Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24024 del 23/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24024 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: CURZIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 1605-2009 proposto da:
MIRRA ROSARIA MRRRSR49H46D390H, CELANI GIUSEPPINA
clngpd49c44a123b, elettivamente domiciliatf in ROMA,
CIRCONVALLAZIONE CLODIA 86 l ° PIANO INT.5, presso lo
studio dell’avvocato MARTIRE ROBERTO, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato GALLOZZI
2013

SONIA, giusta delega in atti;
– ricorrenti –

1983

contro

PROCURA GENERALIZIA CONGREGAZIONE SUORE EUCARISTICHE
03651051009, in persona del legale rappresentante pro

Data pubblicazione: 23/10/2013

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO
LEOPOLDO FREGOLI

8,

presso lo studio dell’avvocato

COZZOLINO FABIO, (STUDIO “SALONIA & ASSOCIATI), che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato CORSO
NICOLA, giusta delega in atti;

avverso la sentenza n.

2967/2006 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 09/01/2008 R.G.N. 130/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

05/06/2013

dal Consigliere Dott. PIETRO

CURZIO;
udito l’Avvocato MARTIRE ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

– controricorrente

1. Giuseppina Celani e Rosaria Mirra chiedono l’annullamento della sentenza
della Corte d’appello di Roma, pubblicata il 9 gennaio 2008, che ha riformato
la sentenza del Tribunale, dichiarando inammissibili le loro domande nei
confronti della Procura generalizia Congregazione Suore Eucaristiche.
2. Le due ricorrenti convennero in giudizio la Procura generalizia chiedendo,
previo annullamento della conciliazione sindacale sottoscritta il 16 febbraio
2001, l’accertamento della natura subordinata del loro rapporto di lavoro e la
condanna al pagamento di cospicue somme, nonché la declaratoria di
illegittimità del licenziamento orale che assumevano di aver subito, con le
conseguenze di legge.
3. La Procura generalizia, a sua volta, le convenne in giudizio, per ottenere la
restituzione di somme erogate in attuazione delle conciliazioni del febbraio
2001.
4. I due giudizi furono riuniti.
5. Il Tribunale accolse in parte la domanda delle lavoratrici condannando la
Procura generalizia al pagamento di una parte delle somme richieste dalle
lavoratrici e rigettando ogni altra domanda.
6. La Procura generalizia propose appello. Le lavoratrici si costituirono e
proposero appello incidentale.
7. La Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello principale, assorbito
l’appello incidentale, riformò la decisione e dichiarò inammissibili le domande.
8. Il fulcro della decisione è costituito dal fatto che la Corte ritenne valide le
conciliazioni sottoscritte tra le parti e quindi inammissibili giudizi che si
fondavano sulla loro illegittimità.
9. Le ricorrenti articolano tre motivi di ricorso. La Procura generalizia si è difesa
con controricorso. Le ricorrenti hanno depositato una memoria.
10.Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2113
c.c. e 411 c.p.c.. Il quesito è il seguente: “se per potersi configurare una
transazione sia necessaria la conoscenza ed il riferimento delle parti che
sottoscrivono l’atto -e quindi del lavoratore- in ordine al rapporto di lavoro di
cui si discute, ai diritti da dismettere, alla `res dubia’ in contestazione tra le
parti e necessiti altresì l’elemento della reciprocità delle concessioni, nonché se
tali elementi debbano risultare espressamente nell’atto di transazione; quindi
per l’effetto se debbano ritenersi sottratte al regime di non impugnabilità le
conciliazioni sottoscritte in sede sindacale nel caso di specie, qualora prive di
tali elementi”.
Ricorso n. 1605.09
Udienza 5 giugno 2013

Ragioni della decisione

Ricorso n. 1605.09
Udienza 5 giugno 2013
Pietro Curzio, este ore
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11.Con il secondo motivo si denunzia violazione dei medesimi articoli di legge in
relazione alla mancata assistenza sindacale avuta nel caso concreto. Nel quesito
si chiede se ai fini della legittimità della conciliazione “debba essere
intervenuto alla stipulazione un rappresentante sindacale munito di specifico
mandato a transigere la controversia debitamente sottoscritto dal lavoratore,
ovvero se dall’atto di conciliazione debba comunque risultare che il
rappresentante sindacale abbia esaurientemente illustrato tutti i necessari
elementi al lavoratore affinché questi abbia consapevolmente ridisposto dei
propri diritti e se in mancanza, come nel caso dei verbali sottoscritti dalle
ricorrenti, debbano ritenersi sottratte al regime di non impugnabilità di cui
all’art. 2113, quarto comma, c.c. le conciliazioni sottoscritte in sede sindacale
che siano prive di tali requisiti”.
12.Con il terzo motivo si denunzia “carenza di motivazione e insufficiente e
omesso esame di punto decisivo della controversia”, che nel corso del motivo
viene identificato nella inimpugnabilità delle conciliazioni e nella sussistenza
della `res dubia’.
13.1 tre motivi debbono essere esaminati congiuntamente. Il ricorso è fondato.
14.La Corte d’appello ha riformato la decisione favorevole alle tesi delle
lavoratrici del Tribunale, ritenendo che la conciliazione sottoscritta dalle parti
non fosse impugnabile. Nella brevissima motivazione la Corte sostiene questa
tesi affermando: “con le conciliazioni le parti appellate hanno in definitiva
esclusa la ricorrenza di ogni ipotesi di subordinazione ‘inter partes’ e quindi
hanno esclusa ogni pretesa economica a qualsiasi titolo risalente alla
subordinazione”. La Corte aggiunge poi che “si trattò di una conciliazione
effettiva, con assistenza delle lavoratrici curata dall’avv.sa Sonia Francese e
anche con l’attività preventiva dei conciliatori, che hanno avvertito le parti
circa gli effetti propri della conciliazione in sede sindacale”. La Corte afferma
infine che la “sussistenza di una `res dubia’ è fuori discussione, in relazione
alla controversa sussistenza di un rapporto oneroso o non e, nel primo caso, di
un rapporto di lavoro autonomo o subordinato”.
15.La censura mossa dalle ricorrenti è fondata per le seguenti ragioni.
16.Si discute della impugnabilità o meno di una conciliazione avvenuta in sede
sindacale. L’art. 2113 c.c. nega la validità delle rinunce e transazioni che hanno
per oggetto diritti derivanti da norme inderogabili dettate dalla legge o dai
contratti collettivi. Il comma successivo specifica che la relativa impugnazione
deve avvenire entro sei mesi dalla data della rinunzia o della transazione, a
pena di decadenza. L’ultimo comma sottrae a questa disciplina le conciliazioni
intervenute ai sensi degli artt. 185, 410 e 411 c.p.c., nel cui ambito sono
ricomprese le conciliazioni sindacali.

Ricorso n. 1605.09
Udienza 5 giugno 2013
Pietro Curzio, esi so e
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17.La sentenza della Corte dà atto che nel caso in esame vi è stata una
conciliazione in sede sindacale, giudicandola idonea a rendere la transazione in
essa contenuta non impugnabile.
18.Tale valutazione si basa però su di una motivazione esigua da cui si desume
che la Corte non ha verificato la effettività della assistenza sindacale (richiesta
costantemente dalla giurisprudenza, cfr. in ‘particolare, Cass. 22 maggio 2008,
n. 13217), limitandosi a due affermazioni, entrambe non decisive: la
conciliazione in sede sindacale sarebbe avvenuta con l’assistenza di un
avvocato e i conciliatori avrebbero avvertito le parti circa gli effetti propri della
conciliazione ai sensi degli artt. 2113 c.c. e 411 c.p.c. La prima considerazione
è ultronea rispetto ai requisiti di una conciliazione in sede sindacale, la seconda
è inadeguata e tautologica perché risolve l’assistenza nell’indicazione
dell’effetto della non impugnabilità dell’atto transattivo, senza considerare che
l’assistenza sindacale deve permettere al lavoratore di comprendere a quali
diritti rinunzia e in che misura.
19.Una carenza ancora più netta concerne l’analisi dei contenuti della
conciliazione. La Corte ha presente che nel caso in esame il negozio
conciliativo ha il contenuto di una transazione e quindi di un negozio con il
quale le parti, per espressa definizione codicistica, pongono fine ad una lite già
cominciata o potenziale, facendosi reciproche concessioni. Nel caso in esame
si è omesso di verificare se e in cosa consistono le reciproche concessioni e,
quanto alla `res dubia’, la si è risolta nel carattere subordinato o autonomo del
rapporto, mentre dalla stessa sentenza si coglie la ben più vasta articolazione
delle questioni in discussione e dei diritti controversi.
20.Per tali ragioni la sentenza deve essere cassata con rinvio alla medesima Corte
d’appello in diversa composizione, che dovrà rinnovare il giudizio sulla
ammissibilità dell’impugnazione della conciliazione, verificando l’effettività
della assistenza sindacale e la sussistenza degli elementi costitutivi dell’atto di
transazione.
21.11 principio di diritto in base al quale il giudizio dovrà essere rinnovato è il
seguente: “Per il combinato disposto degli artt. 2113 cod. civ. e 410, 411 cod.
proc. civ., le rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di
lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di contratti collettivi,
contenute in verbali di conciliazione sindacale, non sono impugnabili ex art.
2113, commi 2 e 3, cod.civ., solo a condizione che l’assistenza prestata dai
rappresentati sindacali sia stata effettiva, consentendo al lavoratore di sapere a
quale diritto rinunzia ed in che misura, e, nel caso di transazione, a condizione
che dall’atto si evinca la `res dubia’ oggetto della lite (in atto o potenziale) e le
‘reciproche concessioni’ in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi
dell’art. 1965 c.c.”.

PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte
d’appello di Roma in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del
giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 giugno 2013.

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