Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24040 del 23/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24040 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 25427-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, domiciliata in
ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo STUDIO TRIFIRO’
& PARTNERS, rappresentata e difesa dall’avvocato
SALVATORE TRIFIRO’, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2618

contro

CAMPANA GIANPIERA VALENTINA elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio
dell’avvocato GALLEANO SERGIO, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 23/10/2013

difende, giusta delega in atti;

controri corrente

avverso la sentenza n. 968/2007 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 29/10/2007 R.G.N. 187/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

DI CERBO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega
TRIFIRO’ SALVATORE;
udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per:
rinvio, in attesa di decisione della Corte
Costituzionale, in subordine accoglimento per quanto
di ragione, sotto il profilo risarcitorio.

udienza del 19/09/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO

25427.08

Udienza 19 settembre 2013

Pres. P. Stile
Rel V. Di Cerbo

La Corte
Rilevato che
1.

La Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza di prime cure che aveva
dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, con decorrenza 21
dicembre 1999, stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Gianpiera Valentina Campana.

2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da
memoria; la lavoratrice ha resistito con controricorso pure illustrato da memoria.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

La Corte di merito ha affermato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro
in esame avendo attribuito rilievo decisivo alla considerazione che tale contratto è stato
stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994,
come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 -, in data successiva al 30
aprile 1998.

5.

La statuizione concernente l’illegittimità del termine è stata censurata dalla società
ricorrente con i primi quattro motivi di ricorso con i quali è stata denunciata violazione
e falsa applicazione dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, degli artt. 1 e 2 della legge n.
230 del 1962 e degli artt.1362 e segg. cod. civ. in relazione all’art. 8 del c.c.n.l. 26
novembre 1994 e di altre norme collettive, nonché vizio di motivazione.

6.

Le suddette censure sono infondate e devono essere pertanto rigettate. Ed infatti, sulla
scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla
contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire
nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962,
discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali
sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace
diritti (con l’unico limite della predeterminazione della
salvaguardia per i loro
percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo
indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche
di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di
lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali
all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo
determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245,

3

Sentenza

aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con
l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass.
1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n.
21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
7.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

8.

Prima di esaminare il quinto e sesto motivo di ricorso, concernenti la statuizione sul
risarcimento del danno, occorre premettere che, per quanto concerne le conseguenze
economiche derivanti dalla dichiarazione di illegittimità della clausola appositiva del
termine, si pone il problema, sollevato da entrambe le parti nelle memorie depositate
ai sensi dell’art. 378 cod. civ., dell’applicabilità al caso di specie dello ius superveniens,
rappresentato dall’art. 32, commi 5°, 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in
vigore dal 24 novembre 2010.

9.

In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione necessaria
per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio
2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere
sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria. Ne consegue che,
con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad
essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che vi siano motivi di ricorso che
investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del
termine e che essi siano ammissibili; in particolare, ove, come nel caso in esame, il
ricorso sia stato proposto avverso una sentenza depositata successivamente alla data di

4

Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta
di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono
destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra
le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro,
ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti
collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza
determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23
agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in
particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche
qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo
sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e
con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla
trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30

entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e prima del 4 luglio 2009 (data di
entrata in vigore della legge n. 69 del 2009), tali motivi devono essere altresì corredati,
a pena di inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato quesito di
diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi applicabile; in
caso di assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze

10. Con il quinto motivo la società ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1206,
1207, 1217, 1219, 2094 e 2099 cod. civ., lamenta, in buona sostanza, la violazione dei
principi in tema di mora accipiendi e di corrispettività della prestazione. Il motivo si
conclude con il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile
ratione temporis alla fattispecie: per il principio della corrispettività della prestazione, il

lavoratore — a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a
termine stipulato — ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di
riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo
espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206
e segg. cod. civ. Col sesto motivo viene denunciato il vizio di motivazione con
riferimento alla individuazione della data di costituzione in mora.
11. Osserva il Collegio che il quesito relativo al quinto motivo di ricorso risulta del tutto
generico e sostanzialmente non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve
nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia senza enucleare il
momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di
merito (cfr. Cass. 4 gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto
con i principi enunciati da questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5
gennaio 2007 n. 36) secondo cui il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità
del relativo motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve essere
chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente
un quesito generico e non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo
motivo, come nel caso di specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1 settembre 2011
n. 17674). La stessa conclusione di inammissibilità vale per il vizio di motivazione
denunciato nel sesto motivo sia per violazione del principio di autosufficienza (viene
denunciata l’erronea interpretazione di un documento senza riportarne il contenuto)
sia perché privo del “momento di sintesi” che la giurisprudenza di questa Corte (cfr., in
particolare, Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556) ha individuato come una esposizione chiara
e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa
o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende
inidonea la motivazione a giustificare la decisione. In relazione alla inammissibilità dei
suddetti motivi devono considerarsi assorbite le questioni relative alla costituzionalità
dell’art. 32 citato.
12. Il ricorso deve essere in definitiva respinto.
13. Al rigetto del ricorso, consegue, per il principio della soccombenza, che le spese del
presente giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura, liquidata in
dispositivo, che tiene conto delle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012 n. 140

5

economiche dell’accertata nullità del termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto
pregiudiziale produce infatti la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali
conseguenze.

(entrato in vigore il 23 agosto 2012) emanato ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 1 del 2012
convertito in legge n. 27 del 2012.

P.Q.M.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 settembre 2013.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in Euro 100,00 per esborsi oltre Euro 3500 (tremilacinquecento) per
compensi professionali e oltre accessori di legge.

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