Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24015 del 16/11/2011

Cassazione civile sez. III, 16/11/2011, (ud. 21/10/2011, dep. 16/11/2011), n.24015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19647/2009 proposto da:

A.G. (OMISSIS), A.M.

(OMISSIS), G.S. (OMISSIS),

G.V. (OMISSIS), considerati domiciliati “ex

lege” in ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dall’Avvocato BOVETTI Gian Carlo, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

CATTOLICA ASSICURAZIONI COOP SRL (OMISSIS), in persona del suo

procuratore speciale Dott. B.A., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MARCO ATTILIO 14, presso lo studio

dell’avvocato MATTICOLI Mario, che lo rappresenta e difende giusta

delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

F.A., CAM CASEIFICIO ARTIGIANALE MOROZZESE SNC;

– intimati –

avverso la sentenza n. 809/2008 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 11/06/2008; R.G.N. 2301/06 e n. 2302/06.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2011 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l’Avvocato MARCO MATTICOLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per rigetto 1^, 2^ e 3^ motivo,

accoglimento 4^ assorbito 5^ motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza n. 809, pubblicata l’11.6.2008, la Corte d’appello di Torino ha riformato solo in punto di riconoscimento di ulteriori Euro 3.368,59 (per distruzione del ciclomotore e spese funerarie) la sentenza di primo grado con la quale il Tribunale di Mondovì, con sentenza del 15.11.2005, aveva liquidato ai congiunti il 50% del danno non patrimoniale derivato dalla morte del minore Al.

M. a seguito dello scontro, avvenuto il 21.5.1998, del ciclomotore sul quale viaggiava con il furgone condotto da F. A., di proprietà della C.A.M. ed assicurato presso la società Cattolica di Assicurazioni.

Erano state riconosciute le somme di Euro 3.250 per “danno biologico terminale” del defunto, circa Euro 64.164 al padre A. G., Euro 87.415 alla madre G.S., Euro 22.857 al fratello A.M. ed Euro 17.415 alla convivente zia G.V..

2.- Avverso la sentenza, che ha rigettato le ulteriori censure dei congiunti, gli stessi ricorrono per cassazione affidandosi a cinque motivi, cui resiste con controricorso la società Cattolica di Assicurazioni.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo (pp. 19-30 del ricorso) i ricorrenti deducono violazione dell’art. 184 c.p.c., commi 1 e 2 (nella formulazione previgente ed applicabile al giudizio di primo grado) e art. 345 c.p.c., per avere la corte d’appello rigettato il motivo col quale essi (appellanti) s’erano doluti che il giudice di primo grado avesse ritenuto ammissibile – dopo l’escussione di un teste oculare ( D.) la tardiva produzione, ad opera della controparte, dei processi verbali delle dichiarazioni di diverso tenore dal medesimo rese in altro giudizio.

1.1.- La Corte d’appello ha ritenuto (a pagina 28 della sentenza) che il documento fosse “indispensabile ai fini del decidere, perchè idoneo ad apportare elementi necessari ai fini della valutazione della attendibilità dell’unico teste oculare di un complesso sinistro stradale”.

La ragione addotta è effettivamente inidonea a sorreggere la decisione sul punto, che non è tuttavia suscettibile di essere caducata alla luce del rilievo che la produzione fu contestualmente ammessa dal giudice di primo grado in quanto inerente “alla attendibilità di un teste che non può essere vagliata che ex post”, sicchè il teste fu escusso “sul punto allo scopo di vagliarne l’attendibilità” (come detto in ricorso, a pag. 22).

Tanto integrò una sostanziale rimessione in termini ex art. 184 bis c.p.c., allora vigente, sulla scorta dell’implicito rilievo che l’intervenuta decadenza non era imputabile alla parte per essere l’esigenza di produrre il (pur preesistente) documento sorta solo dopo che il teste (indotto dagli attori) ebbe rilasciato dichiarazioni non coincidenti con quelle precedentemente fatte ad altro giudice.

La motivazione va dunque in tal senso corretta, ma il motivo è respinto in quanto la soluzione è stata conforme a diritto.

2.- Col secondo motivo (pp. 30-34) la sentenza è censurata per violazione dell’art. 184 c.p.c., comma 2, e art. 90 disp. att. c.p.c., comma 1, per avere la corte territoriale ritenuto che correttamente il tribunale avesse disposto la rinnovazione della c.t.u. per non aver il consulente formalmente indicato, la prima volta, la città in cui avrebbe dato inizio alle operazioni.

2.1.- Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

La Corte d’appello (la cui opinione non è agevole cogliere sul punto denunciato), ha comunque ritenuto che la rinnovazione fosse giustificata anche dall’intervenuto decorso del tempo su una situazione (condizione psicofisica dei danneggiati) in evoluzione, sicchè era opportuno compiere tutti gli accertamenti medici in una situazione il più possibile stabilizzata (pagina 32 della sentenza).

Questa ratio decidendi, in sè autonomamente idonea a sostenere la decisione in quanto concernente accertamenti che il giudice è abilitato a disporre anche d’ufficio, non è impugnata.

3.- La questione è fatta oggetto del terzo motivo, col quale è denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., per essere stata la consulenza rinnovata non per la ragione da ultimo detta, invece posta a fondamento della decisione alla Corte d’appello benchè nessuno la avesse prospettata.

3.1.- Il motivo è inammissibile, non essendo dai ricorrenti indicato neppure quale fosse il vizio denunciato col motivo in ordine al quale la sentenza si assume viziata da ultrapetizione. Non è in particolare detto, nè nell’illustrazione nè nei quesiti formulati, se essi assumessero che la seconda consulenza fosse nulla; per contrasto con quali disposizioni processuali sostenessero in ipotesi che lo fosse; perchè, ancora, il rigetto di un motivo (per ragioni diverse da quelle esposte da chi lo proponga) col quale si predichi l’invalidità di un atto processuale integri extrapetizione, essendo invece certo che un’impugnazione ben può essere disattesa – e quasi sempre lo è – per ragioni ulteriori e opposte rispetto a quelle prospettate.

4.- Col quarto motivo (pp. 36-41 del ricorso) la sentenza è censurata per violazione dell’art. 2059 c.c., domandandosi se, richiesto il risarcimento i tutti i danni subiti per la morte di un congiunto, la liquidazione possa concernere solo il pregiudizio per le sofferenze patite e non quello alle attività non remunerative della persona (c.d. danno esistenziale).

4.1.- Il motivo è manifestamente infondato, risultando dal corpo della sentenza d’appello e di quella di primo grado (riportata in ricorso) che, al di là di formalismi semantici, proprio il danno non patrimoniale nel suo complesso è stato considerato e liquidato.

E’, d’altronde, definitivamente acquisito che non esiste una sottocategoria o una sottovoce del danno non patrimoniale qualificabile come “esistenziale” (Cass., Sez. un., n 26972/2008 e ss.).

5.- Col quinto motivo (pp. 42-45 del ricorso) la sentenza è da ultimo censurata per violazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., per avere la corte d’appello negato che fosse stata provata la sussistenza dì un danno non patrimoniale concretantesi nel pregiudizio alle attività non remunerative della persona pur in presenza di prova del rapporto parentale connotato da convivenza (così il quesito di diritto).

5.1.- Il motivo è infondato alla luce dei rilievi:

a) che in sentenza è cristallinamente chiarito che il pregiudizio consistito nel “venir meno della convivenza del minore” era stato considerato dal giudice di primo grado (pagina 35, settima e ottava riga della sentenza);

b) che gli arresti di cui alle sentenze di questa Corte nn. 8827 e 8828 del 2003 e 26972 e ss. del 2008 non possono essere invocati per un aumento della liquidazione del danno non patrimoniale quando, al di là dei nomina, iuris dei tipi di pregiudizio, il danno non patrimoniale sia stato, in sostanza, nel suo complesso liquidato.

6.- Il ricorso è respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2011

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