Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24000 del 24/11/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. trib., 24/11/2016, (ud. 22/07/2016, dep. 24/11/2016), n.24000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26960/2010 proposto da:

I.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MARIO SAVINI 7,

presso lo studio dell’avvocato EGIDIO ROMAGNA, rappresentato e

difeso dall’avvocato EVA CASTAGNOLI, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 58/2010 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 07/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/07/2016 dal Consigliere Dott. MAURO MOCCI;

udito per il ricorrente l’Avvocato CASTAGNOLI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato ZERMAN che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RAGIONI DI FATTO

Il 17 maggio 2010 la Commissione Regionale di Bologna confermava la decisione della Commissione provinciale di Reggio Emilia, che aveva respinto la richiesta di I.F., gestore di una stazione di servizio, volta ad ottenere il rimborso dell’IRAP versata in relazione agli anni 1998 – 2004, per un totale di Euro 15.000,00.

La decisione impugnata ha ritenuto la sussistenza di un’organizzazione produttiva autonoma, desumendolo dalla concessione in comodato al contribuente della piazzola di servizio (essendo peraltro egli l’unico utilizzatore ed organizzatore del lavoro), nonchè dalla corresponsione dei compensi a collaboratori ed al coniuge, dalla strumentazione relativa al lavaggio automatico, dall’attività di vendita di prodotti per auto e dalla presenza di macchine aspirapolvere self-service.

Ha proposto ricorso per cassazione lo I., affidandosi a due motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Con il primo, il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2. Infatti, la Commissione regionale avrebbe trascurato di considerare che i beni strumentali da essa citati sarebbero stati strettamente necessari all’esercizio dell’attività del contribuente medesimo, mentre la titolarità dell’impresa – nel senso di effettivo potere decisionale in ordine alle scelte gestionali ed all’organizzazione dei fattori produttivi – sarebbe spettata alla società petrolifera proprietaria dell’impianto.

Con il secondo, il ricorrente deduce omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, comma 1, n. 5. Nella specie, la sentenza impugnata avrebbe sostenuto la sussistenza di un’organizzazione autonoma, benchè l’unico collaboratore dello I. sarebbe stato suo figlio, solo dal 2000 al 2004, e giammai sua moglie.

Ha proposto tempestivo controricorso l’Agenzia delle Entrate, deducendo l’infondatezza del ricorso e sottolineando come la Commissione regionale avrebbe provveduto ad una disamina degli elementi di fatto, svolgendo un accertamento di merito relativo alla verifica della sussistenza degli elementi idonei all’integrazione del presupposto impositivo. D’altronde, l’attività in questione sarebbe rientrata tra le attività di intermediazione di beni.

Diritto

RAGIONI DI DIRITTO

I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la loro stretta connessione logica e giuridica, non sono fondati.

In tema di IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 446, art. 2 – ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive (Sez. U, Sentenza n. 9451 del 10/05/2016).

Nella particolare ipotesi del gestore di un impianto di carburante, in linea di principio il contratto con cui il concessionario del servizio affida a terzi la gestione di un impianto di sua proprietà – ai sensi del D.Lgs. 11 febbraio 1998, n. 32, art. 1, comma 6 e della L. 5 marzo 2001, n. 57, art. 19, comma 4, che della prima norma costituisce disposizione interpretativa – limita l’autonomia contrattuale, prevedendo l’inderogabile gratuità della cessione al gestore dell’uso degli apparecchi di distribuzione e delle relative attrezzature sia fisse che mobili, comprese le apparecchiature per l’erogazione e il pagamento, sia anticipato che posticipato, del rifornimento (Sez. L. n. 239 del 12/01/2012).

Tuttavia, lo schema negoziale previsto dalla legge per l’affidamento a terzi, da parte del concessionario, della gestione di un impianto di distribuzione di carburante non integra un rapporto di lavoro subordinato, giacchè del R.D. 20 luglio 1934, n. 1303, art. 25 e del D.L. 26 ottobre 1970, n. 745, art. 16 (convertito nella L. 18 dicembre 1970, n. 1034) – i quali definiscono il rapporto come “comodato” o come “cessione in uso gratuito” – ne pongono in evidenza l’oggetto costituito dal godimento dell’impianto, come complesso di beni strumentali, destinati all’esercizio di un’attività economica, che forma oggetto della concessione amministrativa. Pertanto, ai fini della qualificazione del rapporto, mentre non sono rilevanti le clausole previste dal D.P.R. 27 ottobre 1971, n. 1269, art. 19 (sospensione per ferie; controllo dei registri e stato di manutenzione degli impianti; divieto di apportare modifiche agli impianti stessi) attenendo alla disciplina dell’attività ai fini di pubblico interesse, hanno valore sintomatico della realtà del contratto altri elementi (quali il diritto di prelazione, la possibilità di prosecuzione del rapporto dopo la morte o interdizione dei gestore, l’intestazione a questi della licenza), incompatibili con la struttura personale del rapporto e, segnatamente, con la subordinazione. Pertanto può ritenersi costituito un rapporto di lavoro subordinato solo se sono presenti patti difformi dall’indicato schema, che configurino modalità di svolgimento tipicamente riconducibili al concetto di subordinazione (Sez. L. 19/04/1995 n. 4347).

Nella specie, come ha correttamente rilevato la CTR dell’Emilia Romagna, il rapporto con la compagnia petrolifera non ha impedito allo I. di dotarsi di strumenti per il lavaggio automatico e per la pulizia delle auto, oltre che di utilizzare ed organizzare il proprio lavoro in una condizione di sostanziale autonomia. In altri termini, l’attività del ricorrente non integra una semplice intermediazione nella circolazione di beni prodotti da altri, ma determina essa stessa un risultato economico complesso, che è anche frutto della capacità organizzativa autonoma, dell’offerta di servizi ulteriori ed accessori (i cui macchinari non risultano acquistati con capitali del concessionario) e del lavoro di familiari e collaboratori (da lui medesimo retribuiti).

In definitiva, lo I. va considerato un piccolo imprenditore, secondo la nozione di cui all’art. 2083 c.c.. E l’esercizio dell’attività di piccolo imprenditore è escluso dall’applicazione dell’imposta solo qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. La sussistenza dei presupposti impositivi dell’IRPEF è stato congruamente ritenuta dal giudice di merito – con una valutazione di fatto, insindacabile in sede di legittimità, perchè sufficientemente motivata – che ha ricondotto al ricorrente la responsabilità dell’organizzazione e l’impiego di beni strumentali eccedenti, secondo l'”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, avvalendosi altresì in modo non occasionale di lavoro altrui. D’altronde, neppure il contribuente ha offerto la dimostrazione dell’assenza delle predette condizioni, secondo i principi generali in tema di onere probatorio.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 2.500, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 22 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA