Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24026 del 12/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/10/2017, (ud. 23/05/2017, dep.12/10/2017),  n. 24026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29157-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA G MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE

TRIFIRO’, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

e contro

D.D.A.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1010/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/11/2010 R.G.N. 21036/2007.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso che con sentenza n. 1010/2010, depositata il 24 novembre 2010, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Milano aveva dichiarato la illegittimità del termine apposto al contratto stipulato da D.D.A.G. e dalla società Poste Italiane S.p.A. ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 “per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di smistamento e trasporto, presso il Polo Corrispondenza (OMISSIS), assente nel periodo dal 20/6/2005 al 20/9/2005”;

– che a sostegno della propria decisione la Corte ha, da un lato, ritenuto generica la causale indicata nel contratto fra le parti e, dall’altro, ritenuto comunque non dimostrata l’effettiva sussistenza delle dichiarate ragioni dell’assunzione a termine, per inidoneità o insufficienza della documentazione prodotta e per genericità della prova per testi dedotta dalla società;

– che nei confronti di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Poste Italiane S.p.A. con sei motivi, assistiti da memoria;

– che il lavoratore è rimasto intimato;

osservato preliminarmente che è prioritario l’esame del terzo motivo di ricorso, con il quale, investendosi la seconda ratio decidendi, viene denunciato il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per non avere il giudice di appello dato ingresso ai mezzi istruttori proposti dalla società, nonostante che essi riguardassero circostanze decisive ai fini della prova delle ragioni giustificatrici dell’assunzione;

– che il motivo in esame è da considerarsi, in primo luogo, inammissibile, dovendosi in proposito osservare che – come più volte precisato da questa Corte – “il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative” (cfr., fra le molte, Cass. n. 17915/2010): onere che, invece, nella specie non risulta essere stato adempiuto dalla ricorrente, la quale si è limitata ad una sommaria e indistinta indicazione di decisività delle prove non ammesse dalla Corte di merito;

– che il motivo è comunque infondato, posto che – come più volte precisato nel vigore dell’art. 360, n. 5 anteriormente alla riforma del 2012 – “il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (cfr., fra le molte conformi, Cass. n. 27197/2011);

– che ne consegue che devono ritenersi inammissibili per difetto di interesse gli altri motivi di ricorso, con i quali viene censurata la sentenza di secondo grado per avere ritenuto generica la causale dell’assunzione, sul rilievo della mancata indicazione del nominativo del lavoratore o dei lavoratori sostituiti (1); per omessa o insufficiente motivazione su tale punto (2); per avere, in violazione dell’art. 1419 c.c., erroneamente ritenuto che l’illegittimità della clausola appositiva del termine non si estendesse all’intero contratto (4); per non avere fatto decorrere il diritto alle retribuzioni dal momento dell’effettiva ripresa del servizio da parte del lavoratore, in violazione di varie norme sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni (5);

– che, infatti, è stato ripetutamente affermato nella giurisprudenza di questa Corte che “nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso sia accolto nella sua interezza, affinchè si compia lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale mira alla cassazione della sentenza, ossia di tutte le ragioni che autonomamente la sorreggono. E’ sufficiente, pertanto, che anche una sola delle ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola di esse, perchè il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni” (Cass. n. 4199/2002);

– che è invece fondato, e deve essere accolto, il sesto motivo di ricorso, con il quale viene dedotta l’applicazione della disciplina sopravvenuta di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32 in tema di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore in conseguenza della nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato;

– che in proposito deve richiamarsi la recente sentenza delle Sezioni Unite 27 ottobre 2016 n. 21691, la quale ha precisato che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”;

Ritenuto, pertanto, che l’impugnata sentenza della Corte di appello di Milano n. 1010/2010 deve essere cassata in relazione a tale ultimo motivo e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla medesima Corte in diversa composizione, la quale provvederà a determinare l’indennità prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, secondo i criteri indicati dalla norma, accertando l’esistenza di eventuali contratti o accordi collettivi ai sensi del co. 6 e facendo applicazione, ove necessario, delle disposizioni di natura processuale fissate nel comma 7 di tale legge.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso limitatamente all’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32; cassa in tali termini la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017

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