Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24042 del 26/09/2019

Cassazione civile sez. I, 26/09/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 26/09/2019), n.24042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4249/2015 proposto da:

Banca Credito Cooperativo Palestrina Scarl, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via

P.I. Da Palestrina 19 presso lo studio dell’avvocato Marco

Prosperetti che lo rappresenta e difende per procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento S. Srl, in persona del Curatore pro tempore

elettivamente domiciliato in Roma V.le Bruno Buozzi 107 presso lo

studio dell’avvocato Giovanni Gorio che lo rappresenta e difende in

forza di procura in calce alla memoria di costituzione di nuovo

difensore;

– controricorrente –

e contro

S.R., elettivamente domiciliato in Roma Piazzale Clodio

56 presso lo studio dell’avvocato Graziella Silvana Zarcone che lo

rappresenta e difende in forza di procura in calce al ricorso;

– ricorrente qualificato contro ricorrente;

– ricorrente incidentale –

contro

Banca Credito Cooperativo Palestrina Scarl, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via

P.I. Da Palestrina 19 presso lo studio dell’avvocato Marco

Prosperetti che la rappresenta e difende in forza di procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4994/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/03/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 29/7/1994 la s.r.l. S., S.R. e L.P. adivano il Tribunale di Roma, evocando in giudizio la Cassa Rurale e Artigiana di Palestrina soc.c.oop. a r.l.; essi esponevano che la società S. aveva ottenuto un affidamento in conto corrente di Lire 583.000.000 e aveva stipulato un mutuo per l’importo di Lire 600.000.000 per la realizzazione di un nuovo capannone da adibire ad autosalone con garanzia personale di S.R. e L.P.; che in data 30/9/1992 la Banca aveva comunicato l’avvenuta erogazione di Lire 218.000.000 a completamento della somma concessa in mutuo; che la S. s.r.l. aveva emesso un assegno di Lire 150.000.000 versandolo su altro conto corrente intrattenuto con altra Banca; che l’assegno non era stato pagato perchè la Banca convenuta aveva ridotto unilateralmente l’affidamento a sole Lire 370.000.000 e aveva trattenuto la predetta somma di Lire 218.000.000 a copertura dello sconfinamento della somma affidata a causa della riduzione praticata al fido, peraltro non comunicata alla cliente; che la mancata erogazione dell’ultima tranche di mutuo aveva determinato rilevanti difficoltà a causa degli impegni assunti per la realizzazione dell’autosalone, impedendo la prosecuzione dell’attività commerciale, determinando l’interruzione dei rapporti con Fiat e creando gravi problemi con clienti, fornitori e altre banche e provocando così il dissesto finanziario. Chiedevano pertanto il risarcimento dei danni indicato in tre miliardi di Lire.

La Banca convenuta non si costituiva in giudizio e rimaneva contumace.

Nel frattempo con altro atto di citazione i tre attori avevano opposto dinanzi al Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo per l’importo di Lire 333.507.728 ottenuto dalla Cassa Rurale e Artigianale di Palestrina, di cui avevano chiesto la revoca, proponendo altresì domanda riconvenzionale avente tenore e causale analoghi a quella del primo giudizio.

La Banca convenuta opposta si era costituita, chiedendo il rigetto dell’opposizione e della domanda ed il giudizio era stato dichiarato interrotto per effetto della dichiarazione di fallimento della s.r.l. S..

S.R. riassumeva il giudizio nei confronti del Fallimento S. s.r.l. e della Cassa Rurale e Artigiana di Palestrina, ma non di L.P..

Con sentenza del 4/10/2003 il Tribunale di Roma dichiarava la nullità del primo atto di citazione del 29/7/1994 per violazione dei termini a comparire, rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo, ritenuta generica e infondata, rigettava la domanda riconvenzionale, in difetto di responsabilità della Banca che aveva operato nel rispetto delle norme contrattuali e condannava S.R. e il Fallimento S. s.r.l. alle spese del giudizio.

2. S.R. ha proposto appello contro la sentenza di primo grado, a cui ha aderito con appello incidentale il Fallimento S. s.r.l.

La Banca di Credito Cooperativo di Palestrina soc. coop. a r.l., già Cassa Rurale e Artigiana di Palestrina, ha resistito al gravame.

Con sentenza parziale n. 3959/2007 la Corte di appello di Roma ha respinto l’appello quanto al rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo, disponendo la prosecuzione del giudizio quanto alla domanda risarcitoria, istruita mediante consulenza tecnica contabile.

La Corte di appello, con sentenza 4994 del 24/4/2014, ha accolto il gravame del Fallimento S. e ha condannato la Banca a pagare al Fallimento la somma di Euro 120.009,30, oltre accessori e spese e ha invece rigettato la domanda risarcitoria proposta da S.R. a spese compensate del doppio grado del giudizio.

La Corte romana ha ritenuto fondata la doglianza di S.R. circa l’erronea dichiarazione di nullità dell’atto di citazione del 29/7/1994 perchè il Tribunale avrebbe dovuto disporre la rinnovazione entro termine perentorio; il vizio era comunque superato dall’avvenuta instaurazione del secondo giudizio di analogo contenuto; ha ritenuto sussistente la responsabilità della Banca in ordine al dissesto finanziario e al fallimento provocato alla società S., per violazione dei doveri di buona fede nell’esecuzione del rapporto, nel corso del quale la società, pur in difficoltà, non aveva mai violato i propri impegni; ha valutato nel 25% l’efficienza causale del comportamento della Banca nella provocazione del dissesto della società S.; ha escluso che il danno provocato alla società potesse essere reclamato dal socio S.R..

3. Con ricorso notificato il 6/2/2015 al Fallimento S. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione la Banca di Credito Cooperativo di Palestrina, 4994 del 24/7/2014, non notificata, svolgendo unitario motivo.

Con controricorso notificato il 26/3/2015 il Fallimento intimato ha resistito al ricorso, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Con atto notificato il 17/9/2015 ha proposto ricorso per cassazione anche S.R. avverso la sentenza 4994 del 24/7/2014, non notificata, svolgendo unico articolato motivo.

Con atto notificato il 19/10/2015 ha proposto controricorso la Banca di Credito Cooperativo di Palestrina, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’impugnazione di S.R..

Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso della Banca di Credito Cooperativo di Palestrina e l’accoglimento del ricorso di S.R..

Il Fallimento S. e la Banca di Credito Cooperativo di Palestrina hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Banca di Credito Cooperativo di Palestrina con il proprio motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 1218 e 1375 c.c. e omesso esame di fatti decisivi.

1.1. La decisione sarebbe viziata dalla mancanza di riferimenti ad elementi di fatto e cronologici.

Il supposto comportamento non conforme a buona fede della banca risaliva a ben cinque anni prima del fallimento, dichiarato nel 1999, per quanto attinente la riduzione e la revoca del fido, e a sette anni prima, quanto al mutuo. Non poteva essere ritenuta contraria a buona fede la riduzione e le revoca dei fidi ad una società che versava in sostanziale decozione; vi erano inoltre altri soggetti finanziatori della società.

Il mutuo comunque era stato goduto dalla società ed era stato erogato a stati avanzamento lavori.

1.2. Non sussiste (violazione di legge ed omesso esame di fatto decisivo) nè l’uno nè l’altro vizio così promiscuamente denunciati, perchè nella sostanza la ricorrente prospetta una doglianza di puro merito, volta a recriminare in ordine alla valutazione espressa dalla Corte circa la violazione da parte della Banca dei doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di conto corrente con affidamento e del mutuo di scopo.

1.3. Il preteso omesso esame riguarderebbe la sequenza temporale e in particolare il rilevante intervallo (cinque e sette anni) intercorso tra le condotte addebitate alla Banca e la dichiarazione di fallimento: tale circostanza non è però affatto sfuggita alla Corte che ha tuttavia collegato il comportamento stigmatizzato della Banca alla crisi finanziaria e al dissesto della s.r.l. S. e non già al fallimento.

In particolare, la Corte di appello ha ravvisato il nesso causale tra i comportamenti ritenuti non corretti della Banca (riduzione dell’affidamento in conto corrente e mancata “effettiva” erogazione della somma oggetto del mutuo di scopo) e alcune specifiche circostanze (maggiori interessi che la società ha dovuto pagare ad altre Banche, perdita dell’acconto versato al costruttore del capannone, mancati redditi), a loro volta collegate causalmente al dissesto dell’impresa.

Più specificamente, quanto all’affidamento in conto corrente, la Corte territoriale si è basata sugli accertamenti e le valutazioni compiuti dal consulente tecnico d’ufficio, ha affermato che sino al della riduzione dell’affidamento, con il conseguente recupero dell’esposizione, la S. s.r.l., pur in difficoltà, aveva tenuto fronte agli impegni finanziari e ha conseguentemente reputato ingiustificato e non conforme a buona fede la riduzione dell’affidamento disposta dalla Banca.

Quanto al mutuo di scopo, la Corte di appello ha sostenuto che la disinvolta operazione della Banca, per effetto del meccanismo di riduzione dell’affidamento e della compensazione praticata (tra il credito della Banca per il recupero della somma affidata e la giacenza della somma versata alla S. relativa all’ultima rata di erogazione del mutuo), aveva fatto in modo che la società non disponesse mai effettivamente della somma necessaria secondo il programma contrattuale concordato inter partes per coprire finanziariamente la realizzazione del nuovo capannone.

Secondo la Corte di appello e il Consulente tecnico, il comportamento della Banca ha costituito una concausa efficiente del dissesto della società nella misura del 25 % (il resto essendo invece dovuto alla situazione finanziaria oggettivamente precaria di S. s.r.l.).

Appaiono così riversate nel puro merito le recriminazioni della Banca ricorrente, che semplicemente dissente dalla valutazione delle risultanze probatorie formulate dalla Corte territoriale.

1.4. L’ulteriore affermazione della ricorrente secondo cui, in contrasto con la sentenza impugnata, l’ultima rata di mutuo sarebbe stata invece erogata, è proposta in modo generico, senza indicare atti ed evidenze probatorie che la conforterebbero, come osserva puntualmente il Procuratore generale.

Dalla sentenza impugnata (pag. 8) comunque è dato comprendere che la somma versata in conto corrente alla S. relativamente all’ultima rata di erogazione del mutuo è stata immediatamente compensata con il credito della Banca derivante dalla riduzione del fido: la Corte di appello peraltro sostiene che tramite il descritto meccanismo, di fatto la somma non è stata messa effettivamente a disposizione del mutuatario in contrasto con il programma contrattuale.

1.5. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

2. Con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente S. denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2043,2059,2350,2377,2395 e 2384 c.c. agli artt. 99,100,112 e 116 c.p.c. e agli artt. 41 e 42 c.p..

2.1. In via preliminare, la Corte osserva che il ricorso proposto da S.R. come “ricorso principale” deve considerarsi “ricorso incidentale”, in quanto proposto successivamente al ricorso principale proposto dalla Banca di Credito Cooperativo di Palestrina, contro la stessa sentenza (e a lui non notificato).

Infatti, secondo consolidata giurisprudenza, il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo, perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; resta fermo, però, che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli art. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi. Detto termine decorre dall’ultima notificazione dell’impugnazione principale nel caso in cui tale impugnazione sia stata notificata anche alla parte che propone l’impugnazione incidentale. (Sez. 1, 04/12/2014, n. 25662; Sez. 2, 20/06/2014, n. 14118).

Il ricorso principale dello S. si converte pertanto in ricorso incidentale, da ritenersi tempestivo, perchè il ricorso della Banca non gli era stato notificato.

2.2. Secondo il ricorrente, dovevano essere considerati non risarcibili solo i danni indiretti o riflessi, che cioè risultino una mera conseguenza dell’impoverimento del patrimonio sociale patito dalla società per effetto del fatto illecito del terzo.

Invece i soci e i terzi direttamente danneggiati ex art. 2395 e 2043 c.c. ben potevano essere considerati legittimati all’azione risarcitoria.

Il danno subito dal Dott. S.R. non era affatto un danno riflesso ma investiva direttamente la sua sfera personale; egli aveva perso tutto, compresa la casa, e aveva visto compromesse le possibilità di studio per i figli; egli aveva patito un danno alla sua sfera economica e lavorativa e aveva subito un danno all’onore e all’immagine, nonchè un danno da riduzione del c.d. “merito creditizio”.

S.R. sostiene cioè di aver agito art. 2043 c.c. per lamentare il danno patito come fideiussore della società e il pregiudizio alla propria attività economica e lavorativa, all’onore e all’immagine.

2.3. Tuttavia il ricorrente S. non ha dato adeguatamente conto, nel rigoroso rispetto del canone di specificità e pertinenza del ricorso e dei correlativi oneri di deduzione, di aver proposto in primo grado una valida domanda del contenuto descritto nel motivo di ricorso, completa di tutti i suoi elementi costitutivi essenziali e di averla correttamente riproposta in appello.

Fra i requisiti essenziali della domanda giudiziale, la cui indeterminazione è sanzionata dall’art. 164 c.p.c., comma 4, figura non solo “la cosa oggetto della domanda” (ossia il petitum) ma anche la “l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni” (ossia la causa petendi); tale ultimo requisito non è certamente soddisfatto dalla mera indicazione delle norme di diritto invocate, ma richiede necessariamente e soprattutto l’indicazione dei fatti (la fattispecie concreta) in forza dei quali la domanda viene proposta (e cioè dei fatti che, opportunamente sussunti nella fattispecie astratta, giustificherebbero l’accoglimento della richiesta della parte).

Il ricorso non dà affatto conto di siffatto imprescindibile elemento.

Nell’esposizione sommaria dei fatti ex art. 366 c.p.c., n. 3, contenuta nel ricorso qualificato incidentale, non vi è traccia di tale domanda e tantomeno delle sopra esposte deduzioni volte a connotare la domanda come rivolta ad ottenere un risarcimento del danno subito da S.R. uti singulus e non uti socius.

Nè tale giudizio può essere modificato dall’analisi del motivo, in cui il ricorrente, qualificato incidentale, non deduce come e quando avrebbe introdotto in giudizio la domanda a cui si riferisce con il proprio rimprovero volto alla Corte territoriale di averla erroneamente omologata a una richiesta di “danno riflesso”.

Alle pagine 11-12 il ricorrente si riferisce alle deduzioni effettuate nella causa che aveva condotto alla sentenza 27733/2013 di questa Corte.

Alle pagine 16-18 il ricorrente incidentale espone i pregiudizi subiti, senza accennare alle modalità di deduzione in causa.

Gli unici riferimenti ad atti processuali sono relativi alla comparsa conclusionale d’appello del 15/11/2013 e a una nota di osservazioni del Consulente tecnico di parte dell’8/2/2019, che al di là della loro evidente parzialità e incompletezza non sono, ovviamente, atti idonei all’introduzione di tempestiva domanda in giudizio.

2.4. Anche il ricorso qualificato incidentale di S.R. deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

3. Le spese meritano compensazione in vista della reciproca soccombenza tra S.R. e la Banca di Credito Cooperativo di Palestrina.

Questa invece dovrà rifondere le spese del giudizio di legittimità al Fallimento della S. s.r.l., nei cui confronti è pienamente soccombente, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso principale di Banca di Credito Cooperativo di Palestrina s.c.a.r.l. e il ricorso incidentale di S.R.;

dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità tra la ricorrente Banca di Credito Cooperativo di Palestrina s.c.a.r.l. e il ricorrente incidentale S.R.;

condanna la ricorrente Banca di Credito Cooperativo di Palestrina s.c.a.r.l. al pagamento in favore del controricorrente Fallimento S. s.r.l. delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 %, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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