Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24006 del 23/10/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 24006 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 26213-2007 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2012
2427

contro

AMICUCCI EMO GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in
ROMA VIA TUSCOLANA 346, presso lo studio
dell’avvocato OLIVIERI SERGIO, che lo rappresenta e
difende, giusta delega in calce;

Data pubblicazione: 23/10/2013

- controricorrente
avverso la sentenza n.

54/2006

della COMM.TRIB.REG.

di ROMA, depositata il 10/07/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/12/2012 dal Consigliere Dott. ANTONIO

udito per il ricorrente l’Avvocato MELILLO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato OLIVIERI che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

VALITUTTI;

PREMESSO IN FATTO.
l. Con sentenza n. 54/9/06, depositata il 10.7.06, la
Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva
l’appello proposto da Amicucci Emo Giuseppe avverso la
decisione di primo grado, con la quale era stato respinto
il ricorso proposto dal contribuente nei confronti
dell’avviso di accertamento con il quale era stato accertato un maggior reddito ai fini IRPEF ed IRAP, per l’anno
di imposta 1998. L’atto impositivo – impugnato dall’ Amicucci dinanzi alla CTP di Roma – traeva origine da una
segnalazione dell’anagrafe tributaria, relativa alla cessione d’azienda operata dal contribuente, in relazione
alla quale il medesimo aveva omesso di dichiarare la plusvalenza realizzata.
2. La CTR – in riforma della decisione di prime cure,
sfavorevole al ricorrente – riteneva, per contro, di dover dichiarare la cessazione della materia del contendere, per intervenuta sanatoria della posizione fiscale
dell’Amicucci, avendo il medesimo perfezionato il condono
ex 1. 289/02.
3. Per la cassazione della sentenza n. 54/9/06 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a tre motivi, ai quali il contribuente ha replicato con controricorso.
OSSERVA IN DIRITTO.
1. Con i tre motivi di ricorso – intimamente connessi tra
loro – l’Amministrazione denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 8, co. 6 e 6 bis della l. 289/02,
nonché 39 del d.P.R. 600/73, in relazione all’art. 360 n.
3 c.p.c.
1.1. L’adesione al condono ai sensi dell’artt. 8 1.
289/02, ad avviso della ricorrente, non comporterebbe,
infatti, l’estinzione del potere impositivo nei confronti
del contribuente, atteso che dal tenore letterale della
norma si evince che tale potere, sarebbe non estinto,
bensì soltanto limitato, essendo esercitabile, per ciascuna imposta e per ciascun periodo di imposta, solo nel
caso in cui il maggior reddito imponibile accertabile superi quello derivante dal cumulo tra il reddito originariamente dichiarato ed il maggior imponibile risultante
dalla dichiarazione integrativa aumentato del 100%.
In altri termini, gli accertamenti in rettifica, da parte
dell’Ufficio, sarebbero possibili solo a condizione e
nella misura in cui l’Amministrazione sia in grado di
quantificare un imponibile che ecceda quello integrato,
maggiorato del 100%.
Del tutto errata sarebbe, pertanto, a parere dell’Agenzia
delle Entrate, la decisione si appello che, prescindendo
totalmente dal pronunciarsi sull’imposta ancora dovuta
sul maggiore imponibile accertato dall’Ufficio, ha dichiarato cessata la materia del contendere sull’intera
pretesa fiscale azionata dall’Amministrazione finanziaria.
2. Premesso quanto precede, osserva la Corte che le deduzioni dell’Amministrazione ricorrente – contenute nei
suesposti motivi di ricorso – si palesano del tutto infondate e vanno, pertanto, disattese.

2.1. Questa Corte ha, difatti, più volte avuto modo di
affermare che, in presenza di un avviso di accertamento,
a fronte del diritto di credito dell’Amministrazione al
tributo, fondato sull’allegazione di un maggiore imponibile, grava sul contribuente l’onere di dimostrare che la
situazione o la pendenza tributaria siano state definite
con l’adempimento di tutte le prescrizioni previste dalla
legge sul condono (Cass. 5846/12, 9802/02).
2.2. Ebbene, va rilevato che, nel caso di specie,
dall’impugnata sentenza si evince che l’Amicucci aveva
aderito al cd condono tombale (art. 9 1. 289/02), per cui
il giudice di appello – essendo risultati comprovati,
sulla base della documentazione versata in atti, i pagamenti dovuti per il perfezionamento del condono – ha, di
conseguenza, ritenuto che il contribuente avesse provveduto a sanare la pendenza fiscale pregressa, con conseguente cessazione della materia del contendere.
Nel presente giudizio di legittimità, poi, l’Amicucci ha
ribadito l’errore nel quale sarebbero incorsi dapprima,
l’Amministrazione finanziaria, poi il giudice di merito,
nel ritenere che il contribuente si fosse avvalso della
dichiarazione integrativa semplice, ex art. 8 1. 289/02,
laddove il medesimo aveva, invece, aderito al condono cd.
tombale, ai sensi dell’art. 9 della stessa legge.
A sostegno delle deduzioni suesposte, il resistente ha,
altresì, prodotto nel presente giudizio – a norma
dell’art. 369, co. 2, n. 4 c.p.c. – la dichiarazione per
la
definizione
degli
anni
pregressi
(contenente
l’indicazione della maggiore imposta da versare), la comunicazione
di
avvenuto
ricevimento
da
parte
dell’Amministrazione finanziaria (art. 3, co. 10 d.P.R.
322/98), nonché tre modelli di pagamento unificato (in
data 5 aprile, 21 giugno e 5 settembre 2004), dai quali
si evince che il contribuente ha provveduto a definire mediante il pagamento di tutte le somme dovute – “imposte
e contributi” pendenti per gli anni dal 1998 al 2002.
2.3. Premesso quanto precede, va osservato che la forma
di sanatoria prevista dall’art. 8 1. 289/02, si traduce
nella possibilità di presentare una “dichiarazione integrativa” (valida, per quel che qui interessa, ai fini
delle imposte sui redditi, dell’IRAP e delle relative addizionali), accompagnata dal versamento delle maggiori
imposte dovute; sempre che non sia stato già notificato
al contribuente un avviso di accertamento o altro atto
prodromico, come il processo verbale di constatazione o
l’invito al contraddittorio (a meno che tali atti non
siano stati definiti ai sensi degli artt. 15 e 16 della
stessa legge), o non sia stato chiesto il rinvio a giudizio del contribuente medesimo per un reato tributario o
un reato di falso collegato all’evasione tributaria.
L’integrazione è “semplice”, nel senso che si limita ad
integrare gli imponibili per quegli elementi che non sono
stati dichiarati originariamente, e quindi essa non comporta definizione della posizione tributaria. Tuttavia,
non solo non si applicano le sanzioni (anche penali), e
gli interessi, ma l’integrazione comporta altresì la preclusione di accertamenti tributari fino a concorrenza del

-2-

-3

ESENTE r
AI SENS:
N.131 A IL! – N. 5
MATERIA TRIBUTARIA

doppio del maggiore imponibile dichiarato, o di una volta
e mezzo per le ritenute.
L’art. 9 della stessa legge, invece, consente di definire
la posizione fiscale del contribuente – per quel che rileva in questa sede – ai fini alle imposte sui redditi ,e
relative addizionali, ed all’IRAP, non già integrando gli
imponibili, bensì versando delle somme a titolo di maggiore imposta; sempre che, come si è visto per l’art. 8,
al contribuente non siano stati notificati l’atto impositivo o altro atto prodromico, o chiesto il rinvio a giudizio per reati tributari. Poichè si tratta di definizione automatica, il suo perfezionamento definisce la posizione del contribuente, precludendo – a differenza della
fattispecie di cui al precedente art. 8 – ogni accertamento tributario ed ogni irrogazione di sanzioni amministrative, ed escludendo la punibilità per i reati tributari e per i reati di falso collegati all’evasione tributaria.
Ne deriva, sul piano processuale, che la definizione automatica ex art. 9 1. n. 289/02 comporta che l’esercizio
della facoltà di ottenere la chiusura delle liti fiscali
pendenti, pagando una somma correlata alle maggiori imposte dovute, produce un effetto estintivo del giudizio,
con la conseguenza che l’intervenuta proposizione della
relativa istanza, palesandosi come questione officiosa,
di ordine pubblico, deve essere rilevata d’ufficio dal
giudice prima di ogni altra (Cass. 25239/07, 3841/12).
2.4. Da quanto suesposto discende che del tutto correttamente il giudice di appello – in presenza di una dichiarazione contenente l’indicazione delle maggiori imposte
dovute, effettivamente corrisposte all’Erario dal contribuente, come da ricevute in atti – ha concluso nel senso
che il medesimo si sia avvalso della definizione automatica ex art. 9 1. 289/02, come – del resto – risulta dalla comunicazione di avvenuto ricevimento compilata dalla
stessa Amministrazione finanziaria, dichiarando di conseguenza estinto il giudizio per cessazione della materia
del contendere, ai sensi dell’art. 46 d.lgs. 546/92.
3. Per tutte le ragioni che precedono, pertanto, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate non può che essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alle
spese del presente giudizio di legittimità, nella misura
di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso
delle spese del presente giudizio, che liquida in
6.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, 1’11.12.2012.

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