Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24028 del 24/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 24/11/2016, (ud. 21/09/2016, dep. 24/11/2016), n.24028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27612/2013 proposto da:

C.T. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA PUBLIO ELIO 13/A, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

CASSIA, rappresentato e difeso dagli avvocati MARIA TERESA VARI,

LUCA SANTOVINCENZO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FANTINI SUD S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI S. COSTANZA 46, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANCINI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO PERSICHETTI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3689/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/07/2013 R.G.N. 11562/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/09/2016 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito l’Avvocato VARI MARIA TERESA;

udito l’Avvocato MANCINI LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – La Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello di C.T. avverso la sentenza del Tribunale di Frosinone che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti della Fantini Sud s.p.a. volta ad ottenere: la dichiarazione di “nullità, inefficacia e/o illegittimità” del licenziamento intimato dalla società il 24 settembre 2005 per superamento del periodo di comporto; la condanna della società alla reintegrazione del ricorrente in mansioni compatibili con la invalidità della quale lo stesso era portatore; il risarcimento del danno da quantificarsi in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data del recesso sino a quella della effettiva riammissione in servizio.

2 – La Corte territoriale ha premesso che il C. nel ricorso di primo grado aveva posto a fondamento della domanda la riconducibilità a responsabilità della azienda delle assenze per malattia verificatesi nel periodo successivo al 27 gennaio 2004, assenze che non erano state contestate quanto alla loro complessiva durata. Ha, quindi, osservato in sintesi che:

a) non potevano essere valutate le deduzioni contenute nel gravame in merito all’eziologia professionale della malattia oncologica, perchè l’appellante aveva prospettato una questione nuova, in fatto ed in diritto, non ricompresa dell’originario thema decidendum;

b) la responsabilità che discende dall’art. 2087 c.c., richiede che siano ravvisabili profili di colpa nella condotta del datore di lavoro, sicchè quest’ultimo non può essere chiamato a rispondere dell’aggravamento di una preesistente malattia qualora non sia a conoscenza dello stato di salute del lavoratore e della incompatibilità di tale stato con le mansioni affidategli;

c) correttamente il Tribunale aveva escluso detta conoscenza e valorizzato la testimonianza resa dalla dipendente della società, la quale aveva riferito che la lettera raccomandata del 27 gennaio 2004 conteneva solo il certificato medico di prosecuzione della malattia e non la comunicazione del riconoscimento di invalidità civile nella misura dell’80% e la richiesta di “eventuale revisione della propria mansione”;

d) l’infondatezza del motivo di appello formulato avverso detto capo della decisione comportava l’assorbimento della questione relativa alla compatibilità delle mansioni con lo stato di salute del ricorrente, accertata dal consulente tecnico d’ufficio e posta dal Tribunale alla base del rigetto del ricorso, con motivazione ulteriore ed autonoma rispetto alla prima;

e) doveva essere esclusa la eccepita tardività del licenziamento in quanto, superato il periodo di comporto, l’appellante non aveva ripreso servizio regolarmente sicchè il lasso di tempo decorso doveva ritenersi giustificato.

3 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.T. sulla base di tre motivi. La Fantini Sud s.p.a. ha resistito con tempestivo controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo il ricorrente denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5”. Rileva che la Corte territoriale aveva escluso la conoscenza dello stato di salute del lavoratore e della incompatibilità di tale stato con le mansioni assegnategli senza considerare che era stata acquisita la cartella sanitaria del ricorrente, nella quale già prima del 27 gennaio 2004 erano stati annotati il riconoscimento della invalidità civile e l’uso di farmaci. Aggiunge che la malattia oncologica era conosciuta dalla azienda, anche perchè desumibile dal tenore dei certificati medici inviati per la giustificazione delle assenze. Era pertanto onere del datore di lavoro accertare la effettiva compatibilità dello stato di salute con le mansioni assegnate al C..

1.2 – Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., dalla quale sarebbe derivata la nullità della sentenza impugnata. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale, nel dichiarare inammissibile il motivo di appello formulato con riferimento alla eziologia professionale della malattia, avrebbe effettuato una lettura parziale delle censure, che erano volte a dimostrare la erroneità della sentenza del Tribunale nella parte in cui, recependo in modo acritico le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, aveva ritenuto le mansioni compatibili con lo stato di salute. Aggiunge che la Corte territoriale avrebbe dovuto innanzitutto valutare detto aspetto, in quanto l’accertamento di compatibilità “doveva ritenersi assorbente se non addirittura preliminare”.

1.3 – Con la terza censura, rubricata “violazione dell’art. 437 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, il ricorrente assume che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che fosse preclusa la allegazione solo in appello della eziologia professionale della malattia e ciò perchè, una volta dedotta la incompatibilità delle mansioni con lo stato di salute del lavoratore, era compito del giudice verificare “tutti gli elementi necessari ad affermare la sussistenza o meno di tale incompatibilità” e, quindi, anche la eziologia della malattia da intendersi quale “indizio primario di tale incompatibilità perchè se la malattia era conseguenza delle mansioni, le stesse non potevano ritenersi compatibili con lo stato di salute del lavoratore”.

2.1 – Il primo motivo è inammissibile per plurime ragioni concorrenti.

La Corte territoriale ha premesso che la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., può essere configurata, in relazione all’aggravamento di una preesistente malattia, solo qualora sussista una condotta colposa, che presuppone la necessaria conoscenza dello stato di salute del dipendente e della incompatibilità di tale stato con le mansioni a quest’ultimo assegnate.

Ha, quindi, escluso che nella fattispecie detta responsabilità potesse essere configurata perchè dalla istruttoria era emerso che la società non era stata portata a conoscenza nè dell’avvenuto riconoscimento della invalidità civile nè della asserita incompatibilità della malattia con la posizione lavorativa rivestita dal C..

Il motivo, pur denunciando nella rubrica la violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, non sviluppa alcun argomento volto a contestare quanto asserito dalla Corte territoriale in merito ai presupposti che devono ricorrere affinchè possa essere configurata la responsabilità ex art. 2087 c.c.. Le censure, infatti, attengono solo alla valutazione delle risultanze processuali che, a detta del ricorrente, se correttamente esaminate, avrebbero consentito di affermare che la società era pienamente consapevole della malattia e della non compatibilità della stessa con le mansioni assegnate al C..

Ne discende che, quanto alla violazione di legge denunciata in rubrica, il motivo è inammissibile giacchè, secondo il costante insegnamento di questa Corte, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a dimostrare motivatamente in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 328/2007; Cass. n. 21611/2013; Cass. n. 20957/2014; Cass. n. 635/2015).

2.2 – Parimenti inammissibile è il motivo nella parte in cui sostiene che la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare la documentazione prodotta, pervenendo a conseguenze erronee in merito alla conoscenza da parte della società dello stato invalidante.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 n. 19881 e Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053) che il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5), applicabile ratione temporis alla fattispecie, non riguarda la motivazione della sentenza ma concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Nel caso di specie la Corte territoriale ha dato ampio conto delle ragioni per le quali doveva essere esclusa la conoscenza da parte della società dello stato invalidante e della incompatibilità con le mansioni assegnate, sicchè la asserita omessa valutazione delle attestazioni contenute nella cartella sanitaria non è riconducibile al vizio denunciato che, come già detto, non va confuso con l’omesso esame di elementi istruttori, non denunciabile in sede di legittimità.

2.3 – Alle considerazioni che precedono, già assorbenti, si deve aggiungere, quale ulteriore profilo di inammissibilità della censura, che in entrambi i gradi del giudizio di merito il ricorrente aveva fatto leva sull’invio della lettera raccomandata del 27 gennaio 2004 che, a suo dire, conteneva anche la richiesta di assegnazione a mansioni compatibili con lo stato di salute, tanto che aveva dedotto la non computabilità ai fini del superamento del comporto delle sole assenze verificatesi successivamente a detta data. Il Tribunale, all’esito della prova orale, aveva, invece, accertato che nell’occasione era stato solo trasmesso il certificato medico di prosecuzione della malattia e l’appello aveva censurato la pronuncia per erronea valutazione delle risultanze testimoniali, senza dedurre alcunchè sul contenuto della documentazione acquisita.

Il ricorso, pertanto, prospetta inammissibilmente un nuovo tema di indagine.

3 – Parimenti inammissibili sono il secondo ed il terzo motivo, con i quali il ricorrente sostiene, in sintesi, che la Corte territoriale avrebbe dovuto pronunciare in ogni caso sulla eccepita incompatibilità delle mansioni con lo stato di salute e sulla eziologia professionale della malattia. Addebita, pertanto, alla sentenza impugnata: l’omessa pronuncia sul motivo di appello con il quale era stato censurato l’acritico recepimento della consulenza tecnica d’ufficio; la erronea dichiarazione di inammissibilità delle deduzioni relative alla origine professionale della malattia.

La prima di dette censure non coglie il decisum, perchè la Corte territoriale non ha omesso di pronunciare sul motivo di appello ma, al contrario, ha ritenuto non più rilevante e, quindi, assorbita la questione della compatibilità fra malattia e mansioni assegnate, una volta esclusa la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., per non essere emersa la conoscenza da parte di quest’ultimo della asserita incompatibilità.

Si aggiunga che non sussiste la denunciata omessa pronuncia perchè la stessa è configurabile solo allorquando manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, non già in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza (fra le più recenti Cass. 26.1.2016 n. 1360).

3.1 – Anche il terzo motivo, con il quale si sostiene che il nesso eziologico tra malattia e mansioni doveva essere apprezzato se non altro come indice della denunciata incompatibilità, non considera che la Corte territoriale ha ritenuto non esaminabile detta questione, una volta esclusa la consapevolezza da parte del datore di lavoro. La censura, quindi, presenta gli stessi profili di inammissibilità evidenziati nel punto che precede.

3.2 – A soli fini di completezza osserva il Collegio che l’ordine di trattazione delle questioni seguito dal giudice di appello è corretto perchè, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, possono essere escluse dal calcolo del periodo di comporto solo le assenze che abbiano origine e trovino causa in un inadempimento del datore di lavoro, giacchè in detta ipotesi l’impossibilità della prestazione lavorativa è imputabile al comportamento illecito della stessa parte cui detta prestazione è destinata. Non è, dunque, sufficiente che si tratti di malattia professionale, meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che in relazione alla patologia ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. (Cass. nn. 3351/1996; 7037/2011; 26307/2014).

Dal principio di diritto, condiviso dal Collegio, discende che una volta esclusa, per le ragioni indicate dalla Corte territoriale, la responsabilità ex art. 2087 c.c., ogni altra indagine sulla natura e sulle cause della malattia diviene irrilevante.

4 – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente nella misura indicata in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello do uto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2016

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