Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24040 del 06/09/2021

Cassazione civile sez. II, 06/09/2021, (ud. 01/04/2021, dep. 06/09/2021), n.24040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25187-2019 proposto da:

T.E., rappresentato e difeso dall’avv. CONSUELO FEROCI, e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO DIPARTIMENTO LIBERTA’ CIVILI E IMMIGRAZIONE,

in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 18/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/04/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

vista la conclusione scritta del P.G., nella persona del Dott. MUCCI

ROBERTO, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato l’11.06.2019 T.E. impugnava il decreto del Ministero dell’Interno, Unità Dublino, notificato il 15.05.2019, con il quale era stata disposto il suo trasferimento in Germania, che in data 20.02.2019 aveva comunicato di accettare la richiesta inoltrata dall’Italia. Il ricorrente eccepiva che il trasferimento era stato disposto senza tenere in considerazione i legami familiari che lo stesso aveva in Italia, nonché il fatto che quest’ultimo Paese gli avesse rilasciato un permesso di soggiorno, con conseguente radicamento della giurisdizione italiana sulla sua domanda di protezione internazionale.

Con il decreto impugnato il Tribunale di Ancona rigettava il ricorso.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione di rigetto T.E., affidandosi ad otto motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Il P.G., nella persona del sostituto Dott. Roberto Mucci, ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente eccepisce l’incompetenza territoriale del Tribunale di Ancona, per essere a suo avviso competente il Tribunale di Roma. A sostegno di tale tesi interpretativa, il ricorrente richiama il precedente di questa Corte n. 18757 del 2019, secondo cui “In tema di protezione internazionale, la competenza territoriale a decidere sulle impugnazioni dei provvedimenti adottati dall’Unità Dublino o, dopo l’istituzione di sue articolazioni territoriali ad opera del D.L. n. 113 del 2018, art. 11 conv. con modif. dalla L. n. 132 del 2018, da una di tali articolazioni, spetta alla sezione specializzata del tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’autorità che ha adottato il provvedimento impugnato, in applicazione del criterio generale di cui al D.L. n. 13 del 2017, art. 4, comma 1, secondo periodo, conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017, non essendo, invece, applicabile il criterio “correttivo di prossimità” di cui allo stesso art. 4, comma 3 (in base al quale, quando il ricorrente è ospitato in una struttura o in un centro di accoglienza, la competenza si determina “avendo riguardo al luogo in cui la struttura o il centro ha sede”), atteso che, diversamente che per le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, per l’Unità Dublino, sia prima che dopo l’istituzione di sue articolazioni territoriali, il D.L. n. 13 del 2017, art. 3, commi 3 e 3-bis non prevedono una ripartizione per circoscrizioni che consenta di effettuare un collegamento territoriale effettivo tra la struttura o il centro di accoglienza in cui è ospitato il ricorrente e l’autorità che ha adottato il provvedimento, così da giustificare l’applicazione del suddetto criterio “correttivo di prossimità”. Ne consegue che ove il provvedimento impugnato, sia stato emesso dall’Unità Dublino, in quanto ratione temporis unico organo adibito a tale funzione la competenza territoriale non può che radicarsi il predetto organo abbia sede” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 18757 del 12/07/2019, Rv. 654721).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 7 del Regolamento UE n. 604 del 2013, perché il ricorrente aveva dichiarato di avere parenti regolarmente soggiornanti in Italia, e dunque aveva pieno diritto che la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale fosse esaminata in Italia. Ai sensi dell’art. 7, citato, infatti, “… la presenza nel territorio di uno Stato membro di familiari, parenti o persone legate da altri vincoli di parentela con il ricorrente…”costituisce uno dei criteri in base ai quali si determina la giurisdizione per l’esame della domanda di protezione presentata dal richiedente asilo.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 12 del Regolamento UE n. 604 del 2013, perché egli, in quanto titolare di un permesso di soggiorno per “richiesta asilo” rilasciato dalla Questura di Fermo, aveva pieno diritto di soggiornare in Italia, ove la sua domanda di protezione doveva essere delibata. Ai sensi dell’art. 12, citato, “… se il richiedente ha soggiornato per periodi di almeno cinque mesi in vari Stati membri, lo Stato in cui ha soggiornato più di recente è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale”, e dunque, poiché il T. aveva vissuto in Italia oltre un anno prima di formalizzare la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale, lo Stato membro competente ad esaminarla era l’Italia.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione ed errata applicazione degli artt. 13 e 14 del Regolamento UE n. 604 del 2013, perché il giudice di merito avrebbe dovuto tener conto, ai fini dell’individuazione dello Stato membro competente per l’esame della sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale, dei timbri esistenti sul passaporto, i quali dimostravano in modo non equivoco che il primo Paese in cui il T. è approdato, in occasione del suo ultimo ingresso nell’area Shengen, era l’Italia, essendo egli sbarcato al porto di Bari, proveniente dall’Albania, in data 12.3.2015. In base agli artt. 12 e 13, citati, dunque, sussisteva un ulteriore criterio di collegamento che avrebbe dovuto orientare il Tribunale a ravvisare la giurisdizione italiana sulla domanda di asilo del T..

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 16 del Regolamento UE n. 604 del 2013, perché egli, non appena giunto in Italia, fruendo dell’appoggio e del sostegno dei propri congiunti, qui regolarmente soggiornanti, ha cominciato a lavorare. In base all’art. 16, citato, “Se il figlio, il fratello o il genitore di cui al paragrafo i risiede legalmente in uno Stato membro diverso da quello in cui si trova il richiedente, lo Stato competente è lo Stato membro in cui il figlio, il fratello o il genitore risiede legalmente”; dal che deriva, ad avviso del richiedente, che laddove – come nella fattispecie – il richiedente asilo si trovi nello stesso Paese in cui risiedono legalmente il figlio, il fratello o il genitore, egli ha diritto che la sua domanda di protezione sia colà esaminata.

Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione ed erronea applicazione dell’art. 17 del Regolamento UE n. 604 del 2013, perché il giudice di merito avrebbe dovuto far ricorso alla cd. clausola discrezionale, in base alla quale comunque l’Italia avrebbe potuto ritenere la propria giurisdizione in merito all’esame della domanda di asilo del T..

Con il settimo motivo il ricorrente, riprendendo e sviluppando l’argomento già oggetto del terzo motivo, lamenta la violazione ed erronea applicazione degli artt. 18 e 19 del Regomento UE n. 604 del 2013, perché una volta che la Questura di Fermo gli aveva rilasciato il permesso di soggiorno per “richiesta asilo” egli aveva titolo di essere considerato legalmente soggiornante in Italia, onde la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale avrebbe dovuto essere esaminata in Italia.

Infine, con l’ottavo ed ultimo motivo, il ricorrente lamenta l’errata applicazione degli artt. 20,21 e 22 del Regolamento UE n. 604 del 2013, perché la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale, inizialmente presentata alla Questura di Ascoli Piceno il 17.5.2018 e da questa trasmessa per competenza territoriale alla Questura di Fermo, era rimasta giacente per diversi mesi, sinché il T. riformulava una nuova domanda, presso la Questura di Fermo, in data 27.11.2018, in seguito alla quale veniva fissato l’appuntamento per formalizzare la richiesta per la data del 21.1.2019, largamente oltre il termine di 72 ore previsto dall’ordinamento.

Per ragioni di priorità logica, il collegio ritiene di esaminare congiuntamente, vista la loro intima connessione, il terzo, il quarto e il settimo motivo di ricorso, che meritano di essere accolti.

Va innanzitutto osservato che il Regolamento U.E. n. 604 del 2013 (cd. Nuovo regolamento Dublino III) prevede, agli artt. 4 e 5, precise garanzie a contenuto partecipativo informativo a beneficio del soggetto coinvolto in un procedimento di trasferimento in altro Stato dell’Unione Europea che sia competente all’esame della sua domanda di protezione internazionale.

In particolare, l’art. 4 stabilisce che “1. Non appena sia presentata una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’art. 20, paragrafo 2, in uno Stato membro, le autorità competenti dello stesso informano il richiedente dell’applicazione del presente regolamento, specificando in particolare:

a) le finalità del presente regolamento e le conseguenze dell’eventuale presentazione di un’altra domanda in uno Stato membro diverso, nonché le conseguenze dello spostarsi da uno Stato membro a un altro durante le fasi in cui si determina lo Stato membro competente ai sensi del presente regolamento e in cui è esaminata la domanda di protezione internazionale;

b) i criteri di determinazione dello Stato membro competente, la gerarchia di tali criteri nelle varie fasi della procedura e la loro durata, compreso il fatto che una domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro può comportare che tale Stato membro diventi competente ai sensi del presente regolamento anche se tale competenza non si basi su tali criteri;

c) il colloquio personale ai sensi dell’art. 5 e la possibilità di presentare informazioni relative alla presenza di familiari, parenti o persone legate da altri vincoli di parentela negli Stati membri, compresi i modi in cui il richiedente può presentare tali informazioni;

d) la possibilità di impugnare una decisione di trasferimento e, ove applicabile, di chiedere la sospensione del trasferimento;

e) il fatto che le autorità competenti degli Stati membri possono scambiarsi dati relativi al richiedente al solo scopo di rispettare i loro obblighi derivanti dal presente regolamento;

f) il diritto di accesso ai propri dati e il diritto di chiedere che tali dati siano rettificati se inesatti o che siano cancellati se trattati illecitamente, nonché le procedure da seguire per esercitare tali diritti, compresi gli estremi delle autorità di cui all’art. 35 e delle autorità nazionali garanti per la protezione dei dati personali che sono responsabili in merito alla tutela dei dati personali.

2. Le informazioni di cui al paragrafo 1 sono fornite al richiedente per iscritto in una lingua che il richiedente comprende o che ragionevolmente si suppone a lui comprensibile. A questo fine gli Stati membri si avvalgono dell’opuscolo comune redatto conformemente al paragrafo 3.

Ove necessario per la corretta comprensione del richiedente, le informazioni sono fornite anche oralmente, ad esempio in relazione con il colloquio personale di cui all’art. 5”.

Il successivo art. 5 prevede invece che “1. Al fine di agevolare la procedura di determinazione dello Stato membro competente, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione effettua un colloquio personale con il richiedente. Il colloquio permette anche la corretta comprensione delle informazioni fornite al richiedente ai sensi dell’art. 4.

2. Il colloquio personale può non essere effettuato qualora:

a) il richiedente sia fuggito; o

b) dopo aver ricevuto le informazioni di cui all’art. 4, il richiedente abbia già fornito informazioni pertinenti per determinare lo Stato membro competente in altro modo. Gli Stati membri che non effettuano il colloquio offrono al richiedente l’opportunità di presentare ogni altra informazione pertinente per determinare correttamente lo Stato membro competente prima che sia adottata la decisione di trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente ai sensi dell’art. 26, paragrafo 1.

3. Il colloquio personale si svolge in tempo utile e, in ogni caso, prima che sia adottata la decisione di trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente ai sensi dell’art. 26, paragrafo 1.

4. Il colloquio personale è effettuato in una lingua che il richiedente comprende o che ragionevolmente si suppone a lui comprensibile e nella quale questi è in grado di comunicare. Ove necessario, gli Stati membri si avvalgono di un interprete che sia in grado di garantire una comunicazione adeguata tra il richiedente e la persona che effettua il colloquio personale.

5. Il colloquio personale si svolge in condizioni tali da garantire un’adeguata riservatezza. Esso è condotto da una persona qualificata a norma del diritto nazionale.

6. Lo Stato membro che effettua il colloquio personale redige una sintesi scritta dello stesso che contenga almeno le principali informazioni fornite dal richiedente durante il colloquio. Tale sintesi può assumere la forma di una relazione o di un modulo standard. Lo Stato membro provvede affinché il richiedente e/o l’avvocato o altro consulente legale che rappresenta il richiedente abbiano tempestivamente accesso alla sintesi”.

La regolamentazione contenuta nelle due richiamate disposizioni del Regolamento U.E. n. 604 del 2013 è articolata in una serie di dettagliate prescrizioni finalizzate ad assicurare che il trasferimento del richiedente asilo verso il Paese membro dell’Unione Europea nel quale per la prima volta lo stesso ha presentato domanda di protezione internazionale, e che quindi è compente ad esaminarla, avvenga con modalità uniformi per tutto il territorio dell’Unione Europea, ed idonee a garantire che l’interessato abbia sempre contezza di quanto gli accade e sia pienamente consapevole del significato dei vari atti che lo riguardano e dei diritti, partecipativi e di impugnazione, che in relazione ad essi gli sono riconosciuti.

Le garanzie partecipative ed informative, pertanto, sono state fissate direttamente dal Nuovo regolamento di Dublino, senza alcun rinvio alla normativa interna dei vari Stati membri, se non per gli aspetti strettamente relativi alla tutela giurisdizionale. Di conseguenza, le previsioni della norma Eurounitaria sono direttamente applicabili nel diritto interno ed hanno carattere tassativo.

In questa direzione si è orientato il Consiglio di Stato, il quale ha affermato che il mancato assolvimento dell’obbligo informativo di cui all’art. 4 non è superabile per effetto dello svolgimento del colloquio previsto dall’art. 5, sia pure alla presenza di un mediatore culturale (Cons. Stato, Sentenza n. 4199 del 08/09/2015). Simile interpretazione che merita di essere confermata, anche in considerazione del fatto che la norma Eurounitaria non prevede le due diverse garanzie (obbligo informativo e colloquio) in rapporto di alternatività l’una rispetto all’altra, ma afferma che esse devono essere entrambe assicurate al richiedente asilo.

E’ opportuno precisare che la circostanza che in materia di impugnazione del provvedimento emesso ai sensi della normativa sui ricollocamenti dei richiedenti asilo all’interno del territorio dell’U.E. si sia pronunziato, nel 2015, il Consiglio di Stato è giustificata dal fatto che soltanto nel 2018 questa Corte ha affermato che detta controversia “… è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la situazione giuridica soggettiva dello straniero che chiede protezione internazionale ha natura di diritto soggettivo, da annoverarsi tra i diritti umani fondamentali la cui giurisdizione spetta, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente, all’autorità giurisdizionale ordinaria” (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 8044 del 30/03/2018, Rv. 647569).

L’essenzialità della garanzia informativa costituita dagli artt. 4 e 5 del Regolamento EU n. 604 del 2013 è stata affermata espressamente da questa Corte, con precedenti ai quali il collegio ritiene di dare continuità (Sez. 2, Ordinanza n. 17963 del 27/08/2020, Rv. 660838; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8282 del 24/03/2021, non massimata). Detti precedenti valorizzano, oltre alla funzione di garanzia dei diritti del richiedente asilo assicurata dai predetti obblighi informativi, anche la ratio della normativa sovranazionale, individuabile nell’esigenza di assicurare l’uniforme trattamento dello straniero in tutto in territorio dell’Unione Europea. Tale ratio esclude, da un lato, che si possa ritenere superabile il mancato rispetto, da parte dell’autorità dello Stato membro, delle garanzie di cui ai richiamati artt. 4 e 5 del Nuovo Regolamento di Dublino, con una conoscenza acquisita aliunde dall’interessato, e, dall’altro lato, che si possa far ricorso a categorie logiche idonee a configurare una presunzione di conoscenza in capo al richiedente asilo. Nemmeno è possibile richiamare il principio – tipico del diritto interno – per cui alla violazione della disposizione a contenuto processuale consegue la nullità dell’atto solo quando la parte alleghi e dimostri la concreta compressione dei propri diritti di azione o difesa in giudizio. Ove fosse applicato, in via estensiva, allo specifico procedimento “Dublino”, infatti, detto principio si risolverebbe in un meccanismo di neutralizzazione indiretta della garanzia informativa prevista dal legislatore Eurounitario e, dunque, finirebbe per frustrare, sia pure in modo indiretto, la finalità della norma di origine sovranazionale, affidando la garanzia dell’effettiva unitarietà del trattamento del richiedente asilo in tutto il territorio dell’Unione non già alla buona prassi degli organi e delle autorità del singolo Stato membro, bensì alla completa formulazione della censura da parte del richiedente asilo nei confronti del quale quelle garanzie siano state, di fatto, negate.

Ciò posto, va ulteriormente osservato che gli artt. 7 e ss. del Regolamento UE n. 604 del 2013 fissano i criteri di collegamento, e la relativa gerarchia, in base ai quali si deve individuare lo Stato membro competente all’esame di una determinata domanda di protezione internazionale. Tra detti criteri rientrano, in particolare e per quel che qui rileva, quelli previsti dagli artt. 10 e 11, secondo cui il richiedente asilo ha diritto di richiedere che la propria domanda sia esaminata dallo Stato membro al quale un suo stretto familiare abbia già presentato autonoma istanza di protezione (art. 10), secondo i seguenti criteri “a) è competente per l’esame delle domande di protezione internazionale di tutti i familiari e/o di fratelli minori non coniugati lo Stato membro che i criteri designano come competente per prendere in carico il maggior numero di essi; b) negli altri casi, è competente lo Stato membro che i criteri designano come competente per l’esame della domanda del più anziano di essi” (art. 11).

Inoltre, rileva anche il criterio di cui all’art. 12, comma 1, secondo cui “Se il richiedente è titolare di un titolo di soggiorno in corso di validità, lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale è quello che ha rilasciato tale titolo”, a meno che il visto non sia stato rilasciato per conto di un altro Stato membro nel quadro di un accordo di rappresentanza – nel qual caso è competente lo Stato membro nel cui interesse risulta in concreto rilasciato il visto: cfr. art. 12, comma 2 – o che il richiedente sia titolare di più titoli di soggiorno o visti in corso di validità, rilasciati da vari Stati membri -nel qual caso è competente: “a) lo Stato membro che ha rilasciato il titolo di soggiorno che conferisce il diritto di soggiorno più lungo o, se la validità temporale è identica, lo Stato membro che ha rilasciato il titolo di soggiorno la cui scadenza è più lontana; b) lo Stato membro che ha rilasciato il visto la cui scadenza è più lontana, quando i visti sono di analoga natura; c) quando si tratta di visti di natura diversa, lo Stato membro che ha rilasciato il visto di validità più lunga o, in caso di validità identica, lo Stato membro che ha rilasciato il visto la cui scadenza è più lontana”: cfr. art. 12, comma 3 -.

I riferiti criteri di collegamento, che comportano il trasferimento della competenza ad esaminare la domanda di asilo da uno Stato membro all’altro, possono evidentemente essere fatti valere dal richiedente soltanto nell’ambito degli specifici obblighi informativi di cui agli artt. 4 e 5 del Regolamento. Il che conferma -ove mai ve ne fosse esigenza-la natura essenziale dei predetti obblighi.

Nel caso di specie, il T. – entrato in Italia nel 2015 attraverso il porto di Bari, proveniente dall’Albania – risultava titolare di un permesso di soggiorno per “richiesta asilo”, valido per la permanenza in Italia e lo svolgimento di attività lavorativa dal 7.4.2019 al 4.8.2019. Nei suoi confronti, pertanto, avrebbe dovuto essere applicato il criterio di collegamento di cui all’art. 12 del Regolamento UE n. 604 del 2013. Sul punto, il collegio non ignora che questa Corte, in due precedenti pronunce (Cass. Sez. 1, Ordinanze n. 3735 e n. 3736 del 12/02/2021, non massimate) ha affermato che, seppure la norma non specifichi la tipologia del titolo di soggiorno, esso non possa essere quello provvisorio, che viene rilasciato dallo Stato membro al richiedente asilo a seguito dell’avvenuto deposito della domanda di protezione internazionale, per il solo periodo occorrente al suo esame, proprio in ragione della natura precaria di detto permesso. Tuttavia, tale interpretazione non poggia su alcun argomento testuale, proprio in quanto la disposizione Eurounitaria non introduce alcuna specificazione circa il tipo di permesso di soggiorno idoneo ai fini della configurabilità, in concreto, del criterio di collegamento di cui all’art. 12, qui in esame. Ne’, d’altronde, appare convincente l’argomento della provvisorietà del permesso legato alla domanda di asilo, poiché -sotto questo profilo- tutti i titoli di permanenza in Italia presentano un carattere provvisorio, posta la loro revocabilità nei casi previsti dalla legge e la loro scadenza, più o meno prolungata nel tempo (fatta eccezione per la sola carta di soggiorno, ove rilasciata senza scadenza).

Peraltro, non può non essere considerato il lungo lasso di tempo intercorso tra il momento in cui il T. ha presentato per la prima volta domanda di protezione in Italia (17 maggio 2018) e la data in cui la Questura di Fermo gli ha notificato il provvedimento di trasferimento impugnato (15 maggio 2019). E’ vero che, da quanto dedotto dal ricorrente (cfr. pag. 4 del ricorso) emerge che il permesso di soggiorno è stato rilasciato al T. solo in data 10.5.2019 dalla Questura di Fermo, territorialmente competente, presso la quale la domanda di protezione era stata inviata dalla Questura di Ascoli Piceno (ove la prima domanda era stata formalizzata) e comunque ripresentata, ad istanza dello stesso T., in data 27.11.2018. Ma detta circostanza non appare decisiva, da un lato in quanto il ritardo non è imputabile al richiedente, ma dipende da un difetto di collegamento tra le due Questure interessate, e, dall’altro lato, in considerazione del fatto che il titolo di soggiorno sia stato rilasciato al richiedente con la causale “richiesta asilo”, e quindi senza alcun riferimento alla procedura di trasferimento presso altro Stato membro, ai sensi del Regolamento UE n. 604 del 2013. La circostanza è decisiva, posto che il permesso per “richiesta asilo”, pur essendo evidentemente legato alla domanda di protezione presentata dallo straniero, consente, dopo sessanta giorni dalla presentazione della domanda, se il relativo procedimento di esame non si sia concluso per fatto non dipendente dal richiedente, lo svolgimento di attività lavorativa, e dunque autorizza il suo titolare ad intraprendere un percorso di inserimento nel tessuto sociale e lavorativo italiano. Detto permesso, inoltre, è prorogabile sino alla definizione della domanda predetta, ai sensi della disposizione di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 7, comma 1, come modificato dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 25, comma 1, lett. f), n. 1). Nei confronti dei soggetti indicati dal successivo art. 7, comma 2 invece, la garanzia di cui al comma 1 non è applicabile: tra detti soggetti rientrano anche coloro che “c) debbano essere avviati verso un altro Stato dell’Unione competente per l’esame dell’istanza di protezione internazionale”.

Infine, ferma restando l’impossibilità di convertire il permesso di soggiorno per richiesta asilo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, lo straniero richiedente asilo che durante il soggiorno in Italia acquisisca le condizioni, soggettive e oggettive, previste per il rilascio di un differente titolo di permanenza, ha il diritto di accedere a detto diverso titolo.

Dal quadro normativo sin qui tratteggiato emerge che:

1) l’art. 12 del Regolamento UE n. 604 del 2013, nel prevedere che l’esame della domanda di asilo debba essere esaminata dallo Stato membro che abbia rilasciato al richiedente un titolo di soggiorno, non fa alcuna differenza tra i diversi tipi di permesso, né attribuisce rilevanza alla loro durata o alla loro natura, provvisoria o stabile;

2) ai sensi della normativa interna, tutti i permessi di soggiorno in Italia sono revocabili, ove si accerti il difetto, originario o sopravvenuto, delle condizioni legittimanti il loro rilascio;

3) lo straniero che abbia presentato domanda di protezione in Italia ha diritto di permanervi sino alla decisione della Commissione territoriale, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 7, comma 1;

4) il predetto ha dunque diritto di ottenere un permesso di soggiorno per “richiesta asilo”, che gli consente, decorsi 60 giorni dalla presentazione della domanda, e qualora questa non sia stata ancora esaminata, lo svolgimento di attività lavorativa in Italia, e quindi l’avvio del processo di integrazione nel tessuto sociale;

5) la garanzia di cui all’art. 7, comma 1 è esclusa solo nei confronti degli stranieri che si trovino in una delle condizioni di cui al comma 2, tra cui rientrano anche coloro che debbano essere avviati verso altri Stati membri dell’Unione Europea competenti all’esame della domanda di protezione da essi introdotta.

6) il permesso di soggiorno per “richiesta asilo” di cui anzidetto è rinnovabile sino alla definizione della domanda di protezione; non è convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro; non impedisce allo straniero soggiornante in Italia di acquisire le condizioni idonee a legittimare il rilascio, in suo favore, di un diverso titolo di permanenza.

Ne consegue che il concetto di provvisorietà del soggiorno, se ha certamente una sua rilevanza per gli stranieri che si trovino nelle condizioni di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 7, comma 2 i quali sono destinati ad un quasi immediato allontanamento dal territorio nazionale, in quanto compresi in una delle specifiche categorie previste da detta disposizione, non può, per converso, valere per escludere, dall’ambito di applicazione dell’art. 12 del Regolamento UE n. 604 del 2013, i richiedenti asilo regolarmente soggiornanti in Italia in base alla norma di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 7, comma 1. Le caratteristiche del permesso per “richiesta asilo” che viene loro rilasciato, infatti, ferma restando la sua stretta connessione con la domanda di protezione da essi avanzata, dimostrano l’idoneità di tale titolo a consentire al richiedente asilo l’avvio di quel percorso di integrazione nel tessuto socio-lavorativo italiano che, anche alla luce dei più recenti orientamenti di questa Corte, costituisce elemento idoneo ad essere apprezzato e valutato, nell’ambito del giudizio comparativo finalizzato al riconoscimento, in favore del richiedente asilo, quantomeno della forma “minore” della protezione per motivi umanitari (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 deI 14/08/2020, Rv. 658471).

Va, di conseguenza, affermato il seguente principio di diritto: “Ai sensi dell’art. 12 del Regolamento UE n. 604 del 2013, e a condizione che non sussistano le condizioni di cui ai successivi commi di detta disposizione, il richiedente asilo che ottenga, ai sensi di quanto previsto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 7, comma 1, nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 25, comma 1, lett. f), n. 1, ha diritto che la sua domanda di protezione venga esaminata in Italia, in quanto Stato membro che ha rilasciato il titolo di soggiorno. Non è di ostacolo la circostanza che, nel caso di cui al richiamato D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 7 il titolo di permanenza sia strettamente legato alla domanda di protezione internazionale ed al tempo occorrente per il suo esame, posto – da un lato – che detto collegamento non è interferito dal criterio di collegamento di cui all’art. 12 del Regolamento UE n. 604 del 2013 e – dall’altro lato – che il permesso di soggiorno di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 7, comma 1, è rinnovabile sino alla definizione della domanda di asilo, da parte della Commissione territoriale competente, consente al suo titolare, decorsi 60 giorni dalla presentazione della domanda di asilo, lo svolgimento di attività lavorativa, e quindi costituisce l’avvio di quel processo di integrazione del richiedente asilo nel tessuto sociale e lavorativo italiano che, ai sensi di quanto affermato dai più recenti orientamenti di questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020, Rv. 658471) costituisce uno degli elementi rilevanti, nell’ambito del giudizio comparativo finalizzato al riconoscimento, in favore del richiedente asilo, quantomeno della forma “minore” della protezione per motivi umanitari”.

In definitiva, vanno accolti, nei termini di cui in motivazione, il terzo, quarto e settimo motivo del ricorso, con conseguente assorbimento del secondo, quinto, sesto ed ottavo motivo.

Va invece disatteso il primo motivo, con il quale il ricorrente contesta la competenza territoriale del Tribunale di Ancona, in quanto il precedente di questa Corte che viene richiamato nella censura (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 18757 del 12/07/2019, Rv. 654721) è stato oggetto di successiva rimeditazione, con affermazione dell’opposto principio per cui “In tema di protezione internazionale, l’interpretazione costituzionalmente orientata del comma 3, coordinato con il D.L. n. 13 del 2007, art. 4, comma 1 conv. nella L. n. 46 del 2017, deve tener conto della posizione strutturalmente svantaggiata del cittadino straniero in relazione all’esercizio del diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost., nonché dell’obbligo, imposto dall’art. 13 C.E.D.U. e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’U. E., di garantire un ricorso effettivo “ad ogni persona”, e ciò anche in relazione al quadro normativo innovato dal D.L. n. 113 del 2018, conv. nella L. n. 132 del 2018, sicché la competenza territoriale a decidere sulle impugnazioni dei provvedimenti emessi dalla cd. Unità Dublino, o dalle sue articolazioni territoriali, si radica, secondo un criterio “di prossimità”, nella sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale nella cui circoscrizione ha sede la struttura di accoglienza o il centro che ospita il ricorrente, anche nell’ipotesi in cui questi sia trattenuto in un centro di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14″ (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 31127 del 28/11/2019, Rv. 656292 – 01).

Il decreto impugnato va quindi cassato, in relazione alle censure accolte, e la causa va rinviata al Tribunale di Ancona, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il terzo, quarto e settimo motivo e dichiara assorbiti il primo, secondo quinto, sesto ed ottavo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa al Tribunale di Ancona, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 1 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2021

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