Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24009 del 24/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 24/11/2016, (ud. 07/11/2016, dep. 24/11/2016), n.24009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17766-2010 proposto da:

R.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA VIA G.

PAISIELLO 55, presso lo studio dell’avvocato FRANCO GAETANO SCOCA,

che la rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI MANTOVA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 79/2009 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

BRESCIA, depositata il 18/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/11/2016 dal Consigliere Dott. TRICOMI LAURA;

udito per la ricorrente l’Avvocato LETO per delega dell’Avvocato

SCOCA che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato MELONCELLI che si riporta

agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. R.M.G. propone ricorso per cassazione fondato su quattro motivi e corredato da memoria ex art. 378 c.p.c., avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 79/67/09, depositata il 18.05.2009 e non notificata, che – in parziale accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle entrate – ha rideterminato i redditi della contribuente, con attività di restauratrice, accertati sulla scorta degli studi di settore dall’Amministrazione con avviso di accertamento n. (OMISSIS) relativo ad IVA, IRPEF ed IRAP per l’anno 1999, nella misura del minimo presuntivo pari a L. 113.878.000.

2. Il giudice di appello ha osservato che l’applicazione dello studio di settore portava con sè delle presunzioni circa il reddito minimo che potevano essere vinte dal contribuente, su cui gravava l’onere della prova contraria, anche in base a presunzioni gravi, precise e concordanti. Ha ridotto quindi il reddito accertato alla luce di un computo formulato dalla stessa contribuente, con il quale alcuni costi erano stati ripartiti su più annualità in ragione del periodo di esecuzione dei lavori di restauro.

3. L’Agenzia replica con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

2.1. Primo motivo – Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36, 49 e 53, nonchè dell’art. 53 Cost., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – Violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) Erroneità e/o contraddittorietà della motivazione per travisamento dei fatti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Con i tre sotto motivi la ricorrente lamenta un travisamento dei fatti da parte della CTR in merito al suo presunto riconoscimento di un reddito pari a Lire 113.878.000, superiore a quello dichiarato di Lire 93.000.000, laddove invece la prima cifra era stata solo esemplificativamente indicata come risultato di una simulazione diretta a dimostrare la erroneità nell’applicazione dello studio di settore.

1.2. La doglianza è inammissibile per carenza di autosufficienza.

Invero la parte privata fonda tutta la complessa censura su una circostanza, e cioè il travisamento di quanto da sè medesima esposto nei precedenti gradi di giudizio; tuttavia non provvede a trascrivere, almeno nei punti salienti, i relativi atti di modo da consentire alla Corte di vagliarne la fondatezza e, segnatamente, di verificare la effettiva ricorrenza del denunciato travisamento, che costituisce il punto centrale di tutti i quesiti.

2.1. Secondo motivo – Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, (conv. con mod. in L. n. 427 del 1993, degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., della L. n. 146 del 1998, art. 10, nonchè degli artt. 3, 24 e 53 Cost. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La ricorrente chiede di sapere come operi e come sia ripartito l’onere della prova nella procedura di accertamento mediante l’applicazione degli studi di settore e se l’automatica applicazione degli studi di settore comporti la denunciata violazione di legge.

2.2. Il motivo è inammissibile.

2.3. Occorre premettere che la sentenza impugnata, in quanto pubblicata in data 27.06.2009 – ossia nel periodo compreso tra il 2 marzo 2006 ed il 4 luglio 2009, intercettato dalla disciplina transitoria di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5 – è soggetta al regime (successivamente abrogato) dell’art. 366 – bis c.p.c., il quale è stato fatto oggetto di approfondita ed ormai consolidata lettura ermeneutica ad opera di questa Corte.

2.4. In particolare, i motivi riconducibili all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, devono essere corredati – sempre a pena di inammissibilità – da appositi “quesiti di diritto” contenenti: a) una sintesi degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) l’indicazione della regola di diritto da questi applicata; c) la diversa regola di diritto ritenuta da applicare; il tutto in modo tale che il giudice di legittimità, nel rispondere al quesito, possa formulare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in diversi casi (Cass. SSUU, nn. 2658 e 28536 del 2008, n. 18759 del 2009; Cass. n. 22704 del 2010, n. 21164 del 2013, nn. 11177 e 17958 del 2014).

2.5. Ne consegue che nel caso di specie è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame (Cass. SU n. 6420/2008).

3.1. Terzo motivo – Violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Omessa motivazione in ordine alle eccezioni e/o argomentazioni difensive svolte in seconde cure dalla odierna ricorrente (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Secondo la ricorrente la CTR avrebbe errato a non considerare le sue controdeduzioni e/o allegazioni introdotte in giudizio sin dal primo grado, nonchè a motivare in maniera idonea e coerente sulla loro inidoneità probatoria.

3.2. Il motivo, accompagnato solo dal quesito relativo alla violazione dell’art. 112 c.p.c., è inammissibile.

La CTR, sia pure in modo sintetico, si è pronunciata sui temi di causa e la censura, generica e segnata da una ampia carenza di autosufficienza, in quanto non illustra le eccezioni e/o argomentazioni che sarebbero state pretermesse e la loro decisività, non appare riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. La prospettazione come vizio motivazionale è priva del necessario momento di sintesi.

4.1. Quarto motivo – Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e/o violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per omessa pronuncia derivante dalla mancata disamina dell’eccezione fondata sul D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2, e art. 57, comma 2, o, in subordine, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2, e art. 57, comma 2, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La ricorrente lamenta che la CTR non abbia esaminato la eccezione spiegata dalla ricorrente in appello avverso argomentazioni sollevate dall’Agenzia delle entrate per la prima volta in secondo grado, in violazione del divieto di introdurre nuove eccezioni, con conseguente nullità della sentenza ed articola due quesiti numerati 1) e 3).

4.2. Il motivo è inammissibile

4.3. Va ribadito in questa sede, il principio secondo il quale “L’inammissibilità è una invalidità specifica delle domande e delle eccezioni delle parti ed è pronunciata nel caso in cui manchino dei requisiti necessari a renderle ritualmente acquisite al tema del dibattito processuale. Pertanto, se il giudice di merito omette di pronunciarsi su un’eccezione di inammissibilità, la sentenza di merito non è impugnabile per l’omessa pronuncia o per la carenza di motivazione, ma unicamente per l’invalidità già vanamente eccepita, in quanto ciò che rileva non è il tenore della pronuncia impugnata, bensì l’eventuale esistenza appunto di tale invalidità.” (15843/2015) e in sede di impugnazione, non rileva nè l’omessa pronuncia su di un’eccezione di inammissibilità, nè l’omessa motivazione su tale eccezione, atteso che solo l’effettiva esistenza dell’inammissibilità denunciata sarebbe idonea a determinare la decisione del giudice del gravame che, accogliendo le richieste in relazione alle quali l’eccezione è stata formulata, l’ha implicitamente rigettata (Cass. n. 13425/2016).

4.4. Nel caso in esame la censura riguarda solo la presunta omessa pronuncia del giudice di appello e non la effettiva esistenza della inammissibilità denunciata, e cioè la novità delle argomentazioni svolte in appello dalla Agenzia, come si evince dai due quesiti posti a corredo, di guisa che la stessa è inammissibile. Va peraltro rimarcata anche la carenza di autosufficienza del motivo, sviluppato sostanzialmente sulla prospettazione di parte.

5.1. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. La condanna alle spese segue la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte di cassazione, dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nel compenso di Euro 2.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2016

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