Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2402 del 27/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 27/01/2022, (ud. 06/10/2021, dep. 27/01/2022), n.2402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18266-2019 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL VASCELLO

16, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI ROCCHI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VALTER POMPEO

AZZOLINI;

– ricorrente –

contro

CHAMPION EUROPE SERVICE S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO

BERTOLONI 29, presso lo studio GATTAI MINOLI AGOSTINELLI &

PARTNERS, rappresentata e difesa dagli avvocati RICCARDO CORBANI,

LORENZO CAIRO, SERGIO FULCO, SILVIA D’ALBERTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1028/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/12/2018 R.G.N. 772/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

C.S., dirigente della Champion Europe Service s.r.l. con funzione di responsabile degli acquisti, impugnò il licenziamento intimatogli con lettera del (OMISSIS) ed occasionato da due contestazioni disciplinari: la prima del (OMISSIS), avente ad oggetto la denuncia di un inadeguato monitoraggio della produzione dei capi della stagione PE 2013 fornitore (OMISSIS) ed un’omessa comunicazione del ritardo alla datrice di lavoro; la seconda del (OMISSIS) relativa all’appropriazione di documentazione aziendale.

Il Tribunale di Modena, all’esito dell’istruttoria, accertò la legittimità del licenziamento, che ritenne sorretto da giusta causa, rigettando perciò le domande avanzate.

La Corte di appello di Bologna confermò la sentenza di primo grado e ritenne che – con riguardo alla contestazione di addebito del (OMISSIS), i cui fatti contestati erano stati accertati nella loro materialità dal Tribunale – la censura mossa col gravarne fosse inammissibile poiché non aggrediva l’iter logico giuridico seguito dal Tribunale, il quale aveva valorizzato il contenuto della condotta posta in essere per ritenere definitivamente incrinato il rapporto di fiducia. Sottolineò poi comunque l’infondatezza del mezzo di gravame avendo accertato che il ricorrente, nello svolgimento della sua attività, aveva sempre potuto contare sull’appoggio di risorse interne ed esterne adeguate ai compiti a lui affidati e coerenti con la necessità di distribuzione del personale anche in altri settori.

Con riguardo poi alla denunciata tardività della contestazione di addebito con riguardo a fatti riferibili agli anni fiscali 2010/2011 e 2012, il giudice di appello pose in rilievo che il Tribunale aveva considerato quei fatti quale corollario della condotta inadempiente accertata ed escluse che, ne potesse risultare inficiata la tempestività della contestazione principale. Osservò che il fatto addebitato era in sé idoneo ad integrare la giusta causa di licenziamento e che peraltro tale affermazione non era stata specificatamente censurata.

Quanto alla contestazione di addebito del (OMISSIS), avente ad oggetto l’asportazione di materiale aziendale nell’immediatezza della prima contestazione, la Corte di appello ha evidenziato che le circostanze che a dire del ricorrente trascurate dal primo giudice – aventi ad oggetto le modalità con le quali il ricorrente aveva portato via i documenti, rivelatrici della sua buona fede e della mancanza di una volontà di trafugarli ma piuttosto di utilizzarli per il suo lavoro – queste non erano rilevanti per inficiare la ricostruzione del Tribunale il quale sulla base di riscontri testimoniali ha ritenuto confermato che si era trattato di un tentativo di sottrarre il Know how aziendale per eventualmente avvalersene in epoca successiva.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.S. affidato a cinque motivi. Resiste con controricorso Champion Europe Service s.r.l..

Il ricorrente ha depositato anche memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 115 c.p.c., con riferimento alla mancata contestazione dei fatti allegati dal Sig. C. alle pagine da 4 a 10 del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Sostiene il ricorrente che a fronte della mancata specifica contestazione delle circostanze di fatto riportate nel ricorso introduttivo del giudizio ed in particolare delle giustificazioni dei ritardi e delle criticità da addebitare a disaccordi interni ed a scioperi perduranti, circostanze non prevedibili e contingenti e perciò estranee al controllo del lavoratore queste avrebbero dovuto essere considerate accertate e non necessitavano alcuna ulteriore dimostrazione.

Il motivo non può essere accolto.

Va rammentato che effettivamente il convenuto è tenuto a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata ad una contestazione non chiara e specifica. Tuttavia il principio di non contestazione postula che la parte che lo invoca abbia per prima ottemperato all’onere processuale a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l’altra parte è tenuta a prendere posizione, sicché la mancata allegazione specifica dei fatti – costitutivi, modificativi o estintivi, rispetto ai quali opera il principio di non contestazione (Cass. 13/09/2016 n. 17966; Cass.19/08/2019 n. 21460) – esonera il convenuto, che abbia genericamente negato il fatto altrettanto genericamente allegato, dall’onere di compiere una contestazione circostanziata, perché ciò equivarrebbe a ribaltare sullo stesso convenuto l’onere di allegare il fatto costitutivo dell’avversa pretesa (Cass. 17/02/2016 n. 3023, Cass. 29/09/2020 n. 20525). In sostanza l’onere di contestazione in ordine ai fatti costitutivi del diritto si coordina con l’allegazione dei medesimi e, considerato che l’identificazione del tema decisionale dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, ne consegue che l’onere di contribuire alla fissazione del thema decidendum opera identicamente rispetto all’una o all’altra delle parti in causa. A fronte di una generica deduzione da parte dell’attore, la difesa della parte convenuta non può che essere altrettanto generica, e pertanto idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte (Cass. 19/10/2016 n. 21075).

Spetta evidentemente al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. 07/02/2019 n. 36809) e tale accertamento è sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. 28/10/2019 n. 27490), nei limiti in cui lo stesso sia tuttora denunciabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, novellato (cfr. sulla questione generale anche Cass. 26/11/2020 n. 26908).

Tanto premesso rileva il Collegio che nel caso di specie, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la società, nel costituirsi, aveva replicato alle allegazioni di fatto del ricorrente e dunque non aveva prestato alcuna acquiescenza ed erano restati intatti gli oneri probatori a carico delle parti (la società doveva dimostrare la giustificatezza del recesso anche provando i fatti oggetto della contestazione disciplinare, il lavoratore era tenuto a provare se del caso l’esistenza di cause di giustificazione). Ciò posto la censura si risolve in una diversa e contrapposta ricostruzione dei fatti esaminati dalla Corte di appello secondo il suo prudente apprezzamento e senza incorrere nella violazione di legge denunciata.

Il secondo motivo di ricorso, con il quale è denunciato l’omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo al momento di conoscenza da parte del sig. C. dei ritardi, di modesta entità, nella produzione e nelle consegne, è inammissibile poiché la censura, piuttosto che denunciare l’omesso esame di un fatto decisivo, procede ad una diversa valutazione dei fatti acquisiti al giudizio, ritenendoli modesti e dunque non rilevanti a fini della risoluzione del rapporto di lavoro. Si tratta all’evidenza di deduzioni che esulano dal perimetro del nuovo vizio di motivazione tracciato dalla novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione autorizzando la denuncia in cassazione solo di quell’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Quanto all’omesso esame questo è limitato al fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Non solo, perciò, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, ma resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass. sez. u. 07/04/2014 n. 8053).

Nel caso in esame lungi dal denunciare un omesso esame di fatto decisivo il ricorrente propone al Collegio una sua personale e diversa valutazione dei fatti rispetto a quella del tutto plausibile operata dal giudice di appello che perciò resta intangibilmente a lui riservata.

Il terzo motivo di ricorso ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione degli artt. 2112 e 2106 c.c., della L. n. 300 del 1970, art. 18, e delle norme del c.c.n.l. del Terziario 31.7.2013 applicabile alla fattispecie.

La censura non può essere accolta per una serie di concorrenti ragioni. In primo luogo, pur denunciandosi una violazione del contratto collettivo non si chiarisce con riferimento a quali disposizioni tale violazione sarebbe ravvisabile ma, ancor prima il contratto non risulta allegato al ricorso in cassazione né tanto meno viene indicato dove lo stesso sarebbe rinvenibile. Peraltro, le doglianze contenute nel motivo si risolvono in una inammissibile richiesta di riesame dei fatti prospettando una loro possibile diversa ricostruzione che non compete al giudice di legittimità.

Per le medesime ragioni deve essere dichiarato inammissibile il quarto motivo di ricorso con il quale si deduce che la Corte avrebbe omesso di esaminare il fatto decisivo, rilevante con riguardo alla seconda contestazione di addebito, del rinvenimento di materiale aziendale nell’auto del C.. Sostiene il ricorrente di avere, sin dalla prima difesa, chiarito che il materiale rinvenuto nell’auto e poi restituito aveva per lo più valore storico e che il contratto con il collaboratore esterno incaricato di seguire il mercato indiano e i listini prezzi erano necessari per lo svolgimento dell’attività e costituivano materiale di normale consultazione e ne era consentita l’asportazione fuori dei locali aziendali di tal che la loro asportazione non integrava la grave condotta addebitatagli. Deduce che tali circostanze erano state confermate anche in sede testimoniale. Anche per tale aspetto con la censura si procede ad una diversa ricostruzione dei fatti e ad un diverso apprezzamento delle prove precluso alla Corte di legittimità.

Con l’ultimo motivo di ricorso, infine, si denuncia la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, delle norme di cui agli artt. 2119,2106,2727 e 2729 c.c., alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, ed all’art. 2697 c.c., anche in relazione alle norme del CCNL per i dipendenti da aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi del 31.07.2013. Si deduce che la condotta, avuto riguardo alla natura del materiale asportato dall’azienda, non avrebbe potuto essere considerata grave al punto da giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro. Tuttavia, ancora una volta, da un canto la censura è generica perché non spiega sotto quale profilo si sarebbe verificata la violazione delle disposizioni collettive che non menziona e trascura di allegare il contratto. Inoltre, lungi dal denunciare un vizio di sussunzione della condotta accertata nella nozione di giustificatezza/giusta causa di recesso, la censura procede ad una autonoma ricostruzione dei fatti e ne contesta la valutazione e, nello specifico la rilevanza dei documenti sottratti sollecitando un diverso apprezzamento degli stessi nella loro oggettività che invece è qui precluso.

La contestazione di addebito era infatti di aver trafugato documenti aziendali ed aver tentato di nascondere il fatto ai carabinieri con dichiarazioni mendaci circa il carattere personale dei documenti. Accertata la provenienza aziendale ed esclusa l’appartenenza al C. del materiale sottratto non rileva ai fini della gravità della condotta la materiale utilizzabilità dei documenti stessi.

In conclusione, per tutte le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 6.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 6 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022

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