Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2402 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. III, 03/02/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 03/02/2021), n.2402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32155/2019 proposto da:

T.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL GOLAMETTO 2,

presso lo studio dell’avvocato SABRINA ROSSI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE ROMA, MINISTERO DELL’INTERNO, PROCURATORE GENERALE

DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1946/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. T.N., cittadino del (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della sua istanza dedusse di essere fuggito dal Senegal dove viveva assieme alla propria famiglia e dove svolgeva il lavoro di saldatore. Affermava di non aver avuto alcun problema nel proprio paese fino al verificarsi di un incidente stradale a seguito del quale la propria fidanzata, che con il consenso delle rispettive famiglie avrebbe dovuto sposare, riportava ferite tali da provocarne handicap permanenti. Il ricorrente aveva espresso il desiderio di mantenere la propria promessa di matrimonio ma la sua famiglia preoccupata per la circostanza che la donna sarebbe stata per loro un peso in termini economici e pratici aveva mutato la propria opinione e negato il consenso al matrimonio. La ragazza a seguito dell’aggravarsi della propria situazione psicologica a causa della delusione si procurava la morte. A causa delle minacce subite dalla famiglia della ragazza si vedeva costretto a lasciare il paese transitando per lungo tempo in Libia sino ad arrivare in Italia.

3. l,a Commissione Territoriale rigettò l’istanza. Avverso tale provvedimento propose opposizione ex art. 702 bis c.p.c., dinanzi al Tribunale di Roma, che con ordinanza rigettò il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto:

a) il richiedente asilo non credibile;

b) infondata la domanda di protezione internazionale perchè il richiedente asilo non aveva dedotto a sostegno di essa alcun fatto di persecuzione;

c) infondata la domanda di protezione sussidiaria perchè nella regione di provenienza del richiedente asilo non era in atto un conflitto armato;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria poichè l’istante non aveva nè allegato, nè provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per sè dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

La Corte d’Appello ha confermato la decisione del giudice di primo grado con la sentenza n. 1946 del 22 marzo 2019.

4. Avverso tale pronuncia T.N. ricorre per cassazione con 3

motivi. Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. Con i tre motivi di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione al D.Lgs n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 1998, art. 8 e art. 27, comma 1 bis. Mancato esame di mezzi di prova presenti agli atti del processo; omesso esercizio del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice.

I motivi congiuntamente esaminati sono fondati.

In tema di valutazione di credibilità del richiedente asilo, il relativo giudizio, eventualmente negativo, non può in alcun modo essere posto a base, ipso facto, del diniego di cooperazione istruttoria cui il giudice è obbligato ex lege, volta che quel giudice non sarà mai in grado, ex ante, di conoscere e valutare correttamente la reale ed attuale situazione del Paese di provenienza del ricorrente – sicchè risulta frutto di un evidente paralogismo l’equazione mancanza di credibilità/insussistenza dell’obbligo di cooperazione.

Nella fase del giudizio volta ad acquisire le dichiarazioni del richiedente asilo (evidentemente prodromica alla decisione di merito), la valutazione di credibilità dovrà limitarsi alle affermazioni circa il Paese di provenienza rese dal ricorrente (così che, ove queste risultassero false, si disattiverebbe immediatamente l’obbligo di cooperazione).

“Il dovere di cooperazione da parte del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti alla luce dell’obbligo, sancito dall’art. 10, comma 3, lett. b) della cd. Direttiva Procedure, “di mettere a disposizione del personale incaricato di esaminare le domande informazioni precise e aggiornate provenienti dall’EASO, dall’UNHCR e da Organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani circa la situazione generale nel paese d’origine dei richiedenti e, all’occorrenza, dei paesi in cui hanno transitato”. Spetterà, dunque (all’amministrazione, prima, e poi) al giudice fare riferimento anche di propria iniziativa a informazioni relative ai Paesi d’origine che risultino complete, affidabili e aggiornate”. In tema di valutazione della credibilità del richiedente asilo, costituisce errore di diritto, come tale censurabile anche in sede di legittimità, la valutazione delle dichiarazioni che si sostanzi nella capillare e frazionata ricerca delle singole, eventuali contraddizioni, pur talvolta esistenti, insite nella narrazione, volta che il procedimento di protezione internazionale è caratterizzato, per sua natura, da una sostanziale mancanza di contraddittorio (stante la sistematica assenza dell’organo ministeriale), con conseguente impredicabilità della diversa funzione -caratteristica del processo civile ordinario – di analitico e perspicuo bilanciamento tra posizioni e tesi contrapposte intra pares.

Ebbene nel caso di specie nessuno dei predetti principi, oramai consolidati (cfr. Cass. n. 9230/2020; Cass. n. 4037/2020; Cass. 2355/2020; Cass. 29836/2020), è stato posto alla base della decisione. Il giudice del merito ha infatti valutato su “informazioni rinvenibili dai siti Internet del Ministero degli Esteri e di Amnesty international”. Inoltre non è stata considerata la violenza subita nei territori di transito secondo i principi di Cass. 8819/2020; Cass. 10835/2020; Cass. 10834/2020).

Va inoltre considerato, nella specie, che pertanto, in sede di rinvio, dovrà compiutamente esaminare le domande, anche alla luce, ed in imprescindibile consonanza, con la documentazione prodotta dalla ricorrente (quale la significativa certificazione medica relativa ai maltrattamenti subiti).

6. Pertanto la Corte accoglie ricorso come in motivazione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

PQM

la Corte accoglie ricorso come in motivazione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

 

 

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