Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24007 del 16/11/2011
Cassazione civile sez. III, 16/11/2011, (ud. 11/10/2011, dep. 16/11/2011), n.24007
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto – Presidente –
Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 17607/2009 proposto da:
L.E.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA EMILIO FAA1 DI BRUNO 4, presso lo studio dell’avvocato
PERRUCCI GIANLUCA, rappresentata e difesa dall’avvocato BAGLIERI
Francesco, con studio in COMISO (RG), Via Architetto Mancini, 28,
giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
A.C. (OMISSIS), AR.CA.
(OMISSIS), A.E. (OMISSIS),
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GRAMSCI N. 54, presso lo
studio dell’avvocato TROTTA Francesco, che li rappresenta e difende
giusta delega in atti;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 281/2009 del TRIBUNALE di RAGUSA, depositata
il 26/03/2009; R.G.N. 2442/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
11/10/2011 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;
udito l’Avvocato FRANCESCO GRAZIADEI per delega Avvocato FRANCESCO
TROTTA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per rigetto.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L.E.S. proponeva opposizione all’esecuzione per rilascio dell’appartamento sito nell’edificio condominiale di (OMISSIS), intimato nei suo confronti da Ca., C. ed A.E..
I convenuti si costituivano contestando le ragioni dell’opposizione.
Promosso il giudizio di cognizione, il tribunale, con sentenza del 26.3.2009, rigettava l’opposizione. La L. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad otto motivi. Resistono con controricorso Ca., C. ed A.E..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio raccomanda una motivazione semplificata.
Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.
Secondo l’art. 366 – bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002).
Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo).
La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass. 7 aprile 2009, n. 8463; v. anche Sez. Un. ord. 27 marzo 2009, n. 7433).
Con otto motivi la ricorrente denuncia violazioni di legge (art. 2909 c.c., art. 183 c.p.c.) e vizi di motivazione.
In primo luogo, deve rilevarsi che, mentre i motivi (di cui al, primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo motivo) denunciano vizi motivazionali – per i quali non è prescritta la proposizione del quesito, ma l’indicazione del fatto controverso e le ragioni per le quali i dedotti vizi della motivazione la rendano inidonea a giustificare la decisione, raccolti nel momento di sintesi, i quesiti posti in relazione a tali motivi presuppongono la contestazione di violazioni di norme di diritto; ragione per la quale non vi è corrispondenza fra motivi e quesiti.
In ogni caso, anche a volere considerare i quesiti posti quali momenti di sintesi di contestazioni relative a vizi motivazionali, gli stessi difettano, sia del riferimento al caso concreto, sia della chiara indicazione del fatto in ordine al quale si contesta il vizio motivazionale, sia della sua decisività, sia della indicazione delle ragioni per le quali in tal modo la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione.
Ne consegue l’inammissibilità dei motivi.
Sotto questo profilo, vale anche evidenziare che proprio il quesito n. 2 “E il nostro caso può considerarsi fra questi?”, relativo al quinto motivo, rende ragione della mancanza delle condizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., ponendo una domanda astratta, senza alcun riferimento alle peculiarità del caso concreto.
L’ottavo motivo, poi, con il quale si contesta la violazione dell’art. 183 c.p.c., è inammissibile.
Il quesito posto a conclusione della sua illustrazione “Il Giudice è sempre tenuto a concedere alla parte richiedente i termini di cui all’art. 183 c.p.c.?”, infatti, pecca di genericità, sostanziandosi in una domanda astrattamente posta alla Corte di legittimità, senza alcun riferimento al caso concreto.
In tal modo, la Corte di legittimità si trova nell’impossibilità di enunciare un o i principii di diritto che diano soluzione allo stesso caso concreto (Cass. ord. 24.7.2008 n. 20409; S.U. ord. 5.2.2008 n. 2658; Sez. Un. 5.1.2007 n. 36, e successive conformi).
Inoltre, deve anche sottolinearsi che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo.
La mancanza anche di una sola di tali due indicazioni rende il ricorso, od il motivo, inammissibile (Cass. 30.9.2008, n. 24339).
Anche sotto questo aspetto, pertanto, il motivo è inammissibile.
Conclusivamente, il ricorso è dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 11 ottobre 2011.
Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2011