Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24025 del 23/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24025 Anno 2013
Presidente: MAISANO GIULIO
Relatore: FILABOZZI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 7629-2011 proposto da:
NARDACCHIONE BARBARA NRDBBR71D65F839Y, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA TASSO 39, presso lo studio
dell’avvocato NOBILE GIUSEPPE, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato CARRANO LUIGI, giusta
delega in atti;
– ricorrente –

2013
contro

2064

IL MESSAGGERO S.P.A. 05629251009;
– intimata –

Nonché da:

Data pubblicazione: 23/10/2013

IL MESSAGGERO S.P.A. 05629251009, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9,
presso lo studio dell’avvocato MITTIGA ZANDRI
PATRIZIA, che la rappresenta e difende giusta delega

– controricorrente e ricorrente incidentale contro

NARDACCHIONE BARBARA NRDBBR71D65F839Y, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA TASSO 39, presso lo studio
dell’avvocato NOBILE GIUSEPPE, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato CARRANO LUIGI, giusta
delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 7460/2010 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 16/12/2010 r.g.n. 6092/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/06/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
FILABOZZI;
udito l’Avvocato CARRANO LUIGI;
udito l’Avvocato MITTIGA ZANDRI PATRIZIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso principale e incidentale,
assorbimento incidentale condizionato.

in atti;

r.g. n. 7629/11
udienza del 11.6.2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Barbara Nardacchione ha chiesto che venisse accertata la nullità, l’inefficacia o l’illegittimità del

condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni ex art. 18
legge n. 300/70. Ha lamentato in particolare che la comunicazione ex art. 4, commi 2 e 5, della
legge n. 223/91 non era stata inviata alla FNSI, e cioè al sindacato rappresentativo della categoria
dei giornalisti, cui essa apparteneva, ma ai sindacati dei metalmeccanici, laddove con sentenza del
Tribunale di Roma in data 9.2.2004, passata in giudicato, era stato accertato che la ricorrente aveva
svolto fino al 27.9.2002 le mansioni di redattore previste dal contratto collettivo di lavoro
giornalistico.
Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda con sentenza che, sull’appello della società il
Messaggero spa (società incorporante la Caltanet spa), è stata riformata dalla Corte d’appello della
stessa città, che ha ritenuto, per quanto qui interessa, che fossero infondate le eccezioni di
decadenza e di prescrizione sollevate dalla società Il Messaggero, ed ha accolto il motivo di
impugnazione concernente l’esatta individuazione del soggetto destinatario della comunicazione di
avvio della procedura di mobilità, ritenendo che questo dovesse essere individuato nelle
rappresentanze sindacali unitarie dei metalmeccanici, presenti in azienda, e non nella FNSI, come
ritenuto dal primo giudice, con conseguente affermazione della regolarità della comunicazione di
avvio della procedura, rigetto della domanda della lavoratrice e assorbimento degli altri motivi di
gravame.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione Barbara Nardacchione affidandosi a tre motivi di
ricorso cui resiste con controricorso la società Il Messaggero spa, che ha proposto anche ricorso
incidentale condizionato fondato su due motivi e ricorso incidentale, fondato su un unico motivo,
relativamente alla statuizione con cui la Corte territoriale ha disposto la compensazione delle spese
dei gradi di merito.
La ricorrente ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

licenziamento intimatole dalla Caltanet spa per riduzione di personale in data 27.9.2002, con la

Preliminarmente, deve disposta la riunione dei ricorsi principale e incidentale, ex art. 335 c.p.c.,
trattandosi di impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza.
1.- Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione degli artt. 420 e 346 c.p.c.,
nonché vizio di motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha
(implicitamente) negato l’ammissione della testimonianza della persona che, all’epoca dei fatti,
ricopriva la carica di segretario dell’Associazione stampa romana e di Consigliere della Federazione
nazionale stampa italiana e che, in virtù di tale veste, avrebbe potuto dare un rilevante contributo

2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 420 e 346 c.p.c., nonché vizio di
motivazione, relativamente alla statuizione con cui la Corte d’appello ha (implicitamente) negato
l’ammissione della prova testimoniale sulle circostanze che erano state dedotte dalla ricorrente con
l’atto introduttivo per dimostrare l’esistenza della violazione dell’art. 5 della legge n. 223 del 1991,
ritenendo che tali deduzioni non fossero state riproposte in appello e dovessero pertanto ritenersi
rinunciate, ex art. 346 c.p.c.
3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 4, commi 2 e 12, della legge n. 223/91,
nonché vizio di motivazione, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto valida la
comunicazione di avvio della procedura di mobilità, ex art. 4, comma 2, della legge n. 223 del 1991,
inviata ad un’organizzazione sindacale (quella dei metalmeccanici) che non rappresentava la
categoria dei lavoratori interessati alla procedura di mobilità (e cioè quella giornalistica), alla quale
apparteneva anche la ricorrente.
4.- Con i due motivi del ricorso incidentale condizionato la società ripropone le questioni già
sollevate nei gradi di merito in ordine alla fondatezza delle eccezioni di decadenza e di prescrizione
dell’azione per l’impugnazione del licenziamento. Con l’unico motivo del ricorso incidentale (non
condizionato) la società denuncia, infine, violazione dell’art. 91 c.p.c. relativamente alla statuizione
con cui la Corte territoriale ha disposto la compensazione delle spese dei gradi di merito.

all’accertamento dei fatti per cui è causa.

5.- Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.
Questa Corte ha già affermato (cfr. ex plurimis Cass. n. 5479/2006, nonché Cass. n. 17915/2010)
che allorché nel ricorso per cassazione sia denunciata la mancata ammissione di un mezzo
istruttorio, è necessario che il ricorrente non si limiti ad una censura generica, ma invece specifichi
gli elementi di giudizio dei quali lamenta la mancata acquisizione, evidenziando il contenuto e la
finalità della richiesta istruttoria. Più in particolare, ove si tratti di una prova per testimoni, è onere
del ricorrente, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare
specificamente le circostanze che formavano oggetto di prova, quale ne fosse la rilevanza, ed a
quale titolo i soggetti chiamati a rispondere su di esse potessero esserne a conoscenza. E’ stato

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l

altresì precisato che qualora, con il ricorso per cassazione, venga censurata la mancata ammissione,
da parte del giudice di merito, di un’istanza probatoria senza adeguata motivazione, la parte non
può limitarsi ad indicare di aver fatto una tempestiva richiesta poi respinta, ma deve dimostrare – in
virtù del principio di autosufficienza – che detta istanza avrebbe potuto avere rilievo decisivo ai fini
della soluzione di un punto parimenti decisivo della controversia (Cass. n. 24221/2009, Cass. n.
11603/2009).
6.- Nella specie, il ricorrente non ha riportato nel ricorso per cassazione lo specifico contenuto dei

limitandosi a svolgere alcune considerazioni, di carattere valutativo, sul rilievo che avrebbe potuto
assumere nel giudizio il risultato di tale testimonianza, ed impedendo così a questa Corte di valutare
la decisività del mezzo istruttorio richiesto. Di qui l’inammissibilità del motivo in esame.
7.- Il secondo motivo del ricorso principale è infondato.
Come è stato già ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis Cass. n. 16360/2004, Cass. n.
7918/2004), la riproposizione in appello delle domande e delle eccezioni non accolte in primo
grado, pur se libera da forme, deve essere tuttavia compiuta in modo specifico, non essendo
all’uopo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni rassegnate dinanzi al
primo giudice. Questa Corte ha altresì rimarcato che la disposizione dell’art. 346 c.p.c., secondo cui
le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado si intendono rinunciate se non
espressamente riproposte in appello, è dettata per la parte vittoriosa, la quale, non onerata
dall’impugnazione per difetto di interesse, deve tuttavia riproporre specificamente nell’atto di
costituzione in secondo grado, oltreché le domande, le questioni non accolte dal primo grado, tra cui
i fatti che per il loro rilievo giuridico siano serviti a contrastare l’altrui pretesa (Cass. n.
14673/2009).
8.- Nel caso di specie, la ricorrente, lungi dal riproporre specificatamente i fatti posti a fondamento
della denuncia di violazione dell’art. 5 della legge n. 223 del 1991 (per quanto riguarda i criteri di
scelta dei lavoratori da licenziare), non ha neppure fatto richiamo, anche genericamente, alle difese
e alle conclusioni formulate nel giudizio di primo grado in ordine alla sussistenza di tale violazione,
limitandosi semplicemente a chiedere l’escussione di un testimone che era stato indicato all’udienza
di cui all’art. 420 c.p.c. (lo stesso di cui è contestata la mancata ammissione con il primo motivo del
ricorso principale) e “degli altri testi indicati in ricorso”, con una formulazione che, per la sua
genericità, oltre che per la sua equivocità (l’escussione del teste indicato all’udienza di discussione
era stata chiesta su circostanze diverse da quelle attinenti alla corretta applicazione dei criteri di
scelta dei lavoratori da licenziare), non può assolutamente ritenersi idonea a manifestare la volontà

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capitoli di prova sui quali avrebbe dovuto essere interrogato il testimone indicato nel primo motivo,

• di sottoporre al giudice dell’appello la questione relativa alla corretta applicazione dei suddetti
criteri.
Deve pertanto ritenersi che la Corte territoriale abbia correttamente escluso che la questione
concernente l’applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità sia stata
riproposta in appello dalla lavoratrice.
9.- Anche il terzo motivo deve ritenersi infondato.

deve essere posto in essere dal datore di lavoro prima di poter effettuare la riduzione di personale.
Il legislatore, nel conformarsi alle direttive comunitarie (direttiva Cee 1975/129, così come
modificata dalla più recente direttiva 1992/56) che tengono conto della peculiarità degli interessi
coinvolti dalla riduzione di personale, ha previsto, infatti, procedure di tipo sindacale e
amministrativo che implicano un controllo, sia da parte delle organizzazioni dei lavoratori che da
parte di organismi pubblici, su tutta la materia del licenziamento collettivo.
Come è stato già evidenziato (Cass. n. 13196/2003), la procedura disciplinata dall’art. 4 della legge
n. 223 del 191 assegna al sindacato, a fronte dell’esercizio del potere imprenditoriale modificativo
in maniera non marginale dell’assetto aziendale, un ruolo di tutela dell’interesse del lavoratore alla
conservazione del posto di lavoro nell’ambito del più generale controllo su eventi che incidano, in
maniera non marginale, sull’assetto occupazionale.
E’ previsto, in particolare, che le imprese che intendano esercitare la facoltà di avviare le procedure
di mobilità debbano darne comunicazione preventiva per iscritto “alle rappresentanze sindacali
aziendali costituite a norma dell’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n.300, nonché alle
rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze la comunicazione
deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente
rappresentative sul piano nazionale” (art. 4, comma 2, della legge n. 223/91).
Questa Corte ha già precisato (cfr. ex multis Cass. n. 5698/2003) che anche dopo la parziale
abrogazione, a seguito del referendum popolare, dell’art. 19 della legge n. 300 del 1970, permane
l’obbligo previsto dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991 della preventiva comunicazione per iscritto
del licenziamento per riduzione di personale alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a
norma dell’art. 19 (parzialmente abrogato), atteso, tra l’altro, che la norma abrogata perde efficacia
soltanto per il futuro, ma può conservare operatività in relazione a determinati rapporti sorti nel
passato e che l’abrogazione referendaria non riguarda l’organo sindacale in sé considerato, ma solo
il criterio di costituzione dello stesso.

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In tema di procedure di mobilità, la legge n. 223 del 1991 prevede un complesso procedimento che

10.- Nel caso di specie, secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata, la comunicazione di
avvio della procedura è stata effettuata nei confronti delle rappresentanze sindacali aziendali
costituite a norma dell’art. 19 della legge n. 223 del 1991 ed alle rispettive associazioni categoria.
La ricorrente sostiene che la comunicazione avrebbe, però, dovuto essere inviata alla (o anche alla)
Federazione nazionale della stampa italiana, perché, con sentenza passata in giudicato in epoca
successiva all’apertura della procedura e alla comunicazione dei licenziamenti, era stata accertata la
natura giornalistica delle mansioni svolte dalla Nardacchione nell’ambito dell’azienda. Rileva, a

disparità di trattamento, con la possibilità che i destinatari della comunicazione di cui all’art. 4 della
legge n. 223 del 1991 siano diversi a seconda della presenza o meno di una r.s.a. nell’azienda.
11.- L’assunto è infondato. Come si è visto, l’obbligo di effettuare la comunicazione alle
associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative è previsto solo
nel caso di “mancanza” delle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell’art. 19 della
legge n. 300 del 1970. Ove una rappresentanza sindacale sia stata costituita a norma dell’art. 19
(ovvero nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi applicati
nell’unità produttiva e, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 231 del 2013, anche nell’ambito
di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità
produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali
rappresentanti dei lavoratori in azienda), è a questa rappresentanza sindacale che deve essere
effettuata la comunicazione prevista dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991 (ed ove nell’azienda
operino più r.s.a., la suddetta comunicazione dovrà essere inviata a tutte). Correlativamente, la
presenza anche di una sola r.s.a. è sufficiente ad evitare l’insorgenza, a carico del datore di lavoro,
dell’obbligo di inviare la comunicazione alle associazioni sindacali esterne.
La possibile diversità dei soggetti destinatari della comunicazione a seconda che nell’ambito
dell’unità produttiva siano state costituite una o più rappresentanze sindacali aziendali, oppure non
ve ne sia alcuna, è insita, del resto, nella diversità dei criteri di rappresentatività dell’organizzazione
sindacale stabiliti rispettivamente dall’art. 19 della legge n. 300 del 1970, dopo l’abrogazione
referendaria (la sottoscrizione di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva o comunque la
partecipazione alla negoziazione di tali contratti), e dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991 per il caso
di mancanza delle rappresentanze sindacali aziendali (la maggiore rappresentatività sul piano
nazionale). E’ stato, infatti, affermato (cfr. Corte cost. n. 344/96) che per quanto riguarda le norme
che attribuiscono rilievo, a livello sovra-aziendale, alle associazioni sindacali maggiormente
rappresentative, come nel caso dell’art. 4, comma 2, della legge n. 223 del 1991, la nozione di
“maggiore rappresentatività” deve desumersi autonomamente rispetto all’art. 19 della legge n. 300

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sostegno dell’assunto, che una diversa interpretazione della norma, porterebbe ad una ingiustificata

del 1970, in base alle singole disposizioni che utilizzano tale requisito, ovvero alla stregua dei
requisiti di fondo messi in evidenza dall’analisi giurisprudenziale (e cioè l’effettività dall’azione
sindacale, l’articolazione delle associazioni sindacali a livello nazionale, la loro intercategorialità e
pluricategorialità).
12.- Nel caso in cui risulti formalmente costituita una rappresentanza sindacale aziendale non
vengono in rilievo, dunque, indagini circa la “effettiva” rappresentatività dell’organo sindacale,
essendo sufficiente constatare che l’organismo sindacale presente in azienda sia stato regolarmente
costituito a norma dell’art. 19 della legge n. 300 del 1970, ovvero nell’ambito di associazioni
sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva o (a seguito della
sentenza della Corte cost. n. 231 del 2013) che abbiano comunque partecipato alla negoziazione
relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori in azienda (in mancanza di prova
dell’esistenza di una rappresentanza sindacale aziendale formalmente e regolarmente costituita, non
sarebbe, infatti, obbligatoria la comunicazione di avvio della procedura ad una rappresentanza
sindacale presente all’interno dell’azienda, ma “informale”: cfr. Cass. n. 639/2005).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha, peraltro, accertato – con una valutazione di fatto che è
insindacabile in questa sede di legittimità in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e
non contraddittoria – che la r.s.a. (o, più precisamente, la r.s.u.) presente in azienda, regolarmente
costituita a norma dell’art. 19 della legge n. 300 del 1970, era realmente rappresentativa degli
interessi dei lavoratori coinvolti nella procedura di mobilità, essendo stata costituita, come risultava
dai verbali relativi alle operazioni elettorali, su iniziativa dei lavoratori presenti in azienda, ivi
compresa la Nardacchione, che aveva partecipato alle operazioni in qualità di presidente della
commissione elettorale.
Resta pertanto confermata la correttezza della decisione della Corte territoriale, che ha ritenuto
l’insussistenza, nel caso in esame, di vizi inerenti all’esatto adempimento dell’obbligo di
comunicazione dell’avvio della procedura di mobilità.
13.- Coerente sviluppo di tutte le precedenti argomentazioni è il principio di diritto – da enunciarsi
ai sensi dell’art. 384, primo comma, c.p.c. – secondo cui “l’obbligo di effettuare la comunicazione
alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative è previsto
solo nel caso di “mancanza” delle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell ‘art.
19 della legge n. 300 del 1970. Pertanto, ove una rappresentanza sindacale sia stata costituita a
norma dell’art. 19 (ovvero nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti
collettivi applicati nell’unità produttiva e, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 231 del
2013, anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi
applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi

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contratti quali rappresentanti dei lavoratori in azienda), è a questa rappresentanza sindacale che
deve essere effettuata la comunicazione prevista dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991. Ove
nell’azienda operino più r.s.a., la suddetta comunicazione dovrà essere inviata a tutte;
correlativamente, la presenza anche di una sola r.s.a. è sufficiente ad evitare che sorga l’obbligo di
inviare la comunicazione alle associazioni sindacali esterne”.
14.- Il ricorso incidentale, con cui si denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c. in ordine alla
statuizione del giudice dell’appello sulle spese di lite, è infondato.

dalla Corte territoriale, che ha fatto riferimento, nella individuazione dei giusti motivi di cui all’art.
92 c.p.c., oltre che alla natura della controversia, alla particolarità delle questioni legate alla
valutazione dell’adempimento dell’obbligo di comunicazione dell’avvio della procedura di mobilità
in relazione all’accertamento del diritto della ricorrente ad essere inquadrata nella categoria dei
giornalisti.
15.- In definitiva, sia il ricorso principale che il ricorso incidentale devono essere rigettati. Il
ricorso incidentale condizionato resta assorbito dal rigetto del ricorso principale.
In considerazione dell’esito globale del giudizio, si ravvisano giusti motivi per compensare
integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e quello incidentale, assorbito l’incidentale
condizionato; compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11 giugno 2013.

La decisione di compensare le spese dei due gradi di merito è stata, infatti, adeguatamente motivata

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