Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24029 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/10/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 30/10/2020), n.24029

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18024-2019 proposto da:

S.Y., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CRISTINA PEROZZI giusta procura speciale

allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2965/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 13/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLA

VELLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Ancona ha rigettato il ricorso avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Ancona aveva negato ogni forma di protezione internazionale al cittadino gambiano S.Y., il quale aveva dichiarato: di essere orfano di padre; di aver lavorato presso un sarto che lo aveva accusato di avergli rubato dei macchinari, mentre lui era in Senegal; di essere stato “torchiato, anche con percosse, per una settimana” dalla polizia, che poi lo aveva prosciolto; di essersi perciò indotto ad espatriare, con i risparmi della madre.

Il ricorrente ha impugnato la decisione con ricorso affidato a tre motivi. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

A seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

2. I tre motivi di ricorso sono così testualmente rubricati: 1) “Violazione D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 112 e art. 10, comma 4. Difetto di motivazione”, con riguardo alla “mancata traduzione della decisione della Commissione Territoriale e della sentenza di Appello, incomprensibile all’odierno ricorrente e dovuta per legge”, nonchè “violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e del principio convenzionale internazionale del divieto di non refoulement, oltre che la violazione delle norme costituzionali e CEDU in ordine al diritto ad un processo giusto ed effettivo”; 2) “Violazione D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 112 11-17, art. 2 Cost. e art. 10 Cost., comma 3. Difetto di motivazione. In relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria”, con “nullità del provvedimento impugnato per omessa pronuncia ed ex art. 360, n. 5 per omessa od insufficiente motivazione, attesa la sua natura apparente e tautologica”; 3) “Violazione art. 353 c.p.c., art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11-17. Violazione D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. In relazione alla mancata concessione della protezione umanitaria”.

3. Tutte le censure, che risentono della inadeguatezza della tecnica redazionale del ricorso, sono inammissibili.

4. In particolare il primo motivo, oltre ad essere estremamente generico, è anche infondato, poichè, “in tema di protezione internazionale, l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale, nonchè quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa tradizione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un “vulnus” all’esercizio del diritto di difesa ed in particolare, qualora deduca la mancata comprensione delle allegazioni rese in interrogatorio, deve precisare quale reale versione sarebbe stata offerta e quale rilievo avrebbe avuto” (Cass. 11871/2014, Cass. 24543/2011).

4.1. Peraltro, l’eventuale nullità del provvedimento amministrativo emesso dalla Commissione territoriale per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato o in una delle lingue veicolari, non rileva in sè, ma solo per le eventuali conseguenze sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa (Cass. 27337/2018, 7385/2017), fermo restando in ogni caso l’obbligo del giudice adito di esaminare il merito della domanda, poichè oggetto della controversia non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale il giudice deve comunque statuire, non potendosi tale giudizio concludersi con una mera declaratoria d’invalidità del diniego amministrativo, ma dovendo esso pervenire alla decisione sulla spettanza o meno del diritto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 10, (Cass. 26480/2011).

5. Con riguardo ai restanti due motivi, afferenti la protezione sussidiaria e quella umanitaria, essi veicolano confusamente vizi eterogenei, in contrasto col principio di tassatività dei mezzi di ricorso per cassazione e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. 11222/2018, 2954/2018, 27458/2017, 16657/2017, 19133/2016).

5.1. Inoltre, le censure motivazionali (da interpretarsi come tale anche quella riguardante i presupposti del permesso di soggiorno per motivi umanitari) non rispettano i canoni del novellato art. 360 c.p.c., n. 5), che onerano il ricorrente di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020), restando esclusa la possibilità di denunziare in questa sede la mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione (Cass. Sez. U, 33017/2018).

5.2. Va infine evidenziato che i motivi, oltre a difettare di specificità, riportano in modo massiccio lunghi brani di decisioni assunte da diversi giudici di merito, rendendo così anche difficoltosa l’enucleazione delle deduzioni strettamente pertinenti alla vicenda che ne occupa.

6. All’inammissibilità del ricorso non segue alcuna statuizione sulle spese, in assenza di difese degli intimati, mentre occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019, 4315/2020).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

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