Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24007 del 23/10/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 24007 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 28878-2007 proposto da:
ELDOFIN SA (già ELDOFIN HOLDING S.A.), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA VIA DELLA SCROFA 57, presso lo
studio dell’avvocato PIZZONIA GIUSEPPE, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
2012
2428

ZOPPINI GIANCARLO, RUSSO CORVACE GIUSEPPE giusta
delega a margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro

Data pubblicazione: 23/10/2013

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

controricorrente

avverso la sentenza n. 90/2006 della COMM.TRIB.REG.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/12/2012 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato ZOPPINI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato MELILLO che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di MILANO, depositata il 22/09/2006;

PREMESSO IN FATTO.
1. Con sentenza n. 90/36/06, depositata il 22.9.06, la
Commissione Tributaria Regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate Ufficio Monza 2 avverso la decisione di primo grado, con
la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla Eldofin s.a. nei confronti degli avvisi di accertamento
emessi ai fini IRPEG ed ILOR per gli anni 1994-1999, nonchè ai fini dell’imposta sul patrimonio per l’anno 1994,
con i quali si contestava alla società l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.
2. La CTR riteneva, invero, in riforma della decisione di
prime cure, di dover affermare: a) la legittimità della
produzione in appello di nuovi documenti ex art. 58
d.lgs. 546/92; b) la sussistenza di elementi presuntivi
gravi, precisi e concordanti, circa il fatto che la contribuente – società finanziaria di diritto lussemburghese
– fosse, in realtà, fiscalmente residente in Italia; c)
l’infondatezza delle doglianze della Eldofin s.a. circa
la prescrizione delle sanzioni e la pretesa duplicazione
degli accertamenti, in violazione dell’art. 43 d.P.R.
600/73; d) l’utilizzabilità dei documenti acquisiti in
sede di accesso autorizzato presso il domicilio di soggetto diverso dalla contribuente.
3. Per la cassazione della sentenza n. 90/36/06 ha proposto ricorso l’Eldofin s.a. affidato ad undici motivi, ai
quali l’Amministrazione ha replicato con controricorso.
La ricorrente ha prodotto memoria ex art. 378 c.p.c.
OSSERVA IN DIRITTO.
1. Con il primo, secondo, terzo, quarto, quinto e settimo
motivo di ricorso – che, per la loro stretta connessione,
vanno trattati congiuntamente – la Eldofin s.a. denuncia
la nullità dell’impugnata sentenza per difetto assoluto
di motivazione, ai sensi degli artt. l e 36 d.lgs. 546/92
e 132, co, 2 c.p.c., e l’insufficiente motivazione su
fatti decisivi della controversia, in relazione all’art.
360 nn. 4 e 5 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 33 d.P.R. 600/73, 58 d.lgs.
546/92, 2697 e 2729 c.c. e 112 c.p.c., in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c.
1.1. Osserva, anzitutto, la ricorrente che la sentenza di
appello sarebbe fondata su asserzioni del tutto apodittiche, non avendo la CTR adeguatamente evidenziato le ragioni del proprio convincimento, né considerato i diversi
ordini di ragioni, di segno contrario, opposti dalla contribuente alla pretesa fiscale avanzata dall’ Amministrazione finanziaria. Inoltre, la CTR avrebbe preso in esame
nel loro insieme i documenti versati in atti, omettendo
di operarne un esame analitico, e con riferimento specifico a ciascuna annualità di imposta, al fine di stabilire in concreto se effettivamente la Eldofin s.a. avesse
avuto la residenza fiscale in Italia per tutti i periodi
di imposta in contestazione.
1.2. Si duole, inoltre, la ricorrente del fatto che il
giudice di appello abbia fondato la decisione circa la
legittimità degli atti impositivi impugnati su elementi
di prova documentale raccolti nel corso di una verifica

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presso altro contribuente (la Candy Elettrodomestici
s.r.1.), sebbene nessuna autorizzazione, ex artt. 33
d.P.R. 600/73 e 52 d.P.R. 633/72,fosse stata mai rilasciata all’acquisizione di tali documenti ai fini
dell’accertamento nei confronti della Eldofin s.a.
Siffatta documentazione, poi, sarebbe stata prodotta
dall’Ufficio per la prima volta in grado di appello, in
palese violazione del disposto dell’art. 58 d.lgs.
546/92.
1.3. La CTR avrebbe, infine, omesso di pronunciarsi sulla
questione relativa alla nullità degli avvisi di accertamento impugnati per difetto di motivazione, non essendosi
in alcun modo espressa sulle deduzioni svolte, al riguardo, dalla contribuente nei propri scritti difensivi.
2. Le censure suesposte sono infondate e vanno disattese.
2.1. Va anzitutto rilevato, infatti, che del tutto erroneo si palesa l’assunto della Eldofin s.a., secondo cui
la CTR avrebbe illegittimamente posto a fondamento della
decisione documenti prodotti dall’Amministrazione solo
nel giudizio di appello, e non anche in quello di prime
cure. Secondo l’insegnamento di questa Corte, infatti, in
materia di produzione documentale in grado di appello nel
processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall’art. l, co. 2, del d.lgs. 546/92, – in
forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima – non trova applicazione la preclusione, di cui
all’art. 345, co. 3 c.p.c., alla produzione di documenti
nel secondo grado del giudizio. La materia è – per vero regolata in via speciale dall’art. 58, co. 2, del citato
d.lgs., che consente alle parti di produrre liberamente
documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti
al giudizio svoltosi in primo grado (Cass. 18907/11), ed
a nulla rilevando neppure l’eventuale irritualità della
loro produzione in prime cure (Cass. 23616/11).
2.2. Del tutto infondata, poi, si palesa la censura relativa alla pretesa irrituale acquisizione degli elementi
documentali a carico della ricorrente, per essere stati
detti documenti acquisiti nel corso di una verifica fiscale eseguita nei confronti della Candy Elettrodomestici
s.r.1., soggetto diverso e distinto da Eldofin s.a., e
senza che i militari disponessero della necessaria autorizzazione a procedere nei confronti di quest’ultima.
Va – difatti – osservato, in proposito, che il provvedimento di autorizzazione alla perquisizione domiciliare di
un soggetto, emesso, su richiesta dell’ufficio IVA, dalla
competente Procura della Repubblica, ex art. 52 del
d.P.R. 633/1972 e 33 d.P.R. 600/73, allo scopo di acquisire documentazione fiscale relativa al soggetto stesso,
consente di acquisire, in tale domicilio, anche ulteriori
documenti di pertinenza di soggetti diversi, pur se non
menzionati nel provvedimento di perquisizione. Ed invero,
la “ratio” ispiratrice della previsione normativa di cui
alle disposizioni succitate è quella di tutelare il diritto del soggetto nei cui confronti l’accesso viene richiesto, e non quello di creare una sorta di immunità

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dalle indagini in favore di terzi, siano essi conviventi,
o meno, con l’interessato (Cass. 2775/01, 19837/05).
Sicché del tutto legittimamente, dapprima l’ Amministrazione finanziaria, dipoi il giudice di seconde cure, hanno posto a fondamento, rispettivamente, dell’emissione e
della valutazione di legittimità degli avvisi di accertamento oggetto 01 presente giudizio, la documentazione
acquisita dalla Guardia di Finanza presso un soggetto diverso dalla Eldofin s.a.
2.3. In relazione alla documentazione di cui sopra – una
volta stabilita la sua piena utilizzabilità, per le ragioni suesposte – la ricorrente ha ancora dedotto che il
giudice di appello avrebbe preso erroneamente in esame
nel suo insieme e non specificamente, documento per documento, la copiosa documentazione versata in atti
dall’amministrazione finanziaria. Di più, la CTR sarebbe
pervenuta – del tutto illegittimamente, a parere della
contribuente – al convincimento della sussistenza di una
residenza fiscale in Italia della Eldofin s.a., considerando a tal fine cumulativamente, per tutti gli anni di
imposta oggetto dell’accertamento (1994-1999), le prove
documentali fornite dall’Ufficio in giudizio, senza operare un’analisi delle stesse anno per anno. Il che concreterebbe, altresì, ad avviso della contribuente, una
palese violazione del principio di autonomia dei periodi
di imposta, enunciato dall’art. 7 d.P.R. 917/86.
Ma non basta. A parere della Eldofin s.a., il giudice di
seconde cure avrebbe, inoltre, reso la sua decisione circa l’assoggettabilità della Eldofin al regime fiscale
italiano, per avere la medesima la propria sede amministrativa in Italia – fondandosi su affermazioni del tutto
apodittiche, e senza dare conto analiticamente delle prove documentali e di tutte le allegazioni difensive, di
segno contrario, addotte in giudizio dalla contribuente.
2.3.1. Premesso quanto precede, va osservato che ai sensi
dell’art. 87, co. 3 (ora art. 73, co. 3) del d.P.R.
917/86 (nel testo previgente, temporalmente applicabile
alla fattispecie) “ai fini dell’imposta sul redditi si
considerano residenti le società e gli enti che per la
maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale
o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel
territorio dello Stato”. Come esattamente rilevato dalla
CTR, dunque, al fine di stabilire se una società o un ente possano considerarsi residenti ai fini dell’imposta
sui redditi, è necessario e sufficiente, ai sensi della
norma succitata, che si verifichi almeno uno dei tre requisiti previsti dalla medesima disposizione, e cioè che,
per la maggior parte del periodo di imposta, i soggetti
suindicati abbiano nel territorio dello Stato: a) la sede legale (ossia quella fissata nell’atto costitutivo o
nello statuto); b) la sede dell’amministrazione (ovverosia la sede effettiva dell’ente); c) l’oggetto principale
(e cioè l’attività economica prevalentemente esercitata
per conseguire lo scopo sociale).
Ebbene – come rilevato dalla CTR – “nel caso che ci occupa l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto di individuare nel territorio dello Stato il luogo di direzione

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effettiva della società”, e tale luogo è stato individuato in quello nel quale sono state prese ed elaborate le
decisione più importanti per la conduzione dell’impresa
societaria.
Ciò posto, va rilevato che la “sede dell’ amministrazione”, come si esprime la norma dell’art. 87 d.P.R. 917/86,
è quella da cui provengono gli impulsi volitivi inerenti
all’attività di gestione dell’ente. Essa rappresenta, in
altri termini, il momento essenziale nello svolgersi della vita della società, nel quale i rapporti a contenuto
patrimoniale della stessa vengono voluti ed economicamente determinati. Questa Corte ha – in tal senso – più volte affermato che, ai fini dell’equiparazione di fronte ai
terzi, ex art. 46 c.c., della sede effettiva della persona giuridica alla sede legale, deve intendersi per sede
effettiva il luogo in cui hanno concreto svolgimento le
attività amministrative e di direzione dell’ente ed ove
operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti.
Tale sede viene a costituire, dunque, il luogo deputato o
stabilmente utilizzato, per l’accentramento dei rapporti
interni e con i terzi, degli organi e degli uffici in vista del compimento degli affari e della propulsione
dell’attività economica dell’ente (cfr. Cass. 7037/04,
6021/09).
2.3.2. Ebbene, nel caso concreto, la CTR ha fondato la
sua decisione circa la sede in Italia della Eldofin utilizzando le conclusioni dell’avviso di accertamento,
che a sua volta aveva fatto proprie le risultanze delle
indagini della Guardia di Finanza, nonché rifacendosi
agli elementi di prova documentale versati in atti – basandosi sui seguenti essenziali elementi:
a) sul rilievo che tutte le decisioni più importanti della società Eldofin erano state prese, negli anni oggetto
di accertamento, dai suoi amministratori in Italia;
b) sulla considerazione che, dai documenti acquisiti e
dalle verifiche operate dalla Guardia di Finanza, era
possibile desumere che i più importanti ordini e direttive, essenziali per la vita dell’ente, erano stati impartiti dall’Italia;
c) sulla constatazione – desumibile dagli elementi suindicati – che le comunicazioni più importanti inviate via
fax risultavano spedite da Brugherio, sede della Candy
Elettrodomestici s.r.1., società italiana che detiene il
60% del capitale sociale della Eldofin s.a., mentre il
restante capitale è detenuto da altre società italiane;
d) sul fatto che alla volontà dell’amministratore delegato della società (Maurizio Fumagalli, cittadino italiano)
era stata subordinata “ogni decisione anche con riguardo
alla gestione ordinaria della società”, tanto che – ha
rilevato la CTR – in sostanza, senza un’autorizzazione
del medesimo, “nulla poteva essere fatto dagli organi amministrativi societari esteri”.
Alla stregua degli elementi suesposti, pertanto, e rilevato che la contribuente non aveva “offerto esauriente
prova del contrario”, il giudice di appello ha ritenuto
raggiunta – in via presuntiva ex art. 2729 c.c. – la pro-

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va che la gestione effettiva della società Eldofin s.a.
avvenisse in Italia, negli anni oggetto di accertamento.
2.3.3. Tanto premesso, osserva la Corte che non possono,
di certo, ritenersi ravvisabili, nella decisione impugnata, i vizi di motivazione dedotti dalla ricorrente.
L’impianto motivazionale della sentenza in esame appare,
infatti, dotato di quei requisiti, relativi all’ indicazione del percorso logico seguito dal giudicante e
all’individuazione delle fonti del suo convincimento, che
questo giudice di legittimità ha più volte indicato come
essenziali ai fini della validità della motivazione della
sentenza di merito (cfr., ex plurimis, Cass. 12664/12,
7347/12). Il giudice di appello ha, per vero, esposto
compiutamente – come dianzi indicato – gli elementi indiziari e presuntivi sui quali ha ritenuto di fondare la
propria decisione, indicando anche le fonti dalle quali
detti elementi sono stati desunti.
Né può costituire vizio dell’impugnata sentenza – contrariamente a quanto assume la ricorrente – il fatto che tale copiosa documentazione (elencata da entrambe le parti
nei rispettivi atti difensivi del presente giudizio di
legittimità) sia stata richiamata nel suo insieme e valutata nella sua globalità, senza scinderne l’analisi documento per documento. Non v’è dubbio, infatti, che rientri
nella discrezionalità del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità, considerare nel loro insieme
una serie di documenti, onde inferirne elementi utili ai
fini del giudizio. Per il che, qualora detto giudice abbia considerato complessivamente il contenuto dei diversi
documenti prodotti nel processo, il medesimo non è, poi,
tenuto a motivare analiticamente su ciascuno di questi; e
siffatta opzione metodologica non è censurabile in cassazione, sotto il profilo del vizio di motivazione, qualora
il giudicante – come è accaduto nel caso concreto – abbia
esposto coerentemente le ragioni e le fonti del proprio
convincimento, discutendo i punti essenziali della controversia (cfr. Cass. 1298/73).
D’altro canto, è del tutto evidente – e di tanto non dubita, in verità, neppure la ricorrente, che si è limitata
a contestare la sussistenza, nella specie, della gravità,
precisione e concordanza degli elementi presuntivi posti
a base della decisione – che in subiecta materia sia del
tutto legittimo il ricorso alla prova presuntiva, ex
artt. 2727 e ss. c.c. Essa costituisce, invero, una prova
“completa”, alla quale il giudice di merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva, nell’esercizio
del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli
di individuare le fonti di prova, di verificarne
l’attendibilità e di scegliere, tra gli elementi probatori acquisiti, quelli più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione (Cass. 4743/05,
9108/12). Ne discende che, una volta scartati tra i vari
elementi indiziari quelli intrinsecamente privi di rilevanza come prova dei fatti, e prescelti, invece, quelli
che, singolarmente considerati, presentino una – almeno
potenziale – efficacia probatoria, il giudice di merito
non potrà che procedere ad una valutazione complessiva di

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tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se
essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in
grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari
non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando
atomisticamente uno o alcuni di essi (Cass. 19894/05,
9108/12).
Alla luce di tali affermazioni di principio, non è, pertanto, in alcun modo censurabile il modus procedendi seguito, nel caso specie, dalla CTR, laddove – esaminata la
copiosa documentazione in atti e vagliate le opposte allegazioni difensive delle parti – ha fondato la decisione
sul complesso di elementi indiziari precisi, gravi e concordanti suesposti e rappresentati (come specificato dalla stessa Eldofin nel ricorso): 1) dalla detenzione della
totalità delle partecipazioni della odierna ricorrente da
parte di società tutte residenti in Italia; 2)
dall’esistenza di membri del consiglio di amministrazione
della Eldofin residenti in Italia (appartenenti alla
stessa famiglia), ed investiti delle decisioni più importanti per la vita dell’ente; 3) dalla localizzazione della sede legale della contribuente presso società domiciliatarie lussemburghesi, prive di autonomia decisionale,
sicchè la contribuente è risultata carente di una effettiva sede amministrativa all’estero. Ebbene, siffatti
elementi, valutati nel loro insieme, hanno correttamente
indotto la CTR a concludere che, al di la della formale
ed apparente localizzazione della società in Lussemburgo,
ci si trovasse in presenza di un ente da ritenersi residente in Italia, ai sensi dell’art. 87, co. 3 d.P.R.
917/86 (nel testo applicabile ratione temporis).
2.3.4. Del tutto fuori luogo ed inconferente, poi, si palesa al riguardo il riferimento operato dalla Eldofin
s.a. al principio di autonomia dei periodi di imposta,
che sarebbe – a suo parare – violato dall’arbitraria unificazione del giudizio, sostanzialmente operata dal giudice di appello, laddove ha ritenuto che la situazione
della società, quanto alla sua effettiva residenza in
Italia, dovesse essere necessariamente la stessa nei diversi periodi di imposta (1994-1999) oggetto di accertamento. Di contro, ad avviso della ricorrente, la CTR
avrebbe dovuto evidenziare, in relazione ad ogni diverso
esercizio, le ragioni che la inducevano a ritenere integrato il requisito dell’esistenza in Italia della sede
effettiva della società per la maggior parte del periodo
di imposta, a norma della disposizione succitata.
Orbene, deve osservarsi, in proposito, che il periodo di
imposta individua la dimensione temporale della fattispecie imponibile, ovverosia – come significativamente si è
espressa la dottrina – il segmento temporale in cui isolare e circoscrivere, ai fini dell’imposizione periodica,
il continuum rappresentato dall’attività produttiva di
reddito imponibile. La determinazione e la tassazione del
reddito, difatti, non possono che essere suddivise in periodi di imposta dalla durata determinata (l’anno solare,
ai fini IRPEF per le persone fisiche e le società di persone, l’anno sociale per i soggetti passivi dell’IRES),
atteso che, per esigenze finanziarie dello Stato, il red-

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dito non potrebbe essere misurato alla fine della vita
del contribuente. E, d’altra parte, lo stesso principio
di capacità contributiva ex art. 53 Cost. non vale di
certo a radicare un diritto del contribuente alla valutazione globale della capacità contributiva riferita
all’intero arco della sua esistenza, ma solo a determinare la necessità di un collegamento tra i diversi periodi
di imposta, per tutte quelle situazioni che hanno rilievo
in periodi differenti oltre a quello in cui emergono. Tra
di esse rientrano, ad esempio, le perdite per il reddito
di impresa (art. 8, co. 3 d.P.R. 917/86, e 102 nel testo
applicabile
ratione temporis)
e la compensazione
dell’eccedenza determinata da credito di imposta (art.
11, co. 3 dello stesso decreto e 94 nel testo previgente), che per la loro attitudine a produrre effetti per
più periodi di imposta, sono considerate dal legislatore
come eccezioni al principio dell’autonomia dei periodi di
imposta (artt. 7, co. 1 e 90 decreto cit., nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie concreta).
Stando così le cose, è evidente che il principio di autonomia dei periodi di imposta, enunciato dalla norma succitata in materia di imposte sui redditi, si traduce
esclusivamente nella tendenziale indifferenza, con salvezza delle eccezioni suindicate, della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato
periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di
fuori dello stesso (Cass.S.U. 13916/06, Cass. 9512/09).
Se ne deve necessariamente inferire la totale estraneità
a tale principio – poiché volto a presidiare l’autonomia
di ciascuna obbligazione tributaria, relativa ai singoli
periodi di imposta, da fatti che riguardino periodi diversi – dell’individuazione, ai fini della tassazione e,
quindi, dell’attribuzione di una soggettività passiva
tributaria, del criterio di collegamento effettivo di un
determinato soggetto con il territorio dello Stato italiano, cui mira la disciplina di cui all’art. 87, co. 3
(ora 73, co. 3) d.P.R. 917/86). Tale criterio può essere,
pertanto, in difetto di elementi di prova di segno opposto provenienti dal contribuente, individuato una volta
per tutte anche con riferimento a più annualità di imposta, fino a quando non emergano fatti che ne impongano il
superamento.
2.3.5. Neppure coglie nel segno, inoltre, la doglianza
della Eldofin s.a., relativa al fatto che la CTR non abbia espressamente ed analiticamente preso in esame tutte
le deduzioni e gli elementi di prova da essa addotti a
sostegno delle proprie difese. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, ai fini di una corretta decisione adeguatamente motivata, il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a
confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle
parti. Ai fini di escludere vizi della motivazione, infatti, è sufficiente che il giudicante, dopo avere vagliato nel loro complesso le diverse risultanze acquisite
agli atti del giudizio, nonché le tesi difensive prospettate dalle parti, indichi gli elementi sui quali intende

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fondare il suo convincimento e l'”iter” logico seguito
nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie
conclusioni, implicitamente disattendendo quelli morfologicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr.
Cass. 14972/06).
Ne consegue che, nel caso concreto, non è censurabile la
sentenza di seconde cure che, dopo avere complessivamente
ed adeguatamente valutato – come dianzi detto – i diversi
elementi di prova acquisiti al giudizio, è pervenuta alla
conclusione dell’infondatezza delle allegazioni difensive
proposte dalla Eldofin s.a., mediante individuazione e
specificazione delle opposte ragioni dell’Amministrazione
ritenute condivisibili, con ciò implicitamente negando
rilievo a quelle, di segno contrario, offerte dalla contribuente.
2.3.6. Quanto alla pretesa omissione di pronuncia della
CTR sulla questione relativa al difetto di motivazione
degli atti impugnati, basti rilevare che tutte le violazioni ascritte alla contribuente negli avvisi di accertamento – come dalla stessa riconosciuto in ricorso (pp. 4,
128-129) attengono all’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, conseguente alla pretesa fissazione
della residenza fiscale della medesima in Lussemburgo. Di
conseguenza la motivazione degli atti impositivi – come
evidenziato nell’impugnata sentenza, nonché dalla stessa
Eldofin in ricorso (pp. 12-13) – non poteva che riguardare gli elementi – sopra evidenziati – in base ai quali la
medesima era stata considerata soggetta ad imposizione in
Italia, poiché sostanzialmente residente nel territorio
nazionale; e su tali elementi – come dianzi detto – la
CTR si è adeguatamente soffermata, pronunciandosi, quindi, espressamente sulla questione proposta, al riguardo,
dalla contribuente.
3. Con il sesto motivo di ricorso, la Eldofin s.a. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione
all’art. 360 n. 4 c.p.c.
3.1. La CTR avrebbe, invero, omesso di pronunciarsi, ad
avviso della ricorrente, sulla doglianza afferente alla
pretesa inesistenza della notificazione degli avvisi di
accertamento impugnati, poiché notificati in Italia e
precisamente in Brugherio ove ha sede la Candy Elettrodomestici s.r.1., società che detiene la maggioranza del
capitale sociale della odierna contribuente. I suddetti
atti impositivi, invero, avrebbero dovuto essere notificati – a parere della ricorrente – presso la sede della
Eldofin ossia in Lussemburgo, per cui tale radicale vizio
di notificazione – discendente dall’essere stata la notifica effettuata in luogo che non ha nessuna attinenza con
il destinatario della stessa – non potrebbe ritenersi
neppure sanata, a parere della ricorrente, per effetto
dell’avvenuta impugnazione degli avvisi di accertamento.
3.2. La censura è del tutto infondata.
3.2.1. Va osservato invero, al riguardo, che il vizio di
omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile solo allorquando manchi completamente, nella
sentenza impugnata, l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado. Tale violazione non ricorre, invece,

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nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione
su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la
domanda che si assume pretermessa, come nel caso – ricorrente nella specie – in cui il giudice di secondo grado
ritenga la questione, dedotta dalla parte che si duole
dell’omessa pronuncia, irrilevante ai fini della decisione poiché assorbita nella sentenza da altra questione
avente carattere dirimente, che renda, pertanto, del tutto inutile l’esame della censura in questione (cfr. Cass.
16254/12, 11756/06).
3.2.2. Ciò posto, non può revocarsi in dubbio, a giudizio
della Corte, che nel caso concreto non possa ravvisarsi
alcuna omissione di pronuncia, al riguardo, da parte della CTR, atteso che la questione della pretesa inesistenza
della notifica degli atti impositivi è rimasta assorbita,
nella decisione di seconde cure, da quella
dell’individuazione della sede della Eldofin. E difatti,
una volta accertato dal giudice di appello che detta sede
era in Italia, è di chiara evidenza che la questione della validità della notifica ivi avvenuta è rimasta inevitabilmente assorbita da tale statuizione.
4. Con l’ottavo motivo di ricorso, l’Eldofin s.a. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 40,
co. 1, 42 e 43, co. 3 del d.P.R. n. 600/73, in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c.
4.1. Avrebbe errato la CTR, a parere della ricorrente, a
ritenere legittima la notifica di due separati avvisi di
accertamento per l’anno 1994, il primo ai fini
dell’imposta patrimoniale, il secondo ai fini delle imposte dirette (IRPEG ed ILOR), sul presupposto che i due
atti impositivi avevano avuto ad oggetto il medesimo imponibile e, pertanto, nessun accertamento in aumento si
sarebbe verificato, ai sensi dell’art. 43 d.P.R. 600/73.
Di contro, ad avviso della contribuente, l’esercizio da
parte dell’Amministrazione di una seconda attività di accertamento concernente il medesimo contribuente e lo
stesso anno di imposta ai quali si era riferita la prima,
ed espletata al fine di integrare o modificare in aumento
quest’ultima, postula, ai sensi dell’art. 43, co. 3
d.P.R. 600/73, la “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” da parte dell’Ufficio, da indicarsi nel secondo
atto impositivo – unitamente agli atti o fatti attraverso
i quali sono venuti a conoscenza dell’Amministrazione
“a pena di nullità”. Per cui, ad avviso della Eldofin,
non essendo stata allegata dall’Ufficio la sopravvenuta
conoscenza di nuovi elementi, del tutto erronea, alla
stregua dei parametri normativi suindicati, sarebbe
l’impugnata sentenza, nella parte in cui ha ritenuto legittima l’adozione dei due avvisi di accertamento, nei
confronti dello stesso contribuente e per il medesimo periodo di imposta.
4.2. Il motivo di ricorso è infondato e va disatteso.
4.2.1. Ed invero, va rilevato – in proposito – che
l’integrazione o la modificazione in aumento dell’ originario avviso di accertamento, condizionate alla conoscenza di elementi sopraggiunti, a norma dell’art. 43 d.P.R.
600/73, si verifica solo allorquando l’Amministrazione

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provveda ad integrare l’originario avviso di accertamento, sulla scorta di elementi sopravvenuti tali da integrare una pretesa tributaria diversa rispetto a quella
originaria, ma pur sempre strettamente correlata a
quest’ultima. Deve, invero, considerarsi al riguardo che
la disciplina dell’accertamento officioso da parte
dell’Amministrazione finanziaria è ispirata al criterio
della “globalità” dell’atto impositivo, dalla medesima
posto in essere nei confronti del contribuente.
La disciplina di tale atto è, difatti, diretta a soddisfare due esigenze, opposte ma complementari: a) quella
dell’efficienza ed economicità dell’attività amministrativa, che richiede la concentrazione, ove possibile, della pretesa tributaria in un atto unico e globale; b)
quella di tutela dell’interesse del contribuente, che
viene esposto a maggiori costi e disagi, se la pretesa
fiscale è frammentata in una pluralità di atti, dovendo
ciascuno di essi essere impugnato con separato ricorso.
Per i suesposti ordini di ragioni, dunque, la legge richiede che l’Amministrazione consumi – almeno tendenzialmente – il proprio potere di accertamento nell’atto impositivo emesso, in relazione agli elementi posti a sua disposizione (Cass. 10526/06), fatta salva la sola ipotesi
in cui vengano ad emergere “nuovi elementi”, che consentano – ma pur sempre in relazione alla pretesa tributaria
già manifestata – di integrare o sostituire quella stessa pretesa mediante l’emissione di un nuovo avviso di accertamento.
4.2.2. Se ne deve, pertanto, necessariamente inferire con riferimento al caso di specie – che tale ipotesi di
integrazione o sostituzione dell’originario avviso di accertamento, con altro emesso in relazione agli stessi
presupposti, ma sulla base di nuovi elementi ex art. 43,
co. 3 d.P.R. 600/73, non ricorre nel caso in cui, come
nella specie, ci si trovi in presenza di due atti coevi
che abbiano ad oggetto imposte diverse, fondate su presupposti differenti e dirette a colpire manifestazioni
diverse di capacità contributiva.
Non può revocarsi in dubbio, infatti, che l’imposta sul
patrimonio netto delle imprese – istituita dall’art. l
d.l. n. 394/92, convertito nella 1. n. 461/92, e poi abolita dall’art. 36 del d.lgs. n. 446/97 (con effetto
dall’1.1.98) sia del tutto differente, sotto i profili
suindicati, dalle imposte sui redditi, trattandosi di un
intervento fiscale a carattere straordinario e transitorio, diretto a colpire, non i redditi della società, bensì la componente del patrimonio netto costituita dal capitale sociale annualmente rilevato in bilancio (Cass.
16018/05). Ne deriva che i due atti impositivi – notificati nella specie alla Eldofin s.a. – in quanto aventi ad
oggetto, l’uno, le imposte sui redditi, l’altro,
l’imposta sul patrimonio netto delle imprese, entrambe
applicabili a tutte le società e agli enti di cui
all’art. 87 d.P.R. 917/86, ben potevano coesistere nella
fattispecie in esame.
5. Con il nono motivo di ricorso, la Eldofin denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. l, co. 2 e

17, co. l della 1. n. 4/29, e 20, co. 1, d.lgs. n.
472/97, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
5.1. Il giudice di appello avrebbe, invero, erroneamente
applicato per le sanzioni conseguenti all’omessa dichiarazione dei redditi, lo stesso termine di decadenza previsto per l’accertamento, ai sensi degli artt. 45 e 55
d.P.R. 6090/73 (ora art. 20 del d.lgs. 472/97). Di contro, ad avviso della ricorrente, avrebbe dovuto trovare
applicazione nella specie, trattandosi di violazioni anteriori all’entrata in vigore del d.lgs. n. 472, cit., il
termine di prescrizione quinquennale, con decorrenza dal
giorno della commessa violazione, previsto dall’art. 17,
co. l n. 4 1. 4/29.
5.2. Anche la censura in esame è, peraltro, del tutto infondata.
5.2.1. A tal proposito va osservato, infatti, che l’art.
55 del d.P.R. n. 600/73, nella parte in cui contempla
l’irrogabilità, assieme all’accertamento in rettifica,
delle pene pecuniarie per infrazioni inerenti alla dichiarazione annuale, assoggetta il corrispondente poteredovere dell’Ufficio allo stesso termine di decadenza stabilito dal precedente art. 43 per la rettifica medesima
(31 dicembre del quinto anno successivo a quello della
presentazione della dichiarazione). Tale disposizione,
dunque, prevede una disciplina autonoma ed esaustiva in
ordine al tempo entro il quale le pene pecuniarie sono
applicabili, in tal modo sottraendole alla prescrizione
prevista, con riferimento in genere alle violazioni finanziarie, dall’art. 17 della 1. n. 4/1929.
Né tale conclusione può considerarsi in alcun modo impedita dal disposto cui all’art. l, co. 2 del menzionato
art. 17 – secondo il quale “le disposizioni della presente legge(…) non possono essere abrogate o modificate da
leggi posteriori concernenti i singoli tributi, se non
per dichiarazione espressa del legislatore con specifico
riferimento alle disposizioni modificate o abrogate” essendo stata la norma succitata espressamente abrogata,
sin dall’1.1.1983 – ossia da epoca ampiamente precedente
i fatti di causa (1994-1999) – dall’art. 13 del d.1., n.
429/82, convertito nella 1. n. 516/82 (cfr. Cass.
25627/10, 17520/12).
5.2.2. per tali ragioni, pertanto, del tutto legittimamente la CTR ha considerata corretta – alla stregua del
suesposto quadro normativo di riferimento – l’irrogazione
delle sanzioni nello stesso termine di decadenza previsto
per l’accertamento dall’art. 43 d.P.R. 600/73.
6. Con il decimo motivo di ricorso, la Eldofin s.a. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112
c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
6.1. La CTR avrebbe, difatti, illegittimamente omesso di
pronunciarsi – secondo la ricorrente – sul motivo di appello avente ad oggetto l’illegittimità dell’irrogazione
delle sanzioni, da parte dell’Amministrazione finanziaria, in misura superiore del 50% al minimo edittale, sul
presupposto della particolare gravità della condotta posta in essere dalla contribuente, laddove tale gravità
nella specie non sarebbe affatto ravvisabile, per cui le

sanzioni avrebbero dovuto essere irrogate nel minimo
edittale.
6.2. Il motivo è infondato.
6.2.1. Correttamente, infatti, la CTR non è entrata nel
merito di tale domanda, vertendosi in materia rientrante
nella discrezionalità dell’amministrazione, come tale non
sindacabile da parte del giudice. Ed invero, il sindacato
giurisdizionale sul quantum della sanzione che la pubblica amministrazione, nell’esercizio di poteri autoritativi
che le siano conferiti dall’ordinamento, infligga al privato, può riguardare, nel rispetto dei principi di cui
all’art 23 Cost., solo l’osservanza dei minimi o dei massimi, al di sotto ed al di sopra dei quali l’ amministrazione non può spingersi, ovvero di obiettivi parametri di
quantificazione direttamente fissati dalla legge. Tale
sindacato non può, invece, incidere – salva espressa diversa previsione normativa – sulla valutazione di congruità che la legge stessa, nell’ambito dei predetti limiti, devolva nel caso concreto alla discrezionalità di
merito dell’autorità amministrativa (Cass.S.U. 926/78).
6.2.2. La censura in esame, in quanto diretta a contestare il mancato intervento del giudice sull’ esercizio di
un potere squisitamente discrezionale dell’ Amministrazione finanziaria, si palesa, dunque, del tutto destituita di fondamento e non può, pertanto, che essere rigettata
7. Con l’undicesimo motivo di ricorso, la Eldofin s.a.
denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112
c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
7.1. Il giudice di appello avrebbe, difatti, omesso di
pronunciarsi – secondo la ricorrente – sulla mancata applicazione della continuazione tra le diverse violazioni
ascritte alla società, ai sensi dell’art. 12, co. 5 del
d.lgs. 472/97, avendo il medesimo calcolato le sanzioni
separatamente per ciascun periodo di imposta.
7.2. La censura è infondata.
7.2.1. E’ del tutto pacifico – essendosi espressa in tal
senso anche la difesa della Eldofin, nel calcolo della
continuazione operato in ricorso (pp. 129-130) – che nel
caso concreto ricorre un’ipotesi di pluralità di violazioni che rilevano ai fini di più tributi (art. 12 co. 3
decreto cit.), con comportamenti reiterati per più esercizi (art. 12, co. 5), e costituenti violazioni cd. plurioffensive (art. 12, co.1). In siffatte ipotesi, dal
complesso normativo suesposto si evince che i diversi aumenti – che sono tutti applicabili, trattandosi di fattispecie diverse, ma correlate ai fini sanzionatori – vanno
applicati nel seguente modo: in ipotesi di violazioni rilevanti ai fini di più tributi, la sanzione base a cui
riferire l’aumento indicato nel primo comma è quella più
grave aumentata nella misura prevista dal terzo comma e
quest’ultima, ove le violazioni riguardino periodi d’imposta diversi, deve essere aumentata per effetto del
quinto comma prima dell’ulteriore aumento di cui al comma
primo (cfr. Cass. 21043/07).
7.2.2. Nel caso concreto, la Eldofin, nel calcolo della
continuazione effettuato in ricorso, che – a suo dire-

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– 12 –

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N. i31

N.5

dovrebbe condurre ad un importo, a titolo di sanzioni,
nettamente inferiore a quello applicato all’ Amministrazione, ha correttamente proceduto al computo della sanzione rispettando la sequenza degli aumenti suindicata. E
tuttavia, la ricorrente ha applicato l’aumento di cui al
co. 5 dell’art. 12 d.lgs. cit. nel minimo, ossia in misura pari alla metà della sanzione base, mentre la norma
prevede un aumento dalla metà al triplo. Come pure, per
l’aumento di sanzione di cui al co. l dell’art. 12, la
contribuente ha applicato la misura minima ossia quella
di un quarto, laddove la disposizione prevede un aumento
della sanzione base da un quarto al doppio.
Né la ricorrente ha neppure dedotto che l’Amministrazione
abbia superato i massimi edittali suindicati, al fine di
consentire un intervento del giudice – attesa la vista
discrezionalità di cui l’amministrazione dispone nel calibrare la sanzione tra il minimo ed il massimo – in risposta alle censure proposte della Eldofin, circa la necessità di fare corretta applicazione della continuazione, ai sensi dell’art. 12 d.lgs. 472/97. In difetto di
elementi di riscontro in ordine alla doverosità
dell’intervento giudiziale, precluso ove l’applicazione
delle sanzioni – pur se in misura superiore al minimo
edittale – si fosse mantenuta nei limiti della discrezionalità dell’Amministrazione, il dedotto vizio di omessa
pronuncia non può ritenersi sussistente.
8. Per tutte le ragioni che precedono, pertanto, il ricorso della Eldofin s.a. non può che essere rigettato,
con conseguente condanna della ricorrente alle spese del
presente giudizio, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del
presente giudizio, che liquida in 15.000,00, oltre alle
spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezi e Tributaria, 1’11.12.2012.

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