Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24019 del 16/11/2011

Cassazione civile sez. III, 16/11/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 16/11/2011), n.24019

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4863/2010 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difesa per legge;

– ricorrente –

contro

G.S. (OMISSIS), R.A.

(OMISSIS), R.A.M. (OMISSIS),

A.L. (OMISSIS), G.E.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ILDEBRANDO

GOIRAN 10, presso lo studio dell’avvocato GULINO LUCIA, rappresentati

e difesi dall’avvocato D’URSO Mario, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

A.M.A. COSTITUITO RIC INCID 26/3/10 (OMISSIS),

+ ALTRI OMESSI

;

– intimati –

nonchè da:

R.R. COSTITUITA CON RIC INCID 26/3/10

(OMISSIS), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ILDEBRANDO

GOIRAN 4, presso lo studio dell’avvocato GULINO LUCIA, rappresentati

e difesi dall’avvocato D’URSO MARIO;

– ricorrenti incidentali –

e contro

R.A.M. (OMISSIS), G.E.

(OMISSIS), PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI –

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, A.L.

(OMISSIS), G.S. (OMISSIS), R.

A. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 4877/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/12/2009; R.G.N. 6605/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato MARIO D’URSO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, accoglimento ricorso incidentale autonomo, assorbito il

ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con citazione notificata il 22 dicembre 2000, i nominati in epigrafe quali proponenti il ricorso incidentale autonomo e quali intimati col ricorso principale, adducendo di essere medici specializzati e di avere frequentato i relativi corsi di specializzazione nel periodo precedente l’anno accademico 1991/92, convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, lo Stato Italiano, in persona del Presidente della Repubblica, il Governo italiano, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri, nonchè le diverse Università presso le quali avevano frequentato le scuole di specializzazione e ne chiedevano la condanna al pagamento della “adeguata remunerazione” per il periodo di frequenza della scuola di specializzazione post-laurea, nonchè, in via subordinata, al risarcimento dei danni subiti per effetto del ritardato e scorretto recepimento delle Direttive comunitarie 362-363/75 e 82/76, in materia di formazione di medici specializzandi.

1.1.- Si costituivano in primo grado le Amministrazioni e le Università (ad eccezione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore) ed eccepivano, la Presidenza della Repubblica, l’inammissibilità della domanda proposta nei suoi confronti, nonchè, tutte le convenute, la prescrizione del diritto; contestavano inoltre nel merito la fondatezza della domanda.

2.- Con sentenza n. 6373/05 il Tribunale di Roma disponeva la cancellazione della causa dal ruolo nei confronti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (ritenendo non perfezionata la notificazione); dichiarava inammissibile la domanda proposta nei confronti della Presidenza della Repubblica; accoglieva l’eccezione di prescrizione qualificando l’azione come risarcitoria da illecito aquiliano, con decorrenza della prescrizione dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991 e respingeva le domande degli attori.

3.- La sentenza veniva appellata davanti alla Corte d’Appello di Roma dai dottori già attori in primo grado, che lamentavano l’erroneità della pronuncia di primo grado per avere accolto l’eccezione di prescrizione.

3.1.- La Corte d’Appello, con sentenza del 14 dicembre 2009, in riforma della sentenza impugnata, ha condannato la Presidenza del Consiglio al risarcimento dei danni in favore degli appellanti R.A., R.A.M., G.S., G.E. e A.L., quantificati, per ognuno, nella somma di Euro 11.103,82 per ciascun anno di durata del corso di specializzazione, oltre rivalutazione ed interessi legali dalle diverse date di conseguimento dei diplomi di specializzazione al soddisfo; ha confermato la dichiarazione di prescrizione del diritto azionato per tutti gli altri appellanti, ritenendo la decorrenza del termine di prescrizione decennale dalle date di conseguimento dei diplomi di specializzazione; ha rigettato le domande nei confronti delle Università; ha compensato le spese dei due gradi.

4.- Contro questa sentenza propone ricorso principale, affidato a quattro motivi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Gli intimati R.A., R.A.M., G. S., G.E. e A.L. si difendono con controricorso, illustrato da memoria.

4.1.- I dottori M., + ALTRI OMESSI soccombenti in grado di appello, propongono autonomo ricorso avverso la stessa sentenza, affidandosi a due motivi, illustrati da memoria; propongono altresì ricorso incidentale condizionato. La Presidenza del Consiglio dei Ministri non si difende.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha raccomandato la motivazione semplificata.

I ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, vanno riuniti.

1.- Con il primo motivo del ricorso principale la Presidenza del Consiglio dei Ministri denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e art. 2947 c.c., nonchè dell’art. 2946 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Vi si deduce l’erroneità della pronuncia della Corte territoriale, che ha qualificato l’azione attenendosi alla ricostruzione operata dalla sentenza di questa Corte a Sezioni Unite n. 9147/09, e non come azione di risarcimento del danno per fatto illecito ex art. 2043 c.c., nonchè per aver applicato, come conseguenza, l’ordinario termine di prescrizione decennale, di cui all’art. 2946 c.c., in luogo del più breve termine quinquennale operante in materia di risarcimento da illecito aquiliano.

1.2.- Col secondo motivo di ricorso si deduce “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Vi si deduce che, anche a voler qualificare come contrattuale l’azione de qua, la prescrizione sarebbe pur sempre quinquennale, trovando applicazione la norma di cui all’art. 2948 cod. civ..

La censura è connessa rispetto a quella di cui al primo motivo di ricorso, sicchè i due motivi vanno trattati congiuntamente secondo quanto appresso.

2.- Gli argomenti addotti dalla ricorrente a sostegno sia del primo che del secondo motivo di ricorso sono stati tutti valutati dal precedente costituito dalla sentenza a Sezioni Unite n. 9147 del 2009, che ha riguardato l’inadempimento dello Stato Italiano per la mancata attuazione delle direttive in tema di formazione dei medici specializzandi ed è stata correttamente richiamata dalla Corte d’Appello di Roma.

Questo Collegio intende ribadire quanto sostenuto dalle Sezioni Unite, richiamando integralmente la motivazione della citata pronuncia.

Pertanto, il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno rigettati applicandosi il seguente principio di diritto: “In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione “ex lege” dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all’adempimento di una obbligazione ex lege riconducibile all’area della responsabilità contrattuale, all’ordinario termine decennale di prescrizione”.

Questo principio è stato ribadito con le recenti sentenze nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011, alle cui motivazioni si fa pure integrale rinvio, anche per quanto riguarda l’affermazione dell’antigiuridicità del comportamento dello Stato nell’ambito dell’ordinamento interno; quindi, la riconducibilità al concetto generale dell’obbligazione risarcitoria della pretesa degli specializzandi del risarcimento per mancata adeguata remunerazione.

3. – Col terzo motivo di ricorso, si deduce “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. e art. 2946 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Secondo la ricorrente la sentenza impugnata sarebbe viziata e meriterebbe di essere censurata anche sotto il profilo concernente il momento di decorrenza della prescrizione, poichè il dies a quo si dovrebbe individuare nel momento in cui il diritto può essere fatto valere, vale a dire, nella specie, nel momento di entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento (seppur incompleto) dell’atto comunitario, cioè del D.Lgs. n. 257 del 1991.

3.1.- Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

Applicandosi infatti il termine di prescrizione decennale, secondo quanto sopra, ed avendo gli attori iniziato il giudizio con citazione notificata il 22 dicembre 2000, la prescrizione non opererebbe anche se si ritenessero fondati gli argomenti svolti dall’Avvocatura di Stato ad illustrazione del motivo in esame.

4.- Va invece accolto il quarto motivo del ricorso, col quale si deduce la contraddittorietà della motivazione, laddove, dopo aver operato la qualificazione della fattispecie nei termini di cui sopra, ha liquidato il danno in misura corrispondente alla somma degli importi annui delle borse di studio non percepite, oltre accessori.

La censura di irragionevolezza della liquidazione trova fondamento, secondo la ricorrente, nell’essere stato il quantum debeatur determinato, nel caso di specie, adottando un parametro di riferimento inadeguato ed eccessivo, quale quello dell’intero importo della borsa di studio prevista dal D.Lgs. n. 257 del 1991.

4.1.- La censura è fondata. La Corte territoriale, senza adeguatamente motivare in punto di scelta del parametro cui ancorare la liquidazione del danno, ha finito per attribuire effetto retroattivo alla normativa introdotta col decreto legislativo citato, che invece riguardava i nuovi iscritti ai corsi di specializzazione regolati dalle diverse disposizioni introdotte a partire dall’anno accademico 1991/1992.

Infatti, la Corte d’Appello, intendendo effettuare una liquidazione equitativa, avrebbe dovuto altrimenti giustificare l’entità del ristoro ritenuta congrua, e non avvalersi, come invece ha fatto, dell’automatica trasposizione ad anni anteriori di previsioni normative dettate per il futuro; ciò che ha comportato che la liquidazione effettuata sia risultata eccessiva.

4.2.- Va, in proposito, rilevato che la qualificazione dell’obbligazione come “indennitaria”, alla stregua della sentenza a sezioni unite più volte richiamata, consegue alla considerazione che la giurisprudenza della Corte di Giustizia (richiamata sia nella sentenza n. 9147 del 2009 che nelle successive nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011) esige che l’obbligazione risarcitoria dello Stato non sia condizionata al requisito della colpa; quindi, consegue all’operazione di sistemazione che le Sezioni Unite hanno fatto, collocando la responsabilità dello Stato nell’ambito della norma generale dell’art. 1176 cod. civ. e svincolandola dai presupposti soggettivi dell’art. 2043 cod. civ..

Tuttavia, l’obbligazione in parola si distingue da quella risarcitoria ex art. 2043 cod. civ. per la peculiarità della sua fonte, al di là del suo contenuto; il contenuto è, infatti, lato sensu risarcitorio, dato che – come affermato anche dalla Corte di Giustizia – l’inadempimento dello Stato ne comporta l’obbligazione di riparare il danno, ma a condizioni non meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi reclami di natura interna e comunque non tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento; inoltre, il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spettando all’ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento ed, in ogni caso, non può essere escluso in via generale il risarcimento di componenti del danno, quale il lucro cessante; ancora, il risarcimento non può essere limitato ai soli danni subiti successivamente alla pronunzia di una sentenza della Corte di Giustizia che accerti l’inadempimento. Le Sezioni Unite, richiamati tali principi, hanno affermato che il credito del danneggiato ha natura di credito di valore e che “deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile”.

4.3.- Il dictum delle sezioni unite comporta che l'”idonea compensazione” debba rispondere, da un canto, al requisito della serietà, congruità e non irrisorietà, dovendosi ristorare un danno alla luce “della perdita subita in conseguenza del ritardo oggettivamente apprezzabile”; dall’altro, in assenza di alcuni degli elementi strutturali dell’illecito aquiliano, all’esigenza di non trasmutare in diritto al risarcimento tout court sì come predicato dall’art. 2043 c.c.; dall’altro ancora, all’inammissibilità di un’identificazione con il corrispettivo di una prestazione eseguita e non retribuita, secondo una concezione strettamente giuslavoristica e non, come nella specie, “paracontrattuale” da responsabilità statuale per atto privo, sul piano interno, del carattere della illiceità.

La remunerazione da ritenersi adeguata per la frequenza della scuola di specializzazione in epoca anteriore al 1991 (e la cui perdita gli specializzandi lamentano sub specie di danno risarcibile) non può essere equiparata alla remunerazione corrisposta per la frequenza dei corsi istituiti a far data dall’anno 1991/1992, poichè, come rilevato anche in altri precedenti di questa Corte, un’operazione in tal guisa concepita finirebbe per comportare l’applicazione retroattiva del decreto 257/91 e la trasformazione, in altri termini, di una disciplina comunque discrezionale quanto all’individuazione della misura della retribuzione (e pacificamente rimessa al legislatore statuale) e comunque irretroattiva sul piano della sua decorrenza, in una disposizione normativa sostanzialmente retroattiva.

Pertanto, il collegio ritiene di dare seguito, più analiticamente specificandone i contenuti, alla giurisprudenza di questa stessa corte regolatrice che, con la pronuncia n. 5842 del 2010, ha affermato, in argomento, che “la mancata trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto dalle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE – non autoesecutive in quanto, pur prevedendo lo specifico obbligo di retribuire adeguatamente la formazione del medico specializzando, non consentivano l’identificazione del debitore e la quantificazione del compenso dovuto – fa sorgere il diritto degli interessati al risarcimento dei danni, tra i quali devono comprendersi non solo quelli conseguenti all’inidoneità del diploma di specializzazione (conseguito secondo la previgente normativa) al riconoscimento negli altri Stati membri e al suo minor valore sul piano interno ai fini dei concorsi per l’accesso ai profili professionali, ma anche quelli connessi alla mancata percezione della remunerazione adeguata da parte del medico specializzando”.

4.4.- Al giudice del rinvio è demandato il compito di quantificare tale, peculiare diritto (para)risarcitorio spettante al medico specializzando, quantificazione che non potrà che avvenire sul piano equitativo, secondo canoni di parità di trattamento per situazioni analoghe (cfr. Cass. n. 12408 del 2011).

Parametro di riferimento per il giudice territoriale sarà costituito dalle indicazioni contenute nella, L. 19 ottobre 1999, n. 370, con la quale lo Stato italiano ha ritenuto di procedere ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre 1982, si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee a dare luogo all’acquisizione dei diritti previsti dalle direttive comunitarie, e che non risultavano considerate dal D.Lgs. del 1991.

5.- Col primo motivo del ricorso incidentale autonomo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3. I ricorrenti si dolgono della individuazione del dies a quo della prescrizione, assumendo che il termine di prescrizione decorrerebbe dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, e non dalle date di conseguimento dei diplomi di specializzazione, come ritenuto dal giudice di merito.

5.1.- Il motivo è fondato, nei termini che seguono.

Va premesso che, riguardo alla eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti, non si è formato alcun giudicato. Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare l’effetto estintivo e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie (Cass., SSUU 25 luglio 2002 n. 10955). Il che, ovviamente, vale anche per la parte contro la quale l’eccezione è proposta e che neghi il verificarsi del menzionato effetto estintivo.

Ciò posto, e richiamata la ricostruzione della fattispecie di cui alla sentenza a Sezioni Unite n. 9147 del 2009, va ribadito il principio espresso dalle sentenze di questa Corte numeri 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011, chiamate ad occuparsi proprio dell’individuazione del dies a quo della prescrizione (per le quali:

“A seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 251 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991. La lacuna è stata parzialmente colmata con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 21 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11”). Si intende qui ribadire il principio e gli argomenti che lo sorreggono.

5.2.- Il termine prescrizionale non era pertanto decorso all’epoca della citazione (22 dicembre 2000).

La sentenza impugnata va cassata, anche con riguardo alle posizioni dei ricorrenti incidentali autonomi.

Restano assorbiti il secondo motivo del ricorso incidentale, col quale è denunciato vizio di motivazione, nonchè il ricorso incidentale condizionato.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il quarto motivo del ricorso principale, rigettati gli altri, ed il primo motivo del ricorso incidentale autonomo, assorbiti il secondo motivo ed il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2011

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