Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24013 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. III, 30/10/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 30/10/2020), n.24013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32422/2019 proposto da:

M.S.M., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso

dall’avv.to Alessandro Ferrara,

(alessandroferrara.ordineavvocatiroma.org) con studio in Roma, via

Barnaba Tortolini 30, giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto di convalida della misura alternativa al

trattenimento del Questore di Roma, emesso dal giudice di pace di

Roma depositato l’8.10.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23.7.2020 dal Cons. Dott. Antonella Di Florio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.S.M. A., proveniente dalla Libia, ricorre affidandosi a cinque motivi per la cassazione del decreto del giudice di pace di Roma che aveva convalidato la misura alternativa al trattenimento emessa nei suoi confronti dalla Questura in esecuzione del provvedimento di espulsione.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede la misura imposta consisteva nel ritiro del passaporto e nell’obbligo di firma per due giorni a settimana per il tempo strettamente necessario alla rimozione degli impedimenti per l’accompagnamento alla frontiera.

2. La parte intimata non si è difesa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8, sesto e settimo periodo ed art. 14, comma 1 bis e art. 5, nonchè del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 3 e successive modifiche, del diritto di difesa e del principio del contraddittorio e del giusto processo.

1.1. Lamenta che le violazioni denunciate dovevano essere ricondotte alla mancata nomina di un difensore d’ufficio in quanto la circostanza che il provvedimento avesse ad oggetto misure alternative al trattenimento non escludeva la natura coercitiva delle misure adottate e, conseguentemente, l’impossibilità di elidere il contenuto minimo del diritto di difesa consistente, in primis, nel principio del contraddittorio che, in thesi, era palesemente violato dalla mancata previsione dell’udienza di comparizione delle parti.

1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 1 bis, art. 5 CEDU e dell’art. 7 par. 3 Dir. 2008/115/CE come recepita dal D.L. n. 89 del 2011, convertito in L. n. 129 del 2011 e degli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

2. Assume, al riguardo, che la decisione impugnata era palesemente lesiva del diritto di difesa in quanto, pur dovendosi rispettare l’autonomia procedurale degli Stati, non potevano essere adottati modelli processuali, come quello cartolare, che rendevano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti, laddove dovevano essere riesaminati provvedimenti di natura coercitiva come l’accompagnamento alla frontiera.

3. Con il terzo motivo, si deduce, ancora, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13 bis e art. 14, comma 1 bis e art. 5, comma 6 e successive modifiche, nonchè la mancata applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23; artt. 737 e 738 c.p.c. e della CEDU, nonchè degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione alla assoluta assenza di motivazione dell’ordinanza impugnata, fondata su una statuizione meramente assertiva e laconica.

4. Con il quarto ed il quinto motivo, viene prospettata:

a. la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 1 bis, in relazione all’art. 2 Prot. 4 CEDU: si lamenta che l’assenza di una previsione temporale certa e determinata della misura alternativa imposta si discostava dal principio di legalità convenzionale;

b. la questione di pregiudizialità comunitaria, in merito alla corretta interpretazione degli artt. 12 e 13 della Direttiva CE 115/2008 in relazione agli artt. 47 e 48 della Carta dei Diritti fondamentali UE, recepiti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 1 bis, che prevede, per le misure alternative al trattenimento, la c.d. udienza non partecipata con esclusione del diritto all’ascolto dello straniero ed un esercizio incerto e solo eventuale del contraddittorio.

5. I primi tre motivi devono essere congiuntamente esaminati, in quanto sono strettamente connessi.

5.1. Essi censurano, infatti, il provvedimento impugnato in relazione agli aspetti procedurali, assumendo che la trattazione cartolare prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 1 bis, costituiva una violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, tenuto conto della natura coercitiva del provvedimento che comportava una limitazione della libertà personale imposta senza un preventivo ascolto del soggetto al quale tali limitazioni venivano imposte, con un provvedimento che, oltretutto, era privo di una adeguata motivazione.

5.2. Sulla base delle stesse argomentazioni viene altresì richiesto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della questione concernente il contrasto del rito cartolare previsto dall’art. 14, comma 1 bis T.U.I. – che aveva recepito gli artt. 12 e 13 della Direttiva CE 115/2008 – con gli artt. 47 e 48 della Carta dei Diritti fondamentali in relazione alla natura del provvedimento impugnato.

6. Le prime tre censure proposte sono infondate.

6.1. La Corte Costituzionale, infatti, con sentenza n. 280/2019 ha rigettato la questione sollevata da questa Corte nei medesimi termini prospettati nel caso in esame (cfr. ordinanza di rimessione Cass. 21930/2018) ed ha affermato che la minima incidenza sulla libertà personale della misura alternativa all’obbligo di trattenimento presso il CPR giustificava un rito più flessibile, caratterizzato comunque da sufficienti garanzie quali quelle delineate dagli artt. 3 e 4 del Regolamento (D.P.R. n. 394/1999), richiamate espressamente dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 1 bis.

6.2. E’ stato al riguardo ritenuto che, pur non potendosi negare che la misura alternativa al trattenimento costituisca una forma di limitazione della libertà personale assistita dalle garanzie previste dagli artt. 13 e 21 Cost., “al contempo, la Corte ha rammentato che “il diritto di difesa (…) ammette una molteplicità di discipline, in rapporto alla varietà dei contesti, delle sedi e degli istituti processuali in cui esso è esercitato (sentenza n. 48 del 1994), al punto che la stessa assistenza del difensore può e deve trovare svolgimento in forme adeguate sia alla struttura del singolo procedimento o dell’atto che va adottato (sentenza n. 160 del 1995), sia alle esigenze sostanziali del caso sottoposto all’esame del giudice” (sentenza n. 144 del 1997).

In quella stessa occasione si è osservato, da un lato, che l’obbligo di presentazione presso gli uffici della forza pubblica incide sulla libertà personale dell’interessato in misura assai minore rispetto all’arresto o al fermo di polizia giudiziaria; e, d’altro lato, che nella fattispecie di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 6, comma 3, “la necessità di garantire all’interessato una adeguata difesa va coniugata con la celerità nell’applicazione della misura, condizione necessaria perchè la stessa possa rivelarsi efficace, sì da giustificare, in un equilibrato rapporto fra esigenze in giuoco, l’adozione di forme semplificate attraverso le quali possa esplicarsi il contraddittorio”.

Si è così ritenuto che, a fronte di un provvedimento del questore che imponga l’obbligo di presentazione agli uffici della forza pubblica, le garanzie di cui all’art. 13 Cost. e art. 24 Cost., comma 2, siano sufficientemente tutelate dalla facoltà dell’interessato – desumibile dal disposto dell’art. 121 c.p.p. – di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, appositamente nominato, memorie o deduzioni al giudice per le indagini preliminari. Conseguentemente, la L. n. 401 del 1989, art. 6, comma 3, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella sola parte in cui non prevedeva che il destinatario della misura fosse avvisato di tale facoltà di difesa (sentenza n. 144 de11997).

Le considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza da ultimo citata si prestano a essere trasposte al caso di specie, con le precisazioni che seguono.

L’obbligo di presentazione presso il competente ufficio della forza pubblica in giorni e orari stabiliti, di cui dell’art. 14, comma 1-bis, lett. c) T.U. Immigrazione, pur essendo finalizzato all’espulsione dello straniero, incide sulla libertà personale di quest’ultimo in misura ben più limitata non soltanto rispetto all’arresto e al fermo di polizia, ma anche rispetto al trattenimento in un CPR previsto dall’art. 14, comma 1, T.U. Immigrazione e all’accompagnamento coattivo alla frontiera, contemplato dall’art. 13, comma 4, del medesimo testo normativo; provvedimenti, questi ultimi, la cui convalida avviene in udienza, con la partecipazione necessaria di un difensore, rispettivamente a norma dell’art. 14, comma 4 e art. 13, comma 5-bis, T.U. Immigrazione e in ossequio ai principi stabiliti da questa Corte nella sentenza n. 222 del 2004, secondo cui l’art. 24 Cost., comma 2, esige che lo straniero destinatario del decreto di accompagnamento coattivo sia “ascoltato dal giudice, con l’assistenza di un difensore”.

La più limitata incidenza sulla libertà personale della misura qui all’esame induce a ritenere – sulla scorta della citata sentenza n. 144 del 1997 – non incompatibile con l’art. 13 Cost. e art. 24 Cost., comma 2, il procedimento disegnato dalla disposizione censurata, che prevede un contraddittorio meramente eventuale e cartolare. Ciò anche in ragione del delimitato oggetto del giudizio di convalida, ove il giudice di pace è chiamato a verificare unicamente la sussistenza dei presupposti di adozione della misura e l’esistenza di un provvedimento di espulsione dotato di efficacia esecutiva, con il solo limite già rammentato dell’eventuale “manifesta illegittimità” di quest’ultimo e dell’eventuale sussistenza di ragioni ostative all’espulsione (supra, punto 3.5.).

Nel delineare il procedimento di convalida di cui all’art. 14, comma 1-bis, T.U. Immigrazione, il legislatore non ha d’altra parte trascurato di considerare le difficoltà linguistiche, sociali e culturali – difficoltà sulle quali, pure, non a torto insiste il rimettente – che possono ostacolare le capacità di difesa del cittadino straniero.

Di tali difficoltà, in effetti, il legislatore si fa carico attraverso il richiamo alla normativa regolamentare di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, art. 3, commi 3 e 4, prescrivendo in particolare: che il provvedimento di applicazione della misura dell’obbligo di presentazione sia notificato all’interessato unitamente alla traduzione di una sintesi del suo contenuto in una lingua a lui nota o in lingua inglese, francese o spagnola; che lo straniero sia “informato del diritto di essere assistito da un difensore di fiducia, con ammissione, qualora ne sussistano i presupposti, al gratuito patrocinio a spese dello Stato a norma della L. 30 luglio 1990, n. 217 e successive modificazioni”; e che sia reso edotto che “in mancanza di difensore di fiducia, sarà assistito da un difensore di ufficio designato dal giudice tra quelli iscritti nella tabella di cui al D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 29 e che le comunicazioni dei successivi provvedimenti giurisdizionali saranno effettuate con l’avviso di cancelleria al difensore nominato dallo straniero o a quello incaricato di ufficio”.

Due profili di tale disciplina meritano in proposito di essere specialmente evidenziati in questa sede.

Da un lato, la traduzione del provvedimento del questore, in lingua nota all’interessato o in una delle lingue “veicolari”, risponde a “criteri ragionevolmente funzionali, e nella loro necessaria astrattezza idonei a garantire che, nella generalità dei casi, gli atti della pubblica amministrazione concernenti questa materia siano conoscibili dai destinatari, nel loro contenuto e in ordine alle possibili conseguenze derivanti dalla loro violazione”, restando comunque salva la possibilità per il giudice penale di considerare non integrato il delitto di trasgressione delle prescrizioni imposte con il provvedimento in parola, in conseguenza della mancata comprensione del medesimo da parte del suo destinatario (sentenza n. 257 del 2004).

Dall’altro lato, l’avviso circa la possibilità di beneficiare dell’assistenza del difensore d’ufficio e del patrocinio a spese dello Stato, oggi regolato dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)”, risulta funzionale a consentire al cittadino straniero di determinarsi con sufficiente consapevolezza – sia pure con la ristretta tempistica imposta dal procedimento di convalida – in ordine allo svolgimento di attività difensiva e al ricorso alla difesa tecnica. Ciò naturalmente a condizione che all’avviso si accompagni la comunicazione da parte delle questure, con modalità effettivamente comprensibili per l’interessato (eventualmente anche grazie all’intervento dei mediatori culturali, sulla cui normale presenza presso le questure insiste la stessa Avvocatura generale dello Stato), dei recapiti dei difensori d’ufficio ai quali in concreto rivolgersi nell’ipotesi in cui egli intenda esercitare il proprio diritto a presentare memorie o deduzioni al giudice di pace, anche in relazione alla possibile manifesta illegittimità del provvedimento di espulsione o alla sussistenza di ragioni ostative, ancorchè sopravvenute, all’esecuzione del provvedimento medesimo; sì da assicurare piena effettività al diritto alla difesa tecnica, che il D.P.R. n. 394 del 1999, art. 3, comma 4, riconosce allo straniero sottoposto alle misure di cui alla disposizione censurata.” (cfr. Corte Cost. 280/2019 in motivazione)

6.3. La motivazione sopra riportata esaurisce ogni argomento contrario alla decisione di rigetto ed esclude che possa essere confermato l’opposto principio espresso precedentemente da questa Corte (cfr. Cass. 2997/2018).

6.4. Nè l’esauriente percorso argomentativo sviluppato lascia spazio ai dubbi di compatibilità della norma con i principi sovranazionali richiamati (artt. 41 e 48 CEDU), tenuto conto che il procedimento previsto per la convalida della misura alternativa al trattenimento è applicabile, con le garanzia sopra ricordate dalla Corte Cost., ad una fase meramente esecutiva del provvedimento di espulsione ed è pertanto adottato, in termini meno afflittivi del trattenimento, senza alcuna preclusione del principio del contraddittorio.

6.5. Quanto, poi, alla eccessiva sintesi denunciata della motivazione decreto impugnato, si osserva che, sotto tale profilo, la censura risulta inconducente in quanto non contrappone alcuno specifico rilievo alla decisione criticata, dovendosi comunque rilevare che il controllo di legittimità dei presupposti del provvedimento convalidato risulta dal giudice di pace comunque effettuato.

7. Tanto premesso, rimane da esaminare il quarto motivo con il quale il ricorrente prospetta la questione di legittimità costituzionale della mancata apposizione di un termine alla misura alternativa disposta.

7.1. La questione è manifestamente infondata.

Prendendo le mosse dal ridotto carattere afflittivo della misura che consiste nella imposizione di un prescrizione volta a garantire la permanenza nello stato ospitante sino all’esecuzione dell’espulsione tramite la partenza volontaria (secondo le caratteristiche tratteggiate anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza sopra richiamata), l’assenza di un limite temporale non configura una violazione dell’art. 2 del Prot. 4 della CEDU che, pur precludendo l’imposizione di restrizioni non previste dalla legge, consente quelle necessarie per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale, “giustificate dall’interesse pubblico in una società democratica”: al riguardo, vale solo la pena di rilevare che le misure in esame postulano una condizione del migrante in procinto di essere rimpatriato, la quale consente, pertanto, anche rispetto ai limiti imposti dalla CEDU, il reiterato controllo previsto (anche in termini di possibile protezione) e sostituiscono la misura ben più ben più afflittiva del trattenimento in CPR, dovendosi anche sottolinearne il carattere temporaneo ed alternativo al possibile rimpatrio volontario per il quale il termine previsto (da 7 a 30 giorni) può essere prorogato soltanto per esigenze dello stesso migrante.

7.2. Non risultano pertanto violati i parametri costituzionali e comunitari denunciati.

8. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

9. La mancata difesa della parte intimata esime la Corte dalla decisione sulle spese del giudizio di legittimità, dovendosi precisare che la materia trattata esenta le relative controversie dal pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

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