Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24004 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. III, 30/10/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 30/10/2020), n.24004

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28454/2019 proposto da:

K.M.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G.

MAZZINI, 6, presso lo studio dell’avvocato MANUELA AGNITELLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE ROMA,elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 08/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/07/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. K.M.O., cittadino della (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, domandando:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della sua istanza il richiedente dedusse quanto segue. Raccontò di aver ospitato due amici del fratello a casa sua, uno dei quali fratello della sua fidanzata. Quest’ultima lo chiamò dopo aver sorpreso i due ragazzi mentre consumavano un rapporto omosessuale. I ragazzi accusarono il richiedente di essere a sua volta omosessuale e di aver avuto anche lui rapporti sessuali con i medesimi. In seguito a ciò i due ospiti furono condannati e il fratello del richiedente ucciso. K.M.O. decise di fuggire per paura delle accuse di omosessualità formulate nei suoi confronti e per le minacce subite.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento propose ricorso D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 bis, dinanzi il Tribunale di Roma che, con decreto n. 15708/2019 depositato e comunicato l’8 maggio 2019, rigettò il reclamo. Il Tribunale riteneva:

a) non credibile il racconto del richiedente;

b) infondata la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, mancandone i presupposti;

c) infondata la domanda di protezione sussidiaria per mancanza dei presupposti e per l’assenza di una violenza indiscriminata nella zona di provenienza del richiedente;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria non avendo l’istante nè allegato, nè provato, alcuna circostanza di fatto di per sè dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

3. Il decreto è stata impugnato per cassazione da K.M.O., con ricorso fondato su quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non presenta difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 11, lett. e) e f), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Illogica, contraddittoria e apparente motivazione per aver il Tribunale rigettato la richiesta dello status di rifugiato non riuscendo a individuare persecuzioni per tendenze o stili di vita”.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente vorrebbe dolersi della valutazione sulla credibilità, ma lo fa evocando solo l’affermazione finale ed astenendosi dal considerare e criticare – nei limiti in cui sarebbe stato eventualmente possibile – la motivazione del decreto, che si dilunga per due pagine, con puntuali considerazioni del tutto ignorate: ne segue che il motivo è inammissibile, in quanto non considera l’ampia motivazione del tribunale;

Infatti il Tribunale ha negato il riconoscimento dello status di rifugiato sulla base della mancanza di credibilità circa l’accusa di omosessualità formulata nei confronti del richiedente. Il giudizio è stato effettuato rispettando i principi enucleati da questa Corte, tramite una valutazione complessiva del racconto, caratterizzato da contraddizioni e lacune su elementi non secondari. Il Tribunale ha ritenuto poi, con motivazione incensurata in questa sede, l’inesistenza dei presupposti – fatti o atti persecutori – richiesti per la protezione internazionale, senza che il ricorrente abbia opposto, nell’illustrazione del motivo, convincenti ragioni idonee ad inficiare la decisione di merito.

4.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e art. 3, comma 3, lett. a) e artt. 2, 3, 5, 8, 9 CEDU e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dal momento che il rigetto del la protezione sussidiaria è stato omessa senza alcuna valutazione della sussistenza del danno grave. Difetto di istruttoria”.

Il motivo è inammissibile.

Anche questo motivo si connota per svolgere considerazioni ricostruttive dei principi giuridici, ma nuovamente ignora la motivazione del decreto ed anzi non si comprende nemmeno a quale specie di disciplina del diritto del rifugiato si riferisca;

Infatti contrariamente a quanto lamentato nel ricorso, il giudice di merito, rispettando i principi enucleati da questa Corte, ha adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria pur ritenendo inattendibile il racconto del richiedente, relativamente all’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Questa norma prevede come presupposto per il riconoscimento della protezione sussidiaria una minaccia grave e individuale alla persona derivante da violenza indiscriminata scaturente da una situazione di conflitto armato interno o internazionale. Per la Corte di Giustizia la minaccia grave può in via eccezionale rilevare non in relazione al singolo quando la violenza è così diffusa che il rischio risulta in re ipsa. Per questo motivo il giudice non può ex ante negare la protezione senza aver adempiuto al dovere di cooperazione accertamento di tale situazione: la valutazione di tal situazione deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del ricorrente. Tali principi son stati seguiti dal Tribunale che però ha escluso, in base alle fonti internazionali, la presenza di violenza indiscriminata nella zona di provenienza del richiedente.

4.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 3, lett. a) e b), D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 7 CEDU in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dal momento che il rigetto del riconoscimento della protezione sussidiaria è stato omesso (anche) sulla base di un giudizio prognostico, futuro e incerto e non sullo stato effettivo ed attuale del paese di origine, ritenendo che in Nigeria non si fosse un pericolo generalizzato”.

Il Tribunale non avrebbe considerato adeguatamente le condizioni carcerarie presenti in Nigeria, condizioni in cui si troverebbe il ricorrente in caso di rientro, stante l’accusa di omosessualità.

Il motivo è innanzitutto inammissibile per genericità e mancanza di specificità in quanto non è chiaro quale motivazione del provvedimento intenda criticare.

Ed in ogni caso occorre precisare che il dovere di cooperazione istruttoria, nelle due forme di protezione cd. “maggiori”, non sorga ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma si colloca in un rapporto di stretta connessione logica (anche se non in una relazione di stretta e indefettibile subordinazione) rispetto alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile. Il Tribunale ha negato il riconoscimento della protezione sussidiaria per non la credibilità circa le accuse di omosessualità formulate nei confronti del ricorrente, venendo meno quel rischio di danno grave nel caso di rientro in patria. L’omosessualità è una condizione soggettiva e non oggettiva, per cui l’inattendibilità circa le accuse formulate nei confronti del ricorrente, esonerava il giudice dall’accertare le condizioni carcerarie presenti in Nigeria.

4.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la “violazione del combinato disposto di cui al D.Lgs. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, violazione del D.Lgs. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Illogica, contraddittoria e apparente motivazione per aver il Collegio rigettato la richiesta di protezione umanitaria senza operare un esame specifico e attuale della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente, con riferimento al paese d’origine”.

Il motivo è inammissibile in quanto vorrebbe criticare una pretesa motivazione che riproduce, ma la riproduzione non risulta affatto fedele e questo, di per sè lo rende inammissibile.

Si rileva comunque che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif. in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass. 13096/2019). Nel caso di specie, il giudice di merito non ha ravvisato alcun presupposto per il riconoscimento della protezione umanitaria, compiendo un giudizio autonomo rispetto al mancato riconoscimento delle forme di protezione maggiori. Da una parte infatti non ha riscontrato alcuna condizione di vulnerabilità presente nel ricorrente, nè fragilità per motivi di salute. Dall’altra, in un’ottica di comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella in cui si troverebbe il ricorrente nel caso tornasse in Nigeria, il Tribunale sostiene che un rientro nel paese d’origine non pregiudicherebbe il diritto a un’esistenza libera e dignitosa, sottolineando anche la mancanza di una integrazione effettiva nel nostro Paese: il ricorrente non ha infatti nè lavoro stabile nè fissa dimora.

5. Non è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, attesa la indefensio della parte pubblica.

6. L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), a condizione che esso sia dovuto: condizione che non spetta a questa Corte stabilire. La suddetta norma, infatti, impone all’organo giudicante il compito unicamente di rilevare dal punto di vista oggettivo che l’impugnazione ha avuto un esito infruttuoso per chi l’ha proposta.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

 

 

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