Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24006 del 12/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 12/10/2017, (ud. 13/07/2017, dep.12/10/2017),  n. 24006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18442 – 2014 proposto da:

A.M., (OMISSIS), domiciliato in ROMA ex lege, P.ZA CAVOUR

presso la CORTE di CASSAZIONE rappresentato e difeso dall’avvocato

MARIANGELA BUX;

– ricorrente –

contro

AR.AN.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 327/2014 del TRIBUNALE di BRINDISI, depositata

il 19/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 Il Tribunale di Brindisi, con sentenza 19.2.2014 ha respinto il gravame proposto dal venditore A.M., titolare della ditta Vernistar, contro la sentenza 515/08 del Giudice di Pace di San Vito dei Normanni che aveva sua volta respinto la domanda da lui proposta nei confronti del compratore Ar.An. per ottenere il risarcimento danni derivanti dall’inadempimento del contratto di vendita di un macchinario per carrozzeria denominato Spott Power 230.

Per giungere a tale soluzione il giudice di appello ha ritenuto innanzitutto che tra le parti si era concluso un regolare contratto di compravendita in data (OMISSIS) (momento in cui giungeva nella sfera del compratore l’accettazione della proposta da parte del venditore A.) e che l’ Ar. si era mostrato inadempiente per non aver dato volontaria esecuzione al contratto (avendo omesso di trasmettere la documentazione necessaria al finanziamento in quanto non più interessato all’acquisto). Ha tuttavia escluso il risarcimento del danno da lucro cessante (differenza tra prezzo di acquisto presso il fornitore e prezzo di vendita all’ Ar.), in base al principio di cui all’art. 1227 c.c., comma 2, osservando che l’appellante venditore non avrebbe subito nessun danno se, comportandosi secondo buona fede e con ordinaria diligenza, si fosse astenuto dall’acquistare il macchinario dal fornitore in presenza di un comportamento concludente dell’altra parte finalizzato all’inadempimento e già manifestatosi da tempo.

2 Contro tale decisione l’ A. ricorre per cassazione con due motivi.

L’ Ar. non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 – Col primo motivo viene denunziata in via principale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. (per evidente errore materiale è scritto “1127”) e art. 112 c.p.c., (violazione di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato). Osserva il ricorrente che il Tribunale non avrebbe dovuto rilevare di ufficio il concorso del fatto colposo del creditore, previsto dall’art. 1227 c.c., comma 2, trattandosi di eccezione in senso stretto che quindi può essere proposta solo dalla parte, come affermato in giurisprudenza.

1.2 Sempre col primo motivo, ma in via subordinata, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: l’errore del Tribunale consisterebbe, secondo il ricorrente, nell’avere affermato che la semplice intenzione del sig. Ar. di non adempiere alla obbligazione assunta potesse essere motivo di scioglimento del contratto stipulato tra le parti, ritenendo non sussistente alcun danno risarcibile.

2 Col secondo motivo si deduce infine, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1358 c.c., rimproverandosi al Tribunale di non avere proceduto ad esaminare la condizione apposta al contratto (afferente al richiesta di finanziamento) e di non aver proceduto alla sua corretta qualificazione come condizione potestativa mista il cui avveramento dipende in parte da fattori esterni (concessione del finanziamento) ed in parte dalla volontà di uno dei contraenti (attività dell’acquirente per ottenere il finanziamento) con conseguente applicabilità della disciplina di cui all’art. 1358 c.c., (buona fede nello stato di pendenza della condizione).

2.1 Partendo da quest’ultima censura, il Collegio ne rileva l’inammissibilità perchè essa involge una questione di diritto implicante accertamenti in fatto (qualificazione giuridica della clausola contrattuale che prevedeva il finanziamento del prezzo), che non risulta sollevata nel giudizio di appello.

Come ripetutamente affermato da questa Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga la questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (tra le varie, sez. 1^, Sentenza n. 25546 del 30/11/2006 Rv. 593077; Sez. 3, Sentenza n. 15422 del 22/07/2005 Rv. 584872 Sez. 3, Sentenza n. 5070 del 03/03/2009 Rv. 606945).

Nel caso di specie, la sentenza impugnata non affronta assolutamente la natura giuridica della clausola contrattuale sul finanziamento del prezzo e della applicabilità della disciplina di cui all’art. 1358 c.c., nè il ricorrente dimostra di averla tempestivamente devoluta ai giudici del merito, sicchè deve ritenersi proposta per la prima volta in questa sede dal nuovo difensore con la conseguenza dell’impossibilità del suo esame.

2.2 Ben diverso è il discorso in relazione al primo motivo che, invece, appare fondato nella sua articolazione principale.

In tema di concorso del fatto colposo del creditore, previsto dall’art. 1227 c.p.c., comma 2, al giudice del merito è consentito svolgere l’indagine in ordine all’omesso uso dell’ordinaria diligenza da parte del creditore solo se sul punto vi sia stata espressa istanza del debitore, la cui richiesta integra gli estremi di una eccezione in senso proprio, dato che il dedotto comportamento che la legge esige dal creditore costituisce autonomo dovere giuridico, espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede. Il debitore deve inoltre fornire la prova che il creditore avrebbe potuto evitare i danni, di cui chiede il risarcimento, usando l’ordinaria diligenza (cfr. tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 15750 del 27/07/2015 Rv. 636176; Sez. 3, Sentenza n. 14853 del 27/06/2007 Rv. 597845; Sez. 1, Sentenza n. 20324 del 15/10/2004 Rv. 577722).

Nel caso di specie il Tribunale non si è attenuto a questo principio di diritto perchè ha applicato di ufficio la regola di cui all’art. 1227 c.c., comma 2 (dovere di ordinaria diligenza del danneggiato nell’evitare i danni) senza che fosse stata sollevata nessuna eccezione in proposito dal convenuto – appellato: la violazione di legge è palese e giustifica la cassazione della sentenza con rinvio al Tribunale di Brindisi che, in persona di diverso magistrato, riesaminerà la censura sulla domanda risarcitoria attenendosi al citato principio e provvedendo, all’esito, sulle spese anche di questo giudizio.

2.3 L’accoglimento della censura principale assorbe logicamente l’esame di quella articolata in via subordinata “nella denegata ipotesi di mancato accoglimento” della superiore ed assorbente censura.

PQM

 

la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Brindisi in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017

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