Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24020 del 16/11/2011

Cassazione civile sez. III, 16/11/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 16/11/2011), n.24020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14588/2010 proposto da:

S.A. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato PUNZI Carmine, che li

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROSANNA SORTINO,

D’ALESSIO ANTONIO, SQUASSABIA GIUSEPPE giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

Y.O. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ADELAIDE RISTORI 9, presso lo

studio dell’avvocato VACCARO Valentina, che li rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

M.M., + ALTRI OMESSI

;

– intimati –

Nonchè da:

MINISTERO SALUTE, MINISTERO ECONOMIA FINANZE (OMISSIS), MINISTERO

ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS) in persona dei

rispettivi rappresentanti legali p.t., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che li rappresenta e difende per legge;

– ricorrenti incidentali –

contro

D.G.N. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dall’Avv. SCAFFIDI DOMIANELLO MANUELA ANGELA in SESTO S.

GIOVANNI (MI), Viale Fratelli Casiraghi 34, giusta delega in atti;

C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ADELAIDE RISTORI 9, presso lo studio dell’avvocato VACCARO

VALENTINA, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrenti all’incidentale –

e contro

A.C.M. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4628/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/11/2009 R.G.N. 219/2006 e 4600/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SQUASSABIA;

udito l’Avvocato ANTONIO D’ALESSIO;

udito l’Avvocato VALENTINA VACCARO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso con l’accoglimento del ricorso

principale, rigetto dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con citazione notificata il 22 agosto 2001, i dottori A. C.M. e gli altri quarantasette indicati in epigrafe come ricorrenti principali, nonchè i dottori M.A. e gli altri undici indicati come controricorrenti a ricorso incidentale, ed ancora i dottori C.M., C.A. e G. G. (unitamente ad altri), adducendo di essere medici specializzati e di avere frequentato i relativi corsi di specializzazione, alcuni, con iscrizione nel periodo precedente l’anno accademico 1991/92, altri con iscrizione anche successiva, convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero della salute e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, e ne chiedevano la condanna al pagamento della “adeguata remunerazione” per il periodo di frequenza della scuola di specializzazione post- laurea, nonchè al risarcimento dei danni subiti per effetto del ritardato e scorretto recepimento delle direttive comunitarie in materia di formazione di medici specializzandi.

Si costituivano in primo grado le Amministrazioni convenute ed eccepivano la prescrizione quinquennale sia ex art. 2948 cod. civ., n. 4, che ex art. 2947 cod. civ., nonchè e comunque la prescrizione decennale; contestavano inoltre la fondatezza delle domande di controparte.

2.- Con sentenza n. 15714/2005 il Tribunale di Roma accoglieva l’eccezione di prescrizione quinquennale, compensando integralmente le spese di lite.

3.- La sentenza veniva appellata davanti alla Corte d’Appello di Roma da 83 degli originari 207 attori, distinti in due gruppi di appellanti, con atti notificati rispettivamente il 10 gennaio 2006 ed il 7 luglio 2006; essendo stati iscritti a ruolo due distinti procedimenti, questi venivano riuniti, poichè relativi ad impugnazioni contro la stessa sentenza.

L’Avvocatura dello Stato, che era inizialmente costituita soltanto nel primo di detti procedimenti, chiedeva il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado.

3.1.- La Corte d’Appello, con sentenza del 23 novembre 2009, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha accolto l’appello proposto dai dottori M., + ALTRI OMESSI condannando i Ministeri appellati al pagamento in favore di ognuno della somma di Euro 11.103,82 per ciascun anno di corso, oltre rivalutazione dalle date di conseguimento del diploma di specializzazione ed interessi legali, sull’importo medio, da tali date al saldo; ha rigettato l’appello nei confronti degli altri; ha compensato le spese dei due gradi di giudizio.

4.- Contro questa sentenza propongono ricorso principale i dottori A.C. ed altri quarantesette soccombenti in appello, nonchè ricorso incidentale, da ritenersi autonomo, i Ministeri, già appellati, nei confronti degli appellanti vittoriosi; il ricorso proposto dall’Avvocatura generale dello Stato è affidato a cinque motivi (erroneamente numerati partendo dal 2); il ricorso proposto dagli appellanti soccombenti è affidato a quattro motivi, illustrati da memoria.

Si difendono con distinti controricorsi, i Ministeri ed i dottori M., + ALTRI OMESSI ;

non si difendono, invece, i dottori C.M., C.A. e G.G., intimati col ricorso incidentale. Sono state depositate memorie ex art. 378 cod. proc. civ., dai controricorrenti al ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, vanno riuniti.

1.- Preliminare appare l’esame del terzo motivo del ricorso principale, col quale si critica la decisione della Corte d’Appello nella parte concernente l’individuazione del dies quo della prescrizione nelle date di conseguimento dei diplomi di specializzazione.

Secondo i ricorrenti, si dovrebbe ritenere ancora permanente l’inadempimento dello Stato, sicchè nemmeno potrebbe essere individuato un dies a quo della prescrizione (tesi già sostenuta nei gradi di merito) ovvero quest’ultimo dovrebbe essere individuato nella data del 25 febbraio 1999, di pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia che ha riconosciuto l’inadempimento dello Stato italiano relativamente alla vicenda oggetto del presente giudizio (tesi sostenuta, in via principale, col terzo motivo di ricorso); o, quanto meno, nella data di recepimento nell’ordinamento interno della normativa comunitaria, coincidente con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, cioè l’8 agosto 1991 (tesi sostenuta, in via subordinata, col terzo motivo di ricorso).

Conseguentemente, avendo tutti i ricorrenti diffidato e messo in mora i Ministeri convenuti con atti del 14 luglio 2001, prodotti in giudizio, non si sarebbe potuto ritenere maturato il termine di prescrizione decennale alla data del 22 agosto 2001, quando venne notificato l’atto di citazione.

1.1.- Va premesso che, riguardo alla eccezione di prescrizione sollevata dai Ministeri convenuti, non si è formato alcun giudicato.

Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare l’effetto estintivo e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie (Cass., SS.UU. 25 luglio 2002 n. 10955). Il che, ovviamente, vale anche per la parte contro la quale l’eccezione è proposta e che neghi il verificarsi del menzionato effetto estintivo, essendo allo scopo sufficiente che contesti quest’ultimo, non essendo vincolante l’individuazione, ad opera della stessa parte, nè del termine di durata nè del termine di decorrenza della prescrizione.

Ciò posto, e richiamata la ricostruzione della fattispecie di cui alla sentenza a Sezioni Unite n. 9147 del 2009, su cui si tornerà, va ribadito il principio espresso dai precedenti di questa Corte numeri 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011, chiamati ad occuparsi proprio dell’individuazione del dies a quo della prescrizione (per i quali: “A seguito della tardiva ed incompleta trasposizione A nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991. La lacuna è stata parzialmente colmata con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11”). Si intende qui ribadire il principio e gli argomenti che lo sorreggono.

1.2.- Il termine prescrizionale non era pertanto decorso all’epoca della citazione (22 agosto 2001) introduttiva del presente giudizio.

Va accolto il terzo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che si atterrà al superiore principio di diritto quanto alla decorrenza della prescrizione decennale.

2.- Restano assorbiti il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, con i quali è denunciato, col primo, il vizio di motivazione circa il fatto controverso rappresentato dal mancato accoglimento della domanda pregiudiziale di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, nonchè, con entrambi, il vizio di violazione di legge, rispettivamente per avere disatteso la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 1999 e per avere disatteso la domanda pregiudiziale di rimessione degli atti alla Corte di Giustizia. Trattasi infatti di motivi di impugnazione finalizzati ad ottenere l’accertamento dell’inadempimento dello Stato italiano non solo nei riguardi della direttiva 82/76/CEE, ma anche della direttiva 93/16/CEE che, abrogando la prima, ha invitato i singoli Stati a riconoscere e dare attuazione ai diritti acquisiti da parte dei medici specializzatisi prima del recepimento delle norme comunitarie da parte dei singoli stati; ciò, all’ulteriore fine di escludere l’estinzione del diritto per prescrizione: la sopra ritenuta inoperatività dell’effetto estintivo determina, come detto, l’assorbimento dei motivi di impugnazione.

3.- E’ invece inammissibile il quarto motivo del ricorso principale, in quanto volto a denunciare un errore revocatorio commesso dalla Corte d’Appello, avendo supposto come precedente l’anno 1991 la data di conseguimento del diploma da parte del dottor S., specializzatosi invece l’11 dicembre 1992, e del dottor V., specializzatosi il 13 dicembre 1993. Peraltro, l’irrilevanza del dato ai fini della decorrenza del termine di prescrizione comporterebbe comunque l’inammissibilità del motivo per carenza di interesse.

4.- Va dichiarata l’inammissibilità del ricorso incidentale autonomo proposto nei confronti dei dottori C.M., C. A. e G.G. poichè notificato presso lo studio degli avvocati Carmine Punzi e Antonio D’Alessio, in Roma, Viale Bruno Buozzi n. 99, luogo diverso da quello presso il quale gli intimati, difesi dagli avvocati Giuseppe Squassabia e Rosanna Sortino del foro di Verona, hanno eletto domicilio (presso lo studio dell’avv. Roberto Angeloni, in Roma, via Lombardia n. 14).

5. – Nel merito, vanno trattati congiuntamente il primo (erroneamente indicato sub 2) ed il secondo (erroneamente indicato sub 3) motivo, perchè vanno accolti, sebbene il primo solo in parte, per le comuni ragioni di cui appresso.

Col primo motivo, si deduce “violazione e falsa applicazione degli art. 2043, 2946 e 2947 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3”.

I ricorrenti richiamano i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9147 del 2009 (della quale ha fatto applicazione anche la Corte territoriale) al fine di sostenere che, trattandosi di diritto a natura indennitaria e non risarcitoria, la Corte di merito avrebbe dovuto riconoscere ai medici specializzandi un mero indennizzo, e non liquidare loro somme ingenti a titolo risarcitorio. Prosegue, peraltro, contestando che possa essere utilizzato come “parametro di riferimento” l’ammontare, per intero, della borsa di studio prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, con le maggiorazioni per rivalutazione ed interessi.

Col secondo motivo si deduce “contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, specificamente sui criteri seguiti per la determinazione del quantum debeatur.

5.1.- In premessa, va richiamato il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 9147 del 2009, secondo cui “in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno”.

Orbene, va rilevato che la qualificazione dell’obbligazione come “indennitaria” consegue alla considerazione che la giurisprudenza della Corte di Giustizia (richiamata sia nella stessa sentenza che nelle sentenze di questa Corte nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011) esige che l’obbligazione risarcitoria dello Stato non sia condizionata al requisito della colpa; quindi, consegue all’operazione di sistemazione che le Sezioni Unite hanno fatto, collocando la responsabilità dello Stato nell’ambito della norma generale dell’art. 1176 cod. civ. e svincolandola dai presupposti soggettivi dell’art. 2043 cod. civ..

Tuttavia, l’obbligazione in parola si distingue da quella risarcitoria ex art. 2043 cod. civ., per la peculiarità della sua fonte, al di là del suo contenuto; il contenuto è, infatti, lato sensu risarcitorio, dato che – come affermato anche dalla Corte di Giustizia- l’inadempimento dello Stato ne comporta l’obbligazione di riparare il danno, ma a condizioni non meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi reclami di natura interna e comunque non tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento; inoltre, il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spettando all’ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento ed, in ogni caso, non può essere escluso in via generale il risarcimento di componenti del danno, quale il lucro cessante; ancora, il risarcimento non può essere limitato ai soli danni subiti successivamente alla pronunzia di una sentenza della Corte di Giustizia che accerti l’inadempimento. Le Sezioni Unite, richiamati tali principi, hanno affermato che il credito del danneggiato ha natura di credito di valore e che “deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile”.

Pertanto, non coglie nel segno la censura contenuta nella prima parte del primo motivo di ricorso, secondo cui la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente distinto tra indennizzo e risarcimento, liquidando una somma volta, in tesi, a ristorare, sia pure in via equitativa, la perdita sofferta dagli attori.

5.2. – Tuttavia, va accolta la censura, svolta nello stesso primo motivo, nonchè, con riferimento al vizio di motivazione, nel secondo motivo, concernente l’individuazione dei criteri di detta liquidazione equitativa, che, per come risulta dalla sentenza impugnata, la Corte ha commisurato alla somma annua di Euro 11.103,82, prevista nel D.Lgs. n. 257 del 1991, senza compiere alcuna ulteriore valutazione in punto di equiparazione della situazione degli attori a quella riscontrabile in capo ai soggetti diretti destinatari di tale normativa.

Il dictum delle sezioni unite, sopra riportato, comporta che l'”idonea compensazione” debba rispondere, da un canto, al requisito della serietà, congruità e non irrisorietà, dovendosi ristorare un danno alla luce “della perdita subita in conseguenza del ritardo oggettivamente apprezzabile”; dall’altro, in assenza di alcuni degli elementi strutturali dell’illecito aquiliano, all’esigenza di non trasmutare in diritto al risarcimento tout court si come predicato dall’art. 2043 c.c.; dall’altro ancora, all’inammissibilità di un’identificazione con il corrispettivo di una prestazione eseguita e non retribuita, secondo una concezione strettamente giuslavoristica e non, come nella specie, “paracontrattuale” da responsabilità statuale per atto privo, sul piano interno, del carattere della illiceità.

La remunerazione da ritenersi adeguata per la frequenza della scuola di specializzazione in epoca anteriore al 1991 (e la cui perdita gli specializzandi odierni controricorrenti lamentano sub specie di danno risarcibile) non può essere equiparata alla remunerazione corrisposta per la frequenza dei corsi istituiti a far data dall’anno 1991/1992, poichè, come rilevato anche in altri precedenti di questa Corte relativi a casi analoghi, un’operazione in tal guisa concepita finirebbe per comportare l’applicazione retroattiva del decreto 257/91 e la trasformazione, in altri termini, di una disciplina comunque discrezionale quanto all’individuazione della misura della retribuzione (e pacificamente rimessa al legislatore statuale) e comunque irretroattiva sul piano della sua decorrenza, in una disposizione normativa sostanzialmente retroattiva.

Pertanto, il collegio ritiene di dare seguito, più analiticamente specificandone i contenuti, alla giurisprudenza di questa stessa corte regolatrice che, con la pronuncia n. 5842 del 2010, ha affermato, in argomento, che “la mancata trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto dalle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE – non autoesecutive in quanto, pur prevedendo lo specifico obbligo di retribuire adeguatamente la formazione del medico specializzando, non consentivano l’identificazione del debitore e la quantificazione del compenso dovuto – fa sorgere il diritto degli interessati al risarcimento dei danni, tra i quali devono comprendersi non solo quelli conseguenti all’inidoneità del diploma di specializzazione (conseguito secondo la previgente normativa) al riconoscimento negli altri Stati membri e al suo minor valore sul piano interno ai fini dei concorsi per l’accesso ai profili professionali, ma anche quelli connessi alla mancata percezione della remunerazione adeguata da parte del medico specializzando”.

5.3.- Al giudice del rinvio è demandato il compito di quantificare tale, peculiare diritto (para)risarcitorio spettante al medico specializzando, quantificazione che non potrà che avvenire sul piano equitativo, secondo canoni di parità di trattamento per situazioni analoghe (cfr. Cass. n. 12408 del 2011).

Parametro di riferimento per il giudice territoriale sarà costituito dalle indicazioni contenute nella L. 19 ottobre 1999, n. 370, con la quale lo Stato italiano ha ritenuto di procedere ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre 1982, si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee a dare luogo all’acquisizione dei diritti previsti dalle direttive comunitarie, e che non risultavano considerate dal D.Lgs. del 1991.

6.- Col terzo motivo del ricorso incidentale autonomo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, artt. 6 e 8 e dell’art. 2948 cod. civ., n. 4, per non avere la Corte d’Appello distinto le posizioni di coloro che avrebbero frequentato i corsi di specializzazione negli anni successivi all’anno accademico 1991/1992.

Sostengono i ricorrenti che, con riferimento a tali posizioni, la domanda introduttiva sarebbe stata di natura contrattuale, tanto è vero che in sede d’appello sarebbe stata denunciata l’omessa pronuncia sull’accertamento del diritto di credito in capo a detti medici, per sostenere l’inapplicabilità della prescrizione quinquennale, affermata invece dal giudice di primo grado. Aggiungono che la pretesa non potrebbe riconoscersi a titolo risarcitorio per inadempimento da parte dello Stato all’obbligo di trasposizione della direttiva comunitaria, poichè del D.Lgs. n. 257 del 1991, artt. 6 ed 8, avrebbero contemplato proprio coloro che, come alcuni degli attori in primo grado, erano iscritti ed avevano frequentato le scuole di specializzazione negli anni successivi all’anno accademico 1991/1992.

Pertanto, secondo i ricorrenti, avrebbe errato il giudice a quo laddove non ha riconosciuto il diritto di credito degli appellanti in forza della citata normativa e, quindi, non ha dichiarato la prescrizione di tale diritto ai sensi dell’art. 2948 cod. civ., n. 4.

6.1.- Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Va premesso che la richiamata disposizione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, si applica agli ammessi alle scuole di specializzazione nei limiti definiti dalla programmazione di cui all’art. 2, comma 2, dello stesso decreto e che, ai sensi dell’art. 8, comma 1, i decreti di riordinamento delle scuole di specializzazione, nel sopprimere o trasformare quelle esistenti, avrebbero dovuto comunque garantire il completamento degli studi agli specializzandi già iscritti alle scuole regolate dall’ordinamento previgente: pertanto, la disposizione dell’art. 8, comma 2, secondo cui le disposizioni del decreto legislativo si sarebbero applicate a far data dall’anno accademico 1991/1992, deve intendersi riferita a coloro che, iscritti a tale anno accademico, sarebbero stati ammessi alle scuole di specializzazione a seguito della programmazione che si sarebbe dovuta effettuare a norma dell’art. 2, tenendo conto dei requisiti di idoneità delle strutture di cui all’art. 7.

Pertanto, i Ministeri ricorrenti avrebbero dovuto, in ricorso, specificare a quali degli attori in primo grado fosse applicabile la disciplina appena richiamata e precisare che i relativi requisiti fossero stati dedotti al fine di ottenere l’applicazione diretta, non della direttiva, ma proprio del D.Lgs. n. 257 del 1991, non essendo a ciò sufficiente soltanto la mera frequenza, e nemmeno l’iscrizione al primo anno di corso, a far data dall’anno accademico 1991/1992. Di tutto ciò non vi è traccia nell’illustrazione del motivo del ricorso in esame (che nemmeno specifica quali, tra gli intimati, si sarebbero trovati nella situazione dedotta), nè è desumibile dal tenore dell’intero ricorso, se si fa eccezione all’accenno contenuto nello svolgimento del processo alla circostanza che alcuni degli appellanti avrebbero dedotto “di essere iscritti o di avere frequentato anni accademici successivi al 1991/92”: ciò che, a prescindere dalla mancata, ed invece indispensabile, identificazione soggettiva, non sarebbe comunque presupposto sufficiente a ritenere applicabile a costoro la normativa di recepimento di cui al D.Lgs. del 1991, e specificamente il disposto dell’art. 6, applicabile, come detto, in via diretta, soltanto agli ammessi alle condizioni sopra sinteticamente richiamate.

7.- Col quarto motivo del ricorso incidentale si deduce, in via subordinata a quanto già dedotto col terzo, la violazione degli artt. 2935 e 2947 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, perchè, riqualificando la fattispecie alla stregua di quanto fatto dalla sentenza a Sezioni Unite n. 9147/09, la Corte d’Appello non avrebbe dovuto individuare il termine di decorrenza della prescrizione decennale dalla data di conclusione dell’intero corso onde risarcire la perdita delle remunerazioni per tutti gli anni di durata di questo, ma avrebbe dovuto considerare soltanto le annualità successive ai dieci anni antecedenti la notificazione dell’atto di citazione (22 agosto 2001).

7.1.- Il motivo è infondato poichè non si sarebbe potuto pretendere che i danneggiati facessero valere il diritto al risarcimento del danno consistito nella perdita di un’adeguata remunerazione negli anni di frequenza della scuola di specializzazione, ponendo a fondamento la responsabilità dello Stato per il mancato recepimento di direttiva comunitaria, prima di avere acquisito la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa europea; ciò che, come questa Corte ha avuto modo di affermare nei citati precedenti che qui integralmente si richiamano, si è avuto soltanto a far data dall’entrata in vigore della L. n. 370 del 1999 (cfr. Cass. n. 10813/2011 ed altre).

8.- Col quinto motivo si denuncia “violazione dell’art. 2043 c.c. e degli artt. 10 e 288 Trattato CE in relazione all’art. 360, n. 3”, per avere la Corte d’Appello dato seguito alla sentenza a sezioni unite n. 9147/09.

I Ministeri svolgono una serie di argomenti onde provocare un “ripensamento” circa la costruzione della figura di obbligazione ex lege operata dalle Sezioni Unite, per ricondurre, invece, la mancata od inesatta trasposizione di direttiva comunitaria alla responsabilità aquiliana dello Stato.

Le argomentazioni addotte dai ricorrenti non appaiono idonee a supportare alcun mutamento della recente, condivisa giurisprudenza, della quale si è già detto.

Il motivo va perciò rigettato.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso incidentale nei confronti dei dottori C.M., C. A. e G.G..

Accoglie, per quanto di ragione, il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti il primo ed il secondo e dichiarato inammissibile il quarto; accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale autonomo, dichiara inammissibile il terzo, rigetta il quarto ed il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2011

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