Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24018 del 03/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 03/10/2018, (ud. 09/04/2018, dep. 03/10/2018), n.24018

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E. L. – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paol – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12552/2011 R.G. proposto da:

Esseti Service s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Daniela Dal Bo, con

domicilio eletto presso lo studio il suo studio sito in Roma, via

Gerolamo Belloni, 88;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 32/28/10, depositata il 16 marzo 2010.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 9 aprile 2018

dal Consigliere Dott. Paolo Catallozzi.

Fatto

RILEVATO

che:

– la Esseti Service s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 16 marzo 2010, di accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2000, era stata rettificata la dichiarazione e recuperate a tassazione le imposte non versate;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con l’atto impositivo impugnato l’Ufficio aveva contestato alla società contribuente l’omessa dichiarazione di ricavi per Lire 26.425.000, ai fini i.r.pe.g., i.r.a.p. e i.v.a.;

– il giudice di appello, in riforma della decisione della Commissione provinciale, ha ritenuto sussistente la pretesa erariale e corretto l’operato dell’Ufficio, il quale aveva invitato la contribuente a documentare la regolarità delle operazioni rilevate (poste in essere con la Centro Risparmi s.r.l.) e, a seguito della mancata risposta della contribuente medesima, aveva ritenuto che le stesse avessero originato ricavi non dichiarati;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 52, comma 2 (nella formulazione vigente al momento della presentazione dell’appello), nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione alla mancata dichiarazione dell’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia per la mancata produzione dell’autorizzazione del responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione regionale delle entrate ovvero del responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio;

– il motivo è infondato;

– la disposizione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, nella formulazione pro tempore vigente, secondo la quale gli uffici periferici del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze e gli uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale, rispettivamente, dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione generale delle entrate e dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio, non è più suscettibile di applicazione una volta divenuta operativa – in forza del D.M. Economia 28 dicembre 2000 – la disciplina recata dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, che ha istituito le agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna agenzia (così, Cass. sez. un., 14 gennaio 2005, n. 604; in seguito, vedi anche Cass. 16 maggio 2014, n. 10736);

– a seguito della soppressione di tutti gli uffici ed organi ministeriali ai quali fa riferimento il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, infatti, da tale norma non possono farsi discendere condizionamenti al diritto delle agenzie (nella specie, l’Agenzia delle Entrate) di appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali;

– poichè l’appello è stato proposto il 16 ottobre 2009 e, dunque, in data successiva al momento in cui le agenzie fiscali sono divenute esecutive (1 gennaio 2001), non trova più applicazione la invocata disposizione di cui al previgente D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2;

– non assume, conseguentemente, rilevanza la circostanza – allegata dall’Ufficio – relativa all’esistenza della autorizzazione in esame;

– con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, nonchè l’omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia, individuato nell’aver tempestivamente dichiarato nel corso del giudizio di primo grado le ragioni impeditive della risposta all’invito dell’Ufficio a documentare i rapporti intrattenuti con la Centro Risparmio s.r.l. e nell’aver prodotto in tale giudizio il registro delle vendite recante la contabilizzazione delle fatture relative alle relative operazioni;

– evidenzia che, come dalla stessa sostenuto sin dal primo atto introduttivo, “non aveva potuto documentare tempestivamente tali operazioni, poichè i locali dove era conservata la documentazione erano sotto sequestro”, per cui la produzione documentale effettuata nel corso del giudizio avrebbe dovuto essere presa in considerazione dall’organo giudicante;

– il motivo è inammissibile;

– la Corte territoriale, dopo aver rilevato la mancata risposta della contribuente all’invito a fornire chiarimento rivoltole dall’Ufficio, ha evidenziato che la documentazione prodotta in giudizio non fosse idonea a giustificare la contabilizzazione delle operazioni in esame, in quanto consistente non già nelle relative fatture, bensì in copia del registro delle vendite;

– in tal modo, ha dimostrato di aver preso in considerazione la documentazione prodotta in giudizio dalla contribuente, ritenendo, in tal modo, sia pure in via implicita, non operante la causa di inutilizzabilità dei documenti non trasmessi a seguito di invito di cui al D.P.R. n. 633 del 1970, art. 32, u.c.;

– ha, poi, giustificato la sua decisione in ordine alla non decisività di tale documentazione con motivazione che si sottrae a censure per vizi di ordine-logico;

– con l’ultimo motivo di ricorso si censura la sentenza di appello per violazione dell’art. 2697 c.c., nonchè per insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia, individuato nel non aver ritenuto prova sufficiente rispetto a quanto richiesto dall’Ufficio il registro delle vendite recante la contabilizzazione delle fatture relative alle operazioni in esame;

– il motivo è infondato;

– da quanto è dato desumere dal contenuto della sentenza di appello e da quanto dedotto dalle parti, l’Ufficio ha proceduto alla rettifica della dichiarazione della contribuente previa contestazione della incompletezza, falsità o inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione medesima desunta da verifiche effettuate nei confronti della Centro Risparmio s.r.l.;

– la Corte territoriale ha ritenuto corretta la rettifica effettuata, evidenziando che la documentazione prodotta in giudizio dal contribuente, consistente nella copia del registro delle vendite, non fosse idonea a dimostrare l’avvenuta contabilizzazione delle fatture relative alle operazioni in esame e a superare la grave presunzione di attività non dichiarate;

– in tal modo ha correttamente posto a carico dell’Ufficio l’onere di dimostrare il fatto costitutivo della pretesa erariale ed è giunta alla conclusione dell’assolvimento di siffatto onere, argomentando sul punto anche con riferimento alla prova documentale offerta dalla contribuente, ritenuta non decisiva;

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in Euro 2.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2018

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