Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24039 del 23/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24039 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 25323-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
contro

2616

CIATTI

ANDREA

CTTNDR65D14D612G,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo

studio

dell’avvocato

VACIRCA

SERGIO,

che

lo

Data pubblicazione: 23/10/2013

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LALLI
CLAUDIO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1144/2007 della CORTE
D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 23/10/2007 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/09/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega PESSI
ROBERTO;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

1689/2005;

25323.08

Udienza 19 settembre 2013

Pres. P. Stile
Rel V. Di Cerbo

Sentenza

Rilevato che
1.

La Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza di prime cure che aveva
dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro — protrattosi dal 24
gennaio 2000 al 29 febbraio 2000 – stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Andrea Ciatti.

2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da
memoria; il lavoratore ha resistito con controricorso pure illustrato da memoria.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

La Corte di merito ha affermato l’illegittimità del termine avendo attribuito rilievo
decisivo, in particolare, alla considerazione che il contratto in esame era stato
stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994,
come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30
aprile 1998. Sotto altro profilo ha ritenuto infondata la tesi, sostenuta da Poste Italiane
s.p.a., secondo cui nel caso di specie sussisterebbero i presupposti della risoluzione
del rapporto per mutuo consenso.

5.

Con il primo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione degli artt.
1372, primo e secondo comma, cod. civ. nonché vizio di motivazione) la statuizione
della sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto per
mutuo consenso.

6.

La censura è infondata; secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte
(cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del
riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato
(sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale
ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo
consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo
la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché alla stregua delle modalità di
tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze
significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della
portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui
conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o
errori di diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del
3

La Corte

7.

Con il secondo motivo di ricorso Poste Italiane s.p.a. censura la statuizione
concernente l’illegittimità del termine denunciando violazione di norme di legge (in
particolare, l’art. 23 della legge n. 56 del 1987) e di accordi collettivi nonché vizio di
motivazione. Il motivo è infondato e deve essere pertanto rigettato.

8.

Ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che
l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del
potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla
legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame
congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per
i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro
diritti (con l’unico limite della
predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a
quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di
individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di
riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di
procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr.
altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n.
14011). Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti
collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati
all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma
dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed
inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n.
21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di
specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della
clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass.
14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come
questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di
assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre
1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo
attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di
riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione
giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione
degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne
consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il
30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass.
1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n.
21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.). La sentenza impugnata ha
fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
4

lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente, stante la sua durata, e
in mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione, a far ritenere la
sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso e tale
conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in
ricorso.

Con riferimento al profilo relativo alle conseguenze economiche della dichiarazione di
nullità della clausola appositiva del termine, si pone il problema, sollevato da Poste
Italiane s.p.a. nella memoria depositata ex art. 378 cod. proc. civ., dell’applicabilità al
0
caso di specie dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5 , 6° e 7° della
legge 4 novembre 203.0 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.

10. In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione necessaria
per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è
limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27
febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso
che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta,
oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; ne
consegue che, con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza
della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi
di ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità
del termine e che essi siano ammissibili; in particolare, ove, come nel caso in esame, il
ricorso sia stato proposto avverso una sentenza depositata successivamente alla data
di entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e prima del 4 luglio 2009 (data di
entrata in vigore della legge n. 69 del 2009), tali motivi devono essere altresì corredati,
a pena di inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato quesito di
diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi applicabile; in
caso di assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze
economiche dell’accertata nullità del termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto
pregiudiziale produce infatti la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali
conseguenze.
11. Nel caso in esame il terzo ed il quarto motivo investono il tema al quale si riferisce la
disciplina di cui all’art. 32 prima citato in quanto censurano la sentenza impugnata
nella parte in cui ha confermato la statuizione del giudice di prime cure con la quale
Poste Italiane s.p.a. è stata condannata al pagamento delle retribuzioni maturate dalla
data di messa in mora.
12. Con tali motivi, con i quali è stata denunciata violazione di norme di diritto (in
particolare, art. 2697 cod. civ. e artt. 210 e 421 cod. proc. civ.) e vizio di motivazione,
parte ricorrente lamenta, in particolare, che i giudici di merito avrebbero deciso in
assenza di prova, da parte del lavoratore, sul quale incombeva il relativo onere, del
danno subito. Sotto altro profilo Poste Italiane s.p.a. lamenta la violazione dei principi
concernenti la costituzione in mora del datore di lavoro e l’aliunde perceptum. In
particolare lamenta l’omesso esercizio, da parte del giudice di merito, dei poteri
istruttori finalizzati ad accertare l’eventuale esistenza di corrispettivi percepiti dal
lavoratore per attività svolte presso terzi. I motivi si conclude con i seguenti quesiti di
diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ.: se in caso di domanda di risarcimento danni da

scioglimento del rapporto di lavoro fondato su clausola risolutiva contrattuale nulla
rimane a carico dello stesso lavoratore, in qualità di attore, l’onere di allegare e di
provare il danno da farsi equivalere alle retribuzioni perdute – detratto l’aliunde

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9.

perceptum — a causa della mancata esecuzione delle prestazioni lavorative,
debitamente offerte dal lavoratore e le abbia illegittimamente rifiutate dal datore
(primo quesito); se nel caso di oggettiva difficoltà della parte ad acquisire precisa
conoscenza degli elementi sui quali fondare la prova a supporto delle proprie domande
o eccezioni — e segnatamente la prova delraliunde perceptum — il Giudice debba
valutare le richieste probatorie con minor rigore rispetto all’ordinario, ammettendole
ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della
certezza processuale (secondo quesito).

13. Osserva il Collegio che i suddetti quesiti risultano del tutto generici rispetto alla
fattispecie, in quanto si risolvono nella enunciazione in astratto delle regole vigenti
nella materia senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto
accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4 gennaio 2011 n. 80; Cass. 29
aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi enunciati da questa Corte di
legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36) secondo cui il quesito di
diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, deve essere formulato in
maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in
giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito generico e non pertinente, con
conseguente inammissibilità del relativo motivo, come nel caso di specie.
14. Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.
15. Al rigetto del ricorso, consegue, per il principio della soccombenza, che le spese del
presente giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura, liquidata in
dispositivo, che tiene conto delle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012 n. 140
(entrato in vigore il 23 agosto 2012) emanato ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 1 del 2012
convertito in legge n. 27 del 2012.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in Euro 100,00 per esborsi oltre Euro 3500 (tremilacinquecento) per
compensi professionali e oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 settembre 2013.
Il Presidente

Il Relatore
V. Di Cerbo

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