corte d’Appello, onerando la banca di provare l’andamento del conto anche in relazione al periodo non documentato dagli estratti conto disponibili, avrebbe, in spregio alle prime norme rubricate, accollato alla banca un onere probatorio di competenza del cliente, che quando agisce in ripetizione è tenuto ad offrire prova dei pagamenti effettuati e dell’inesistenza di una causa debendi, mentre, in spregio alle norme richiamate per seconde, avrebbe onerato la banca, sul rilievo di ritenere dimostrato, in difetto della prova anzidetta, l’indebito per il periodo pregresso, di dare la prova del fatto estintivo o modificativo di segno contrario.

5. I sopradetti motivi, quantunque in una visione d’assieme si mostrino saldamente avvinti attorno al medesimo tema decisionale, non si prestano tuttavia ad un responso omogeneo.

6. Infondato deve, per vero, giudicarsi il primo di essi, non già però per le ragioni che vi oppone la controricorrente (la domanda restitutoria somministrata nella conclusionale avanti al primo giudice darebbe luogo ad una emendatio libelli, onde non la si potrebbe ritenere nuova se statuita dal secondo giudice), a confutar le quali basterebbe dire che anche nella più generosa delle ipotesi, quella che fa leva secondo la lezione nomofilattica delle SS.UU. sull’unitarietà della vicenda sostanziale dedotta in giudizio (Cass., Sez. U, 15/06/2015, n. 12310), la domanda restitutoria, per essere contenuta nella conclusionale di primo grado, sarebbe stata in ogni caso proposta oltre i termini preclusivi dell’art. 183 c.p.c., comma 5.

E’ piuttosto il giudicato che si è formato su di essa a seguito del suo accoglimento da parte del giudice di primo grado a prestarvi resistenza. E ciò perchè, sebbene sia vero che nell’introdurre il giudizio in primo grado l’attrice si fosse limitata a perorare il semplice accertamento dei rapporti dare-avere tra sè e la banca convenuta e solo nella predetta conclusionale abbia corredato l’originaria istanza anche della pretesa restitutoria, il fatto che il giudice di primo grado abbia accolto questa pretesa ed abbia perciò condannato la banca al pagamento del saldo creditorio risultante a favore dell’attrice spiana de plano la strada alla formazione del giudicato, una volta che la relativa pronuncia non sia stata fatta oggetto di gravame. Poichè nella specie non consta che la pronuncia sul punto sia stata infatti impugnata, ogni ipotetico vizio allegato riguardo alla domanda deve ritenersi naturalmente assorbito in ragione della intervenuta inoppugnabilità della decisione ai sensi degli artt. 324 e 329 c.p.c. e del conseguente giudicato interno in tal modo formatosi, con il riflesso effetto che essa non si sarebbe potuta considerare nuova dal giudice d’appello e non si sarebbe potuto pretendere che questi ne rilevasse l’inammissibilità a mente dell’art. 345 c.p.c..

7. L’incensurabilità della decisione impugnata sotto il profilo testè esaminato non è senza ricadute riguardo agli altri temi di indagine. Se, infatti, non è più revocabile in dubbio che la domanda restitutoria sia venuta a costituire in considerazione del giudicato formatosi su di essa oggetto del contraddittorio processuale, la conseguenza di questa impostazione, a cui si raccordano pur sotto una diversa angolazione il terzo ed il quarto motivo di ricorso, come già ricordato dalle SS.UU. (Cass., Sez. U, 2/12/2010, n. 24418), è la riconduzione della domanda nello schema caratteristico della condictio indebiti giacchè la pretesa che in essa si manifesta mutua le proprie radici dal fatto che la banca, applicando al conto condizioni contrattuali a vario titolo inficiate di nullità, abbia conseguito un pagamento indebito, come tale suscettibile di ripetizione secondo le regole dell’art. 2033 c.c.. E’ però sul punto stabile convinzione di questa Corte che il corretto governo delle regole probatorie, in guisa delle quali compete all’attore provare i fatti costitutivi posti a fondamento della domanda, porti a ritenere che l’onere della prova gravi in via prioritaria sul solvens, sicchè anche nel campo che ne occupa si afferma, senza soluzione di continuità, rispetto a quanto più in generale si pensa riguardo all’azione di ripetizione dell’art. 2033 c.c., che “nei rapporti bancari in conto corrente, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi, sicchè il medesimo ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute” (Cass., Sez. VI-I, 23/10/2017, n. 24948).

Emerge in tal modo la verità di quanto allegato dalla ricorrente con il terzo e quarto motivo di ricorso, poichè, facendo onere alla banca di provare l’andamento del conto corrente nel periodo non coperto dalle scritture contabili della stessa, quantunque l’accoglimento della domanda restitutoria fosse ragione per collocare la relativa azione sotto l’ombrello dell’art. 2033 c.c., la Corte d’Appello è incorsa in un manifesto capovolgimento delle regole governanti la ripartizione dell’onere della prova, accollando alla banca – e traendo dalla sua inosservanza l’assunto del saldo zero – un onere probatorio che se fosse stato correttamente amministrato, in adesione allo schema processuale azionato dall’attrice – e comunque, dopo la pronuncia di primo grado, non più redimibile perchè soggetta alla legge del giudicato – avrebbe dovuto far capo al correntista, questi invero avendo chiesto che la banca fosse condannata a ripetere quanto indebitamente riscosso. Se è vero, infatti, che è corretto reputare che, quando sia la banca a farsi attrice e a reclamare il saldo risultante dal conto corrente, gravi su di essa l’onere di provare il credito vantato e che si impone perciò la rideterminazione del saldo finale mediante la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto sulla base degli estratti conto a partire dalla sua apertura non potendo ritenersi provato il credito in conseguenza della mera circostanza che il correntista non abbia formulato rilievi in ordine alla documentazione prodotta nel procedimento monitorio, altrettanto non è sostenibile in relazione alla diversa ipotesi in cui sia il correntista ad agire con l’azione di ripetizione, dato che in questo caso grava sul medesimo l’onere di provare la pretesa creditoria fatta valere, attraverso la produzione degli estratti conto relativi all’intero periodo del rapporto a cui si riferisce la domanda d’indebito, in difetto del che non potrà assumersi a base di calcolo il saldo zero – questo imponendosi, al netto di ogni altra questione, solo se inosservante dell’onere probatorio su di sè gravante sia la banca, non essendo dimostrato in che modo il saldo figurante si sia formato – ma il primo saldo disponibile di cui il correntista abbia dato prova (Cass., Sez. I, 28/11/2018, n. 30822).

8. La fondatezza del terzo e del quarto motivo di ricorso, rende superflua la cognizione del secondo motivo, dato che se la pronuncia si rende perciò conseguentemente irrita nella parte in cui ha indicato il saldo zero come base di rideterminazione dei rapporti dare-avere, la ricorrente non ha nessun interesse processuale a sollecitarne l’esame; e comporta l’assorbimento dei quinto e del sesto motivo di ricorso, entrambi incidenti su aspetti collaterali rispetto a quello denunciato con il terzo ed il quarto motivo; nonchè dei due motivi del ricorso incidentale afferenti alle spese e alla denegata rivalutazione monetaria.

9. In conseguenza va accolto il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rigettato il primo e dichiarati assorbiti il secondo, il quinto il sesto e tutti i motivi del ricorso incidentale.

L’impugnata decisione andrà perciò cassata nei limiti dei motivi accolti e la causa andrà rinviata avanti al giudice a quo per un nuovo giudizio a mente dell’art. 383 c.p.c., comma 1 e art. 384 c.p.c., comma 2.

P.Q.M.

Accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbiti il secondo, il quinto, il sesto motivo del ricorso principale e tutti i motivi del ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Lecce che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I sezione civile, il 10 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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