Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24014 del 26/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 26/09/2019, (ud. 26/02/2019, dep. 26/09/2019), n.24014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11371/2012 R.G. proposto da:

Il Sig. L.D., con l’avv. Susanna Pastore nel domicilio

eletto preso lo studio dell’avv. Cosimo Damiano Fabio Mastrorosa, in

Roma, alla via Nizza, n. 92;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ed ivi domiciliata in via dei Portoghesi, n.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la

Puglia, – Sez. 09 n. 45/09/11, depositata in data 10/03/2011 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 febbraio

2019 dal Cos. Marcello M. Fracanzani.

Fatto

RILEVATO

Con rogito a ministero notaio Consiglio datato (OMISSIS), il contribuente alienava con riserva di proprietà un appezzamento edificabile in agro di (OMISSIS), riscuotendone subito un terzo del prezzo, rinviando gli altri due terzi ad un momento successivo.

Con un primo avviso per l’anno di imposta 2000, l’Ufficio accertava una plusvalenza da cessione, per cui rettificava il reddito dichiarato, irrogando sanzioni per infedele dichiarazione.

Con secondo avviso per l’anno di imposta 2002 l’Ufficio presumeva riscossi anticipatamente sul pattuito i restanti due terzi di prezzo, in ragione dell’intervenuta rinuncia alla riserva di proprietà, donde calcolava la relativa plusvalenza, rideterminando il reddito imponibile, irrogando le conseguenti sanzioni per infedele dichiarazione.

Insorgeva il contribuente affermando trattarsi di terreno compreso nell’ambito di un piano urbanistico attuativo, ritualmente approvato dal civico ente in sede amministrativa cui era seguita la prevista convenzione urbanistica. Per l’effetto chiedeva applicarsi la tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. a), in luogo del regime previsto dallo stesso testo, artt. n. 81 e 82. Sotto altro profilo, contestava a presunzione dell’Ufficio circa l’avvenuta riscossione della rimanente parte del prezzo nel 2002, affermando infatti di aver rinunciato alla riserva di proprietà non a seguito dell’integrale pagamento bensì per agevolare l’acquirente nella presentazione della domanda dei titoli edilizi (che sono rilasciati “a chi ne ha diritto”, tale in primis il proprietario).

Le ragioni del contribuente erano apprezzante solo in parte dal giudice di prime cure che accertava trattarsi effettivamente di terreno compreso in una lottizzazione urbanistica perfezionata (profilo riconosciuto nel corso del giudizio dalla stessa Amministrazione finanziaria), donde indicava la modalità di ricalcolo dell’imposta ed ordinava all’Ufficio di eseguirlo, adempimento assolto dalla P.A., risultando in atti che la nuova imposta liquidata è stata contestata dal contribuente che ne ha impugnato la relativa cartella. Le residue domande di parte contribuente erano respinte.

Interponeva appello la parte contribuente, protestando – per quanto interessa il prosieguo – che al riconoscimento dei diversi presupposti di fatto (l’accertata lottizzazione) fosse conseguito non il richiesto annullamento degli atti impositivi, ma l’ordine del giudice all’Ufficio di riformularli secondo il principio di diritto come emerso nel corso del processo; era stigmatizzata poi l’assenza di prova dell’avvenuto anticipato pagamento del residuo prezzo, sull’assunto che spetto all’Ufficio dimostrare la sussistenza dell’obbligo contributivo, onere probatorio mai assolto dall’Amministrazione finanziaria procedente.

La CTR confermava la sentenza di secondo grado negando la violazione fra chiesto e pronunciato sull’assunto che il processo tributario ha natura di impugnazione merito (c.d. mista oggettiva/soggettiva), in cui cioè l’azione prende scaturigine da una contestata illegittimità del provvedimento che, se accertata, non si esaurisce immediatamente nell’annullamento, traducendosi nello scrutinio della pretesa impositiva sottostante, cioè sui termini dell’obbligazione tributaria che vengono scrutinati e rimodulati in sede giudiziaria, al pari di quanto può avvenire in sede di giustizia ordinaria civile.

Sotto altro profilo, statuiva che la rinuncia alla riserva di proprietà è presunzione grave e precisa di avvenuto pagamento del prezzo (o del residuo del prezzo) nella cui garanzia (del coretto adempimento) la riserva di proprietà ha l’unica sua funzione. A fronte dunque della dimostrata presunzione, spettava al contribuente la prova contraria che non era stata data, non ritenendosi bastevole la giustificazione dell’intento agevolativo verso l’acquirente.

Reagisce con ricorso per cassazione la parte contribuente, affidandosi a cinque motivi di gravame, cui replica notificando controricorso meramente formale l’Avvocatura dello Stato.

Con memoria in data 26 maggio 2016, parte contribuente dà notizia del passaggio in giudicato (per dichiarata inammissibilità del ricorso per cassazione) di sentenza di altra sezione della CTR per le Puglie ove – in fattispecie riguardante altri terreni ceduti dal medesimo contribuente (verosimilmente) all’interno della stessa lottizzazione – gli avvisi di accertamento fondanti su presupposto normativo errato fossero stati direttamente annullati, come richiesto fin dal primo grado anche nel presente giudizio. Conclude quindi invocando l’effetto del giudicato esterno riflesso anche sul presente giudizio.

In prossimità dell’udienza, la parte contribuente ha altresì depositato ulteriore memoria illustrativa delle ragioni esposte.

Diritto

CONSIDERATO

Con il primo motivo di gravame si lamenta violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. a), e art. 68, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in parametro all’art. 360 codice di rito civile, comma 1, n. 3, nella sostanza eccependo che in presenza di lottizzazione perfezionata non sia stata applicata la tassazione separata prevista dalle norme rubricate in premessa e non siano stati annullati i conseguenti avvisi di accertamento che risultano fondati su altre norme.

Con il secondo motivo si prospetta nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., in parametro all’art. 360 prefato codice di rito, comma 1, n. 4, nel concreto affermando la violazione del rapporto fra il richiesto annullamento degli atti e il pronunciato ordine di ricalcolo secondo la norma individuata dal giudice.

I due motivi debbono essere trattati congiuntamente in ragione della loro stretta connessione.

La sentenza gravata correttamente dà atto della natura di “impugnazione – merito” caratteristica del processo tributario, per cui la sentenza può sostituirsi al provvedimento impugnato, disponendo in modo da far ottenere all’istante “il bene della vita” che risulta compresso con l’atto impositivo impugnato. Nel caso concreto, la parte contribuente ha chiesto (come chiede ancora) che la cessione del terreno edificabile all’interno della (riconosciuta) lottizzazione sia regolata non dal D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 81 e 82, bensì dallo stesso testo, artt. 67 e 68, cosa che è avvenuta, poichè la CTP vi ha individuato i parametri indicati all’Ufficio su cui ricalcolare l’imposta dovuta, adempimento che risulta eseguito, con nuova liquidazione dell’imposta.

Non vi è stata dunque violazione dei predetti artt. 67 e 68, nè violazione fra chiesto e pronunciato, proprio perchè il giudice di secondo grado ha scrutinato ed avvallato l’operato del primo, ove è stata disposta la rinnovazione del calcolo di imposta proprio secondo i parametri richiesti dal contribuente. Ed in questo i giudici di merito hanno ben governato i principi del processo tributario di “impugnazione-merito”, rimanendo dei limiti fissati dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr. da ultimo Cass. V, n. 1728/2018, specialmente dal terzo paragrafo di pag. 5 in avanti, ove si ricostruiscono i precedenti in materia).

Capovolgendo il ragionamento la conclusione non cambia: l’originaria pretesa di annullamento dell’atto (che qui si invoca come disattesa) era funzionale a vedere inquadrata la fattispecie concreta nel caso previsto dagli artt. 67 e 68, più volte citati: all’annullamento degli atti impositivi impugnati in primo grado sarebbe seguita la loro rinnovazione da parte della P.A. secondo le norme richieste da parte contribuente, cui sarebbe seguita la liquidazione dell’imposta che, ove non condivisa, avrebbe portato a nuova impugnazione sulla quantificazione del dovuto, cioè quanto è nei fatti accaduto (cfr. pag. 5, terzo capoverso, sentenza impugnata).

Per l’effetto, a ben considerare, non vi sono più gli originari provvedimenti di accertamento, bensì una nuova e diversa liquidazione dell’imposta che deriva dalla sentenza di primo grado che ha accolto l’impostazione giuridica della parte contribuente.

Ne consegue che i due motivi di ricorso qui all’esame, prima ancora che infondati, posso ritenersi inammissibili per (originaria) carenza di interesse, non ottenendo dal loro accoglimento più di quanto non sia stato già disposto dal giudice di primo grado.

Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., in parametro all’art. 360 codice di rito civile, comma 1, n. 3, nella sostanza ritenendo indebitamente alterato l’onere della prova, ponendo sul privato la dimostrazione che il pagamento del residuo del prezzo non sia avvenuto nel 2002 come presunto dall’Amministrazione finanziaria.

Con il quarto motivo si lamenta insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel concreto riproponendosi sotto altra veste la censura che precede, poichè il giudice territoriale non avrebbe dato conto delle ragioni per cui la rinuncia alla riserva della proprietà faccia desumere avvenuto in quello stesso momento il pagamento del prezzo.

I due motivi possono essere trattati assieme in ragione della loro stretta connessione.

La lettura della gravata sentenza sul punto dà conto dell’iter logico giuridico che la sostiene nel confermare, con valutazione critica autonoma, la sentenza di primo grado. Ed in effetti, com’è noto, la P.A. può porre a fondamento dei propri accertamenti (analitici, sintetici, induttivi) delle presunzioni, purchè gravi precise e concordanti. In questo senso risulta logico, condivisibile e conforme alla prassi ritenere che la clausola contrattuale di riserva della proprietà nella vendita immobiliare abbia natura di garanzia del versamento del corrispettivo, specie se temporalmente limitata al momento convenzionalmente pattuito di pagamento del (residuo) prezzo, donde riserva della proprietà e pagamento del prezzo si pongono in una correlazione per cui simul stabunt aut simul cadent. Preme sottolineare che la rinuncia alla riserva di proprietà non sia presunzione, ma fatto storico non controverso, tale da consentire la presunzione dell’avvenuto pagamento, deduzione non vinta dalla giustificazione offerta di aver voluto agevolare l’acquirente nella presentazione delle istanze edilizie, profilo altruistico che non appare coerente con l’originaria riserva di proprietà poi in questi asseriti termini rinunciata.

Sul punto la gravata sentenza ha ben motivato e ha fatto corretta applicazione delle norme sul riparto dell’onere della prova. I motivi terzo e quarto sono quindi infondati e vanno disattesi.

Con il quinto ed ultimo motivo si lamenta omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 codice di rito civile, comma 1, n. 5, nella sostanza riproponendosi l’argomento della violazione del rapporto fra chiesto e pronunciato già proposto con il secondo motivo e qui di nuovo censurato per non aver il giudice adeguatamente motivato l’esclusione della sollevata censura.

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

Occorre infine esaminare l’invocato effetto del giudicato esterno rappresentato con memoria del 26 maggio 2016. Dallo scrutinio dei provvedimenti giurisdizionali richiamati emerge come la fattispecie riguardi profili non sovrapponibili, trattandosi di altri beni e, comunque, a diversa interpretazione di norma di diritto non vincolante, soprattutto perchè attinente alla scelta del giudicante se annullare in toto il provvedimento impugnato o riformarlo entrando nel merito della cognizione dell’obbligazione tributaria sottostante, secondo l’alternativa possibile in forza del più volte richiamato principio della impugnazione/merito su cui si fonda la cognizione del giudice tributario.

In definitiva il ricorso è infondato e dev’essere rigettato, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in Euro settemiladuecento/00 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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