Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2401 del 03/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/02/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 03/02/2020), n.2401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1666-2019 proposto da:

O.B.E., alias OK.EM.BA., elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA AMERICO CAPPONI, 16, presso lo studio

dell’avvocato CARLO STACCIOLI, che lo rappresenta e difende giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione territoriale per il

riconoscimento della protezione internazionale di Lecce;

– intimato –

avverso il decreto n. 1219/2018 R.G. del TRIBUNALE di LECCE,

depositato il 29/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. VELLA

PAOLA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Lecce ha respintole domande di protezione internazionale, sussidiaria o umanitaria proposte dal cittadino nigeriano O.B.E., alias OK.EM.BA.;

2. il ricorrente ha impugnato la decisione con cinque motivi di ricorso per cassazione, rispetto al quale l’intimato non ha svolto difese;

3. a seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. con il primo motivo si denunzia la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, lett. a, b e c” in quanto “l’udienza di comparizione della parte, in assenza della videoregistrazione del colloquio avanti alla Commissione Territoriale, richiesta dalla difesa del ricorrente nel ricorso introduttivo, doveva essere concessa dal Giudice”;

4.1. la censura è infondata, in quanto è pacifico che l’udienza di comparizione è stata regolarmente fissata e si è tenuta, mentre il tribunale ha ampiamente motivato sulle circostanze che non hanno reso necessaria una “nuova audizione del richiedente”, in assenza di “margini di incertezza contenutistici”, o “profili di contraddittorietà in merito ai quali questi non è stato invitato a rendere chiarimenti”, o l’utilità di porre “domande che l’organo amministrativo non abbia ritenuto di porre”, tanto più per non avere il ricorrente “indicato alcuno specifico aspetto meritevole di essere chiarito mediante ascolto diretto”;

4.2. una simile decisione è conforme all’orientamento di questa Corte per cui “nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero” (Cass. n. 5973/2019; conf. Cass. n. 3029/2019, n. 2817/2019; cfr. Cass. n. 17717/2018, n. 3935/2019).

4.3. tale orientamento è stato di recente ribadito anche con specifico riguardo al giudizio d’appello (Cass. n. 33858/2019), rammentandosi che – come precisato da Corte giust. UE 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko – “la direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva”.

4.4. si tratta di un approdo che, come rilevato dalla stessa Corte di giustizia, è coerente anche con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui lo svolgimento dell’udienza non è necessario quando la causa non prospetti questioni di fatto e di diritto che non possano essere risolte sulla scorta del fascicolo e delle osservazioni scritte delle parti (Corte EDU 12 novembre 2002, Dory c. Suede, 37).

5. con il secondo mezzo si lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e) ed f), nonchè degli artt. 11 e 10 Cost.”, per non avere il tribunale “valutato la gravità delle conseguenze legali cui andrebbe incontro il ricorrente accusato ingiustamente di aver commesso azoni criminali che invece erano imputabili esclusivamente al fratello”;

5.1. la censura è inammissibile poichè non coglie la ratio decidendi espressa sul punto dal Tribunale, fondata sia sulla insussistenza di profili di persecuzione, sia sulla inattendibilità del racconto del ricorrente;

6. il terzo motivo prospetta la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) ed h), nonchè art. 8 e art. 14, lett. c)” con riguardo al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, essendosi il tribunale limitato ad affermare che l’area di provenienza del ricorrente (erroneamente indicata come Imo State invece di Abia State) non sia interessato da fenomeni di violenza tale da rientrare nella relativa fattispecie normativa, quando invece “le fonti normative degli ultimi anni qualificano l’Abia State come una zona ad altissima pericolosità e caratterizzata da una violenza e da un’illegalità diffuse”;

6.1. la censura è infondata, poichè il Tribunale, dopo aver dato atto che il ricorrente all’età di soli tre anni si era dichiaratamente trasferito dall’Abia State all’Imo State, ha escluso la sussistenza dei presupposti della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base di “C.O.I.” affidabili e aggiornate, le cui valutazioni, chiaramente esplicitate a pag. 6 e 7 del provvedimento impugnato, integrano apprezzamenti in fatto incensurabili in questa sede, se non attraverso una censura – qui però non proposta – conforme ai canoni del novellato art. 360 c.p.c., n. 5), i quali postulano l’indicazione di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, di tal che il ricorrente ha l’onere di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf. ex plurimis Cass. 27415/2018);

7. con il quarto mezzo si lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”, per non avere il tribunale indicato i motivi logici in base a quali ha ritenuto non attendibile il racconto del ricorrente;

7.1. la censura è per un verso infondata, in quanto il tribunale ha in realtà chiaramente esplicitato le ragioni in base alle quali ha ritenuto non attendibile la narrazione del richiedente, e per altro verso inammissibile, in quanto il profilo della credibilità del racconto del richiedente (e quindi la sua attendibilità) integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – chiamato segnatamente a valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) – come tale censurabile in cassazione solo nei limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (ex multis, Cass. 3340/2019; cfr. Cass. 27502/2018), applicabile ratione temporis (e anche in questo caso non osservato dal ricorrente), ovvero per assoluta mancanza di motivazione, restando escluse sia la rilevanza della sua pretesa insufficienza, sia l’ammissibilità di una diversa lettura o interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente (ex multis, Cass. 3340/2019); la censura tradisce dunque l’aspirazione ad una diversa valutazione della fattispecie concreta, non consentita in sede di legittimità (ex multis, Cass. 14221/2019, 11863/2018, 29404/2017, 16056/2016);

8. l’ultimo motivo attiene alla “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6” in quanto l’interpretazione data dal Giudice circa l’insussistenza dei presupposti della protezione umanitaria, oltre che apodittica, sarebbe “errata in riferimento ai fatti narrati dal ricorrente e alle valutazioni effettuate dalla Commissione Territoriale”.

8.1. anche questa censura è inammissibile in quanto generica e afferente valutazioni di merito, non mancandosi comunque di richiamare la giurisprudenza di questa Corte per cui “non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti, quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDU 8/4/2008 Ric. 21878 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito)” (Cass. 17072/2018);

9. l’assenza di difese dell’intimato esclude la pronuncia sulle spese.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2020

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