Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24013 del 24/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 24/11/2016, (ud. 07/11/2016, dep. 24/11/2016), n.24013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5821-2012 proposto da:

G.A. già titolare della Ditta individuale GIMO AUTO,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA EMANUELE GIANTURCO 6, presso

lo studio dell’avvocato FILIPPO SCIUTO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANNA ELVIRA FRANCA MORANDINI giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3/2011 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 20/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/11/2016 dal Consigliere Dott. TRICOMI LAURA;

udito per il ricorrente l’Avvocato SCIUTO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato MELONCELLI che si riporta

agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. G.A., titolare della ditta Gimo Auto, propone ricorso per cassazione fondato su un motivo avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 3/18/11, depositata il 20.01.2011 e non notificata, che ha confermato la prima decisione reiettiva dell’impugnazione dell’avviso di accertamento n. (OMISSIS) per IVA, IRPEF ed IRAP relative all’anno di imposta 2004.

L’avviso di accertamento era seguito ad una verifica fiscale che aveva ricostruito una frode ai danni dell’Erario nell’ambito della quale si collocava la ditta verificata, acquistando, a prezzi inferiori di quelli sostenuti dai primi importatori, autovetture di provenienza comunitaria da fornitori nazionali fittizi, interposti di primo o di secondo livello, che omettevano sistematicamente di versare l’IVA così come la Gimo Auto.

L’Ufficio, tenuto conto dell’inattendibilità delle scritture contabili, aveva proceduto ad accertamento analitico – induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) rideterminando i ricavi mediante l’applicazione al costo del venduto dichiarato del ricarico medio di settore; ai fini IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, aveva recuperato l’imposta illegittimamente detratta in relazione a fatture passive relative ad operazioni soggettivamente inesistenti.

2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

1.2. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 2 e art. 118 disp. att. c.p.c.); lo sviluppo argomentativo del motivo è, tuttavia, incentrato genericamente sull’applicazione del principio del giusto processo in ambito tributario, sull’omessa applicazione delle norme di ermeneutica da parte dei giudici del gravame, non meglio precisate, sulla mancata valutazione da parte degli stessi della sussistenza o meno dell’abuso del diritto, sulla denuncia, sempre in modo non circostanziato, della insufficienza della motivazione per mancata indicazione degli elementi da cui i giudici di appello avrebbero tratto il proprio convincimento, del criterio logico – giuridico e della ratio decidendi. Si procede quindi a criticare la statuizione della CTR laddove ha ritenuto provate delle frodi fiscali a danno dell’Erario, sostenendo che le anomalie riscontrate rispondevano ad una scelta imprenditoriale del G., senza tuttavia chiarire in modo tale circostanza fosse stata provata nel corso del giudizio; si contesta quindi la natura probatoria degli elementi posti a base dell’accertamento e la mancanza di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni, attraverso una pluralità di argomenti, spesso ripetuti ed intrecciati inestricabilmente, prevalentemente astratti e sganciati dallo sviluppo motivazionale della sentenza impugnata.

1.3. Il motivo è inammissibile.

1.4. Giova rimarcare che questa stessa sezione ha stabilito che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in relazione ai quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti” (Cass. 29 luglio 2011, n. 16655).

1.5. Il motivo in esame da un lato finisce col censurare argomentazioni e statuizioni della sentenza a contenuto giuridico e prospetta una erroneità della decisione che avrebbe dovuto confluire in un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; dall’altro critica quanto accertato in fatto dalla CTR senza, tuttavia, indicare i fatti controversi e la decisività degli stessi, ma piuttosto ne sollecita una rivalutazione, di modo da pervenire ad una decisione conforme alle aspettative del contribuente.

Invero la decisione impugnata offre una puntuale ricostruzione del meccanismo fraudolento posto in atto da una pluralità di ditte con la partecipazione della Gimo e individua gli elementi probatori ritenuti rilevanti a carico della stesso Gimo (il breve periodo in cui svolse la sua attività e l’enorme fatturato raggiunto in tale periodo; i luoghi ristretti in cui svolgeva l’attività, incompatibili con la massa di autoveicoli commercializzati; lo svolgimento di attività all’ingrosso; l’acquisto compiuto prevalentemente da fornitori italiani, nonostante gli autoveicoli fossero prevalentemente di importazione da altri Stati della CE; e così via), mentre la doglianza risulta del tutto sganciata dal contenuto della sentenza impugnata.

2.1. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte di cassazione, dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nel compenso di Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2014

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