Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2404 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/02/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 03/02/2021), n.2404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19638/20.12 R.G. proposto da:

P.E.I. s.r.l. rappresentata e difesa dagli Avv.ti Gerhard

Brandstatter, Stefano d’Apolito, Micaela Bianchi, Leonardo Di Brina,

con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, piazza S. Andrea

della Valle n. 6, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 2/02/12, depositata il 23.1.2012;

Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 13.10.2020 dal

Consigliere Castorina Rosaria Maria;

Udito il PG in persona del sostituto Mucci Roberto il quale ha

concluso per il rigetto del ricorso;

Udito l’Avvocato Leonardo Di Brina per la ricorrente;

Udito l’Avvocato dello Stato Giammarco Rocchitta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

P.E.I. s.r.l. impugnava due avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate, con i quali venivano ripresi a tassazione maggiori redditi, per un importo complessivo di Euro 115.000,00 ai fini IRES, IVA e IRAP, per l’anno d’imposta 2004, scaturenti dal processo verbale di constatazione redatto dal Nucleo di Polizia Tributaria di Bolzano.

Sulla base dell’indagine, l’Ufficio rilevava la contabilizzazione di una fattura (la n. 109 del 30.9.2004) dell’importo di Euro 115.505,00 con cui la contribuente acquistava dalla Auto artigianale s.r.l., ora Wintec s.r.l. un considerevole numero di telefoni cellulari e che l’operazione, posta in essere in attuazione di una frode carosello, era inesistente.

La contribuente impugnava gli avvisi davanti la Commissione Tributaria Provinciale di Como, la quale, con sentenza n. 50/04/2010, rigettava i ricorsi riuniti.

Proposto appello dalla Pei s.r.l., la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 2/02/12 depositata in data 23.1.2012 lo rigettava sul presupposto che, a fronte della legittima contestazione della fittizietà della fattura, spettava alla società accertata provare l’esistenza delle operazioni, prova che non era stata fornita.

Pei s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidando il suo mezzo a due motivi, illustrati con memoria.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la contribuente deduce omessa o insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Lamenta che la CTR aveva errato nel ritenere sussistente la violazione contestata in difetto di prova della violazione medesima e comunque della estraneità della Pei s.r.l. al contestato carosello fiscale.

2. Con il secondo motivo la contribuente deduce la violazione o falsa applicazione del TUIR, art. 109, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Lamenta che per il principio di neutralità dell’iva doveva riconoscersi il diritto alla detrazione dell’imposta indicata nella fattura e che la CTR erroneamente aveva giudicato corretto l’accertamento di un maggiore imponibile e la non inerenza dei costi.

Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta. Esse sono fondate nei limiti che si vanno a precisare.

2.1. Va ribadito che, secondo la giurisprudenza che si è andata consolidando sulla problematica relativa alla detraibilità dell’I.V.A. ed alla deducibilità dei costi nel caso di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, la fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto e alla deducibilità dei costi in essa annotati, per cui spetta all’Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto.

Tale prova può essere fornita anche mediante elementi indiziari e presuntivi, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 6/6/2012).

Pertanto, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, ossia sia mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere, e quindi, contesti anche l’indebita detrazione dell’I.V.A. e la deduzione dei costi, ha l’onere di provare che l’operazione fatturata non è mai stata effettuata, indicando, a tal fine, elementi anche indiziari (Cass. n. 20059 del 24/9/2014; n. 15741 del 19/9/2012; n. 27718 del 11/12/2013; n. 9363 del 8/5/2015; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C- 439/04; 21 febbraio 2006, C- 255/02; 21 giugno 2012, Euro 80/11); a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Tale ultima prova non può tuttavia consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili o vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 17619 del 5/7/2018; n. 5406 del 18/3/2016; n. 18118 del 14/9/2016; n. 28683/15; n. 428 del 14/1/2015; n. 12802 del 10/6/2011; n. 15228 del 3/12/2001).

Con specifico riferimento all’I.V.A., inoltre, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta non può in alcun modo farsi discendere – anche sul piano probatorio – dal solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza dell’operazione all’impresa, che è certamente mancante in relazione al pagamento dell’I.V.A. corrisposta per operazioni (anche parzialmente) inesistenti, in quanto di per sè inidoneo a configurare un pagamento a titolo di rivalsa, trattandosi di costo non inerente all’attività dell’impresa, ed anzi potenziale espressione di detrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza (Cass. n. 735 del 19/1/2010; n. 6973 del 8/4/2015).

3. Tutto ciò premesso in linea generale, la CTR ha ritenuto che la pretesa tributaria fosse fondata su un quadro probatorio sostenuto da molteplici indizi gravi precisi e concordanti che consentiva di affermare il carattere fittizio dell’operazione di compravendita eseguita, contestualmente, il 30 settembre 2004 sottostante sia alla fattura di acquisto di telefoni cellulari Samsung per l’importo imponibile di Euro 115.505,00 + IVA al 20% emessa dal fornitore Auto artigianale s.r.l., ora Wintek srl, sia alla fattura di vendita della stessa merce a favore del cessionario austriaco per un totale complessivo di Euro 119.950,00 in regime di esenzione IVA ai sensi del D.L. n. 311 del 1992, art. 41. Quanto alla cessione della merce alla società austriaca, da riscontri amministrativi eseguiti in collaborazione con le autorità del paese di destinazione, era emerso che si trattava di una “Conduit Company” ovvero una società non operativa che costituiva l’anello finale della catena di operazioni carosello che, facenti capo alla società del gruppo a cui apparteneva la Pei srl, aveva consentito all’appellante di contabilizzare costi fittizi connessi all’acquisto documentale per procurarsi un indebito credito d’imposta IVA da chiedere a rimborso. La CTR ha osservato che lo stesso gruppo societario cui appartiene la contribuente, dai riscontri eseguiti sul campo dalla Guardia di Finanza, era risultato essere parte contigua di operazioni carosello articolata in diverse filoni di indagini penali tributarie. Le società partecipate (Wintec s.r.l., Karo s.a.s., Gherò s.p.a.) risultavano aver posto in essere transazioni con società contigue ritenute filtro (Trade work s.r.l., Trade Imprex s.r.l., Med Max s.r.l., Dalcon s.r.l.) nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti di telefonia, contabilizzando fatture per acquisti di telefonini effettuati da società ritenute filtro, per rivenderli ad operatori esteri comunitari in regime di esenzione IVA per procurarsi un indebito credito IVA da chiedere a rimborso.

La CTR ha affermato, inoltre che la allegazione della buonafede, per essere stato soggetto inconsapevolmente partecipe ad operazioni carosello, si scontrava sfavorevolmente con gli elementi indiziari forniti dall’ufficio.

Circa la effettività dell’operazione, che la contribuente affermava essere attestata dai bonifici di pagamento e dalle fatture di compravendita, la CTR ha osservato che i bonifici bancari rilevano piuttosto come prova di pagamenti effettuati ma non come prova dello svolgimento effettivo di un’attività sottostante.

La CTR ha, inoltre, osservato che sotto il profilo finanziario appariva irrituale e addirittura poco credibile il ciclo finanziario prospettato dalla contribuente dell’acquisto della merce, di rilevante importo, con pagamento in anticipo con contestuale vendita della stessa, in pari data, con incassi sempre anticipati, attuata con bonifici bancari.

Tali modalità contrasterebbero con il basilare principio del finanziamento del “magazzino prodotti” che prevede la correlazione “delle scadenze acquisti-vendite”. La CTR ha affermato: “Il pagamento con rimessa diretta con bonifico bancario di fatture di rilevante importo contrasta con l’ordinario ciclo finanziario acquisti vendita della catena commerciale grossista – cliente che avviene con pagamenti dilazionati; ciò anche in considerazione il fatto che pagamenti anticipati per acquisti di merci rilevanti comportano per le imprese la privazione di liquidità che è una merce rara e costosa”.

La CTR ha, inoltre, rilevato che non era stato provato che la merce venduta al cessionario austriaco avesse varcato effettivamente il confine italiano, a cura della stessa Pei srl ai sensi del D.L. n. 331 del 1992, art. 41, e che non era stato dimostrato che la Pei s.r.l. avesse impiegato alcuna struttura aziendale nelle operazioni in questione.

4. Con riferimento alle assoluzioni in sede penale del legale rappresentante del Gruppo cui appartiene la contribuente, il principio dell’autonomia dei processi in sede civile, tributaria e penale è stato da ultimo ribadito da questa Corte con l’ordinanza n. 30941/2019 chiarendo che la sentenza penale di assoluzione del contribuente passata in giudicato non produce effetti nel processo tributario sui fatti alla base dell’accertamento fiscale, secondo quanto disposto dall’art. 654 c.p.p.

La CTR, richiamata la giurisprudenza di questa Corte ha osservato che l’assoluzione penale aveva riguardo alla condotta della persona fisica che aveva operato e non escludeva la contestazione alla Pei s.r.l. di inesistenza dell’operazione di compravendita di telefoni cellulari.

La sentenza della CTP di Bolzano, inoltre, si riferiva ad operazioni di cessione di prodotti dentali poste in essere dalla Wintech s.r.l. e non di telefoni e, dunque, riguardava soggetto ed oggetto non riconducibili alla fattispecie in esame.

I giudici di merito, pertanto, nel confermare la sentenza dei primi giudici, sul rilievo che dovesse ritenersi debitamente provata la pretesa fiscale in ragione dei numerosi elementi indiziari offerti dall’Ufficio – costituenti presunzioni gravi, precise e concordanti – a fronte dei quali non si contrapponeva una adeguata prova contraria, hanno chiaramente affermato che nella fattispecie in esame si è in presenza di operazioni oggettivamente inesistenti, ossia di prestazioni mai realmente effettuate ed hanno, conseguentemente, disconosciuto la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’I.V.A.

5. La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e di dare prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne discende che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 19547 del 4/8/2017). Nella specie, con i mezzi di cui si discute non si individuano specificamente fatti storici decisivi il cui esame da parte della Commissione regionale sarebbe stato insufficiente, ma si tende piuttosto a riproporre gli stessi elementi fattuali, tenuti presenti dal giudice regionale, al fine di una diversa ricostruzione in fatto rispetto a quella operata dalla Commissione tributaria regionale, e si denuncia la mancata motivazione in ordine ad argomentazioni esposte nel giudizio di appello, non considerando che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, non è necessario che la motivazione prenda in esame, al fine di confutarle o di condividerle, tutte le deduzioni difensive svolte dalle parti, essendo sufficiente che indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenersi implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 12121 del 2/7/2004).

6. Il principio di neutralità che governa il sistema dell’iva richiede che l’imposta sia versata a chi ha eseguito operazioni imponibili, perchè la compensi con l’imposta a sua volta corrisposta per l’acquisto di beni e servizi, di guisa che l’erario acquisisce, ad ogni passaggio del ciclo produttivo-distributivo, soltanto l’eventuale differenza tra l’imposta sulle operazioni attive e quella sugli acquisti, ossia l’importo maturato a debito dal soggetto passivo obbligato, nella periodica sommatoria di Iva a credito ed a debito (fra varie, vedi, in particolare, Cass. 14 dicembre 2012, n. 23074 e Cass. 13 marzo 2013, n. 6229). Il versamento dell’iva ad un soggetto che non sia la genuina controparte, aprendo la strada ad un indebito recupero dell’imposta, mina, con effetti dirompenti, il meccanismo di compensazione tra iva a valle ed iva a monte. Sul punto, la giurisprudenza comunitaria insiste sulla necessità, ai fini della configurabilità del diritto di detrazione, di un nesso diretto tra operazioni a valle ed operazioni a monte (tra le più recenti, Corte giust. 21 febbraio 2013, C-104/12, Wolfram Becker, punto 19; Corte giust. 6 settembre 2012, C-496/11, Portugal Telecom SGPS, punto 36); ed anche la giurisprudenza di questa Corte segnala che, in caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, pur essendo i beni o il servizio effettivamente entrati nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice, la falsa indicazione di uno dei soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativo alla diversa operazione, effettivamente realizzata da altri soggetti.

Come evidenziato la CTR ha ritenuto la sussistenza della falsa fatturazione e che la contribuente era consapevole che l’operazione si inseriva in una evasione di imposta; tanto basta al fine della indetraibilità dell’Iva.

7. Quanto alla deducibilità dei costi la CTR ha osservato che i passaggi (quattro) che avevano subito i telefonini, connotavano l’operazione in esame come di ingegneria fiscale, in quanto, essendo stata scomposta in vari segmenti di compravendita, mancava di valide ragioni economiche. Rilevava, in particolare, la circostanza che si trattava di beni prodotti all’estero e non in Italia, per cui la società austriaca, acquirente finale, non aveva alcun interesse ad acquistarli dopo quattro ricarichi per intermediazioni da parte di quattro società diverse; il cessionario austriaco poteva rivolgersi direttamente al produttore estero accorciando la filiera di distribuzione per ottenere un prezzo con un margine di intermediazione più basso.

La CTR ha concluso che il recupero a tassazione dei costi ritenuti fittizi è legittimato dalla considerazione che trattasi di costi, ancorchè contabilizzati documentalmente, che non sono stati sostenuti, con ciò affermando la necessità della necessaria presenza del nesso funzionale tra costo sostenuto e vita dell’impresa.

In mancanza di tale nesso viene meno il requisito, imposto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, della certezza ed inerenza del costo e quindi non è possibile ammettere la deduzione del costo risultato fittiziamente documentato. Infatti, tutte le fatture fiscali presuppongono l’esistenza di un legittimo rapporto contrattuale sottostante certo ed incontrovertibile, per cui, ove difetti il requisito della certezza del rapporto la fattura conseguentemente emessa, non possedendo le caratteristiche previste dalla norma, non garantisce la liceità della spesa e, così come non consente la detrazione dell’I.V.A., non consente neppure la detrazione del costo fatturato ai fini IRES e IRAP.

Con tali argomentazioni i giudici d’appello, uniformandosi alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, hanno ribadito che, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti – come nel caso di specie – la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi (Cass. n. 23626 del 11/11/2011; Cass. n. 23550 del 5/11/2014). Infatti, laddove l’Ufficio, come ritenuto dalla Commissione regionale, abbia provato che la fattura concerne operazioni oggettivamente inesistenti, per mancanza del rapporto sottostante, ossia sia mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera”, priva di struttura e di mezzi per l’esecuzione della prestazione annotata sulla fattura, passa sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Tale ultima prova non può, tuttavia, consistere nella esibizione della fattura, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 12802 del 10/6/2011; Cass. n. 24426 del 30/11/2013). Nella sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale ha chiaramente esposto gli elementi di carattere presuntivo non vinte dalla contribuente; accertata l’inesistenza del rapporto sottostante e l’assenza di inerenza tra il costo e l’attività d’impresa, ha poi correttamente escluso la deducibilità dei costi dal reddito imponibile, rispettando il disposto del t.u.i.r., art. 109.

8. Deve a questo punto valutarsi la violazione dello ius superveniens di cui al combinato disposto dei del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, commi 2 e 3, convertito dalla L. n. 44 del 2012, applicabile alla fattispecie in esame in base al comma 3, anche per fatti o attività posti in essere prima della entrata in vigore della medesima disposizione in quanto l’Amministrazione finanziaria, a fronte della rilevata indeducibilità dei costi, oggettivamente inesistenti, ha fatto concorrere alla determinazione reddituale per gli anni in contestazione i ricavi corrispondenti a detti costi.

8.1. Nella specie non osta all’applicazione della norma la circostanza che il ricorrente non ne abbia fatto richiesta nel ricorso introduttivo, notificato successivamente all’introduzione della norma stessa.

Il ricorrente ha fondato il suo motivo sulla violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 4.

La censura non può che essere esaminata alla luce dell’ius superveniens in quanto la Corte di cassazione deve applicare il principio iura novit curia (in linea generale, cfr. Cass. SU 27 ottobre 2016, n. 21691 la quale ha affermato che la violazione di legge non richiede necessariamente un errore imputabile al giudice, ma è un dato oggettivo che sussiste tutte le volte in cui vi è contrasto tra il provvedimento giurisdizionale e una norma di diritto applicabile ratione temporis al rapporto dedotto in giudizio).

Questa Corte ha affermato, a tal riguardo, il seguente principio di diritto: “si applica l’ius superveniens di cui il ricorrente non abbia fatto menzione nel ricorso introduttivo, sebbene notificato successivamente all’introduzione della norma, laddove il motivo di ricorso censura la corretta definizione di un regime giuridico che necessariamente presuppone l’applicazione della norma sopravvenuta” (Cass. 22016/2020).

8.2. Deve in primo luogo rilevarsi che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, convertito dalla L. n. 44 del 2012, sia in materia di accertamento dell’I.V.A., che delle imposte dei redditi, qualora l’Amministrazione, ritenendo fittizia – oggettivamente o soggettivamente – un’operazione di acquisto, ne avesse recuperato a tassazione i relativi costi, non avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, non sussistendo alcun automatismo tra la ritenuta fittizietà dell’operazione e tale riduzione; l’Amministrazione non aveva pertanto l’obbligo di escludere, in proporzione, i ricavi esposti dallo stesso contribuente, nè era tenuta ad accertare la dichiarazione nella sua interezza, potendo limitarsi ad analizzare l’esistenza dei costi dichiarati (Cass.n. 17729 del 30/7/2009; Cass. n. 3267 del 2/3/2012). Il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, come convertito nella L. n. 44 del 2012, costituente ius superveniens, applicabile alla presente controversia in forza del successivo comma 3, ha stabilito, con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese (Cass. n. 27040 del 19/12/2014; Cass. n. 25967 del 20/11/2013; Cass. n. 7896 del 20/4/2016).

Nella specie il giudice di appello non poteva fare applicazione della norma, di successiva introduzione e non ha accertato l’incidenza dei costi non riconosciuti sulla formazione del reddito oggetto di verifica.

A tanto provvederà il giudice di rinvio.

Il ricorso deve essere, pertanto, accolto nei limiti dell’ius superveniens e la sentenza cassata, con rinvio alla CTR della Lombardia anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

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