Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24018 del 12/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/10/2017, (ud. 10/05/2017, dep.12/10/2017),  n. 24018

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12547-2012 proposto da:

CROCE ROSSA ITALIANA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

E.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASTRUCCIO

34/20, presso lo Studio dell’AVV. DANIELE MINOTTI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 491/2011 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 16/05/2011 R.G.N. 570/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2017 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso, in subordine rigetto;

è comparso l’Avvocato DANIELE MINOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Genova, con la sentenza n. 491 del 2011, pronunciando sull’appello proposto, nei confronti della sentenza n. 897 del 2010 del Tribunale di Genova, dalla Croce rossa italiana, Comitato centrale, nei confronti di E.L., ha dichiarato inammissibile l’impugnazione.

2. Il Tribunale aveva condannato la Croce rossa italiana, Comitato provinciale di Genova, a pagare a E.L. la somma di Euro 82.795,00, oltre interessi, quale retribuzione del rapporto di lavoro, protrattosi dal 2 maggio 2000 al 7 gennaio 2006.

3. L’appellante deduceva che la sentenza era nulla perchè il ricorso introduttivo del giudizio era stato notificato presso il Comitato locale di (OMISSIS) anzichè presso la sede centrale, e per difetto della capacità processuale del Comitato locale della Croce rossa; capacità processuale spettante solo al direttore generale. Nel merito, affermava che l’attrice aveva svolto nel periodo in esame opera di volontariato.

Costituitasi la lavoratrice eccepiva l’inammissibilità dell’appello perchè proposto da persona non chiamata in giudizio.

4. La Corte d’Appello affermava che l’appello non era stato proposto da Croce rossa italiana, ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico ai sensi del D.L. n. 390 del 1995, art. 7 convertito dalla L. n. 490 del 1995, e dal D.P.C.M. n. 97 del 2005, art. 5 Croce rossa italiana, Comitato centrale; comitato che, secondo il disposto dell’art. 16 suddetto D.P.C.M., è nello stesso modo dei Comitati regionali, provinciali e locali, un’articolazione della Croce rossa italiana, e come gli altri Comitati (artt. 28, 35 e 40 D.P.C.M. citato), ha propri organi (art. 18 D.P.C.M. citato).

Tra tali organi non è compreso il direttore generale che ha la rappresentanza in giudizio dell’ente.

Pertanto, dichiarava inammissibile l’impugnazione.

5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la Croce rossa italiana, prospettando quattro motivi di ricorso.

6. Resiste con controricorso E.L..

7. In prossimità dell’udienza pubblica E.L., con nuovo difensore nominato giusta procura speciale notarile alle liti, ha depositato memoria, con la quale ha dedotto che ai sensi del D.Lgs. n. 178 del 2012 la Croce rossa italiana è in fase di liquidazione e che nella fase intermedia è stato istituito l’Ente strumentale della Croce rossa italiana.

Ciò avrebbe determinato il venire meno dell’impulso di parte e, quindi, l’estinzione del processo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va osservato che nel giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge. (Cass., n. 24635 del 2015, n. 1757 del 2016, n. 8685 del 2012, n. 21153 del 2010).

Pertanto, non può trovare accoglimento l’eccezione sollevata dalla controricorrente con la memoria.

2. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., comma 1, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

E’ contestata la statuizione secondo cui l’appello non sarebbe stato proposto dal direttore generale della Croce rossa italiana, ma dal Comitato centrale.

Ed infatti, ciò risultava dal tenore dell’istanza di sospensione dell’esecuzione proposta nell’interesse della Croce rossa italiana, in persona del rappresentante pro tempore; dal raffronto con il petitum sostanziale intrinseco all’atto d’impugnazione, che era cristallizzato nella formulazione “Con il presente atto, la Croce rossa italiana, in persona del direttore generale, chiede che la sentenza impugnata venga dichiarata nulla, annullata o comunque riformata”.

Pertanto, erroneamente la Corte d’Appello, trascurando le suddette risultanze processuali, individuava nel Comitato centrale il soggetto che aveva interposto l’appello, a seguito di una lettura atomistica e semplicistica, viziata da rigore formale, dell’atto di appello.

1.1. Il motivo è inammissibile.

La ricorrente nell’esporre le censure fa riferimento ad una serie di atti processuali (istanza di sospensione dell’esecuzione, atto di appello, atti dalla cui corretta interpretazione assume si sarebbero tratte conclusioni favorevoli alla propria difesa), che richiama senza riprodurne in modo compiuto il contenuto, ma solo estrapolandone brevi passi, così non adempiendo al duplice onere imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrli agli atti (indicando esattamente nel ricorso dove si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo nel ricorso), con la conseguenza che la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (Cass., n. 19048 del 2016).

2. Con il secondo motivo di impugnazione è dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., comma 4, del D.P.R. n. 97 del 2005, artt. 5, 16, 26.

Sono censurate le seguenti statuizioni:

ogni comitato in cui articola l’associazione avrebbe soggettività giuridica, cosìchè l’appello proposto dal Comitato centrale, soggetto estraneo alla lite di primo grado, coinvolgente un Comitato provinciale, risulterebbe viziato da difetto d’interesse e di legittimazione;

la rappresentanza dell’ente può ascriversi anche al comitato locale ed ai suoi organi.

Quanto al primo punto rileva la ricorrente che l’art. 16, comma 3, lett. a), delle norme statutarie della Croce rossa, chiarito che la CRI si articola in un’organizzazione regionale, individua nel Comitato centrale l’organizzazione centrale della Croce rossa.

Pertanto come già rappresentato nell’atto di appello (pag. 4) si censurava la statuizione impugnata.

Ai sensi dell’art. 26, comma 3, solo il direttore generale riveste il potere di rappresentanza dell’Ente, per cui sussisteva il difetto di legittimazione passiva del Comitato locale di (OMISSIS) evocato irritualmente in giudizio in primo grado, come già evidenziato e sviluppato nei motivi di gravame proposti avverso la sentenza di primo grado. Irritualmente veniva evocato in giudizio il comitato locale di (OMISSIS).

3.1. Il motivo è inammissibile.

Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa (Cass, n. 25332 del 2014).

Come queSta Corte ha già affermato (Cass., n. 24298 del 2016), il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la censura prospettata, come nel caso di specie, attraverso il richiamo del contenuto normativo di alcune disposizioni dello statuto della CRI, da cui sono tratte considerazioni assertive, a sostegno delle quali si rinvia a quanto già dedotto nell’atto di appello.

Poichè il giudizio di cassazione non può che riguardare la sentenza di appello, lo stesso verte sulle valutazioni operate in quella sede o sulle eventuali omissioni riscontrabili, ma non può vertere anche sui precedenti motivi che a quella sentenza hanno dato luogo.

3. Con il terzo motivo di impugnazione è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (violazione dell’art. 75 c.p.c., comma 3; del D.P.R. n. 97 del 2005, artt. 5, 16, 26).

Assume la ricorrente che non sussisterebbe il difetto di legittimazione processuale del direttore generale come assunto dalla Corte d’Appello, nel ritenere che l’appello era stato proposto da una mera articolazione interna.

Il giudice di secondo grado avrebbe confuso il profilo attinente all’organizzazione in senso stretto, inteso come disegno e disciplina della struttura della persona giuridica, con la differente problematica dell’imputazione giuridica, ovvero inerente la soggettività e la connessa sfera d’azione delle figure soggettive.

Ciò emergeva dall’epigrafe dell’atto di appello, ove si era operato il riferimento alla “Croce rossa italiana, comitato centrale, in persona del legale rappresentante pro tempore”, indicando, dunque, la CRI come la persona giuridica di diritto pubblico, di durata illimitata e con sede legala a Roma (art. 5 Statuto); il Comitato centrale come mero ufficio interno; il direttore generale in qualità di organo.

Da ciò risultava che il Comitato centrale era la struttura burocratica all’interno della quale operava il direttore generale, con la conseguenza che l’atto d’appello era correttamente proposto.

A sostegno delle proprie argomentazioni la ricorrente richiama, altresì, l’ordinanza di sospensione, che era stata accolta, e che era stata epigrafata “ordinanza nella causa d’appello Croce rossa italiana e Loredana E.”.

3.1. Il motivo è inammissibile, per la mancata osservanza di quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), in ragione della mancata specifica allegazione dei documenti, al fine della comprensione del motivo di doglianza e degli indispensabili presupposti fattuali sui quali esso si basa, nonchè della valutazione della sua decisività (cfr., Cass., S.U., n. 16887 del 2013).

4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (violazione e falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c.).

La sentenza sarebbe viziata perchè in contrasto con il principio secondo cui le invalidità derivate dal difetto di capacità processuale possono essere sanate, su invito del giudice, tramite regolarizzazione della costituzione in giudizio della parte cui l’invalidità si riferisce.

4.1. Il motivo è inammissibile, atteso che lo stesso non coglie la ratio decidendi della statuizione impugnata.

Nella specie la Corte d’Appello non ha ravvisato un vizio che concerne la capacità processuale e in quanto tale relativo ad un difetto di legittimazione processuale, sanabile con efficacia retroattiva, ma un vizio di legittimazione ad causam, che consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte.

Nè può ritenersi come dedotto dalla ricorrente che l’inammissibilità dell’appello sia stata rilevata con effetto a sorpresa, atteso che la lavoratrice aveva eccepito che l’impugnazione era stata proposta da un soggetto non chiamato in giudizio.

5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie in misura del 15%.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017

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