Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24000 del 23/10/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 24000 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: IOFRIDA GIULIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Maveda srl, in persona del legale rappresentante
p.t., elettivamente domiciliata in Roma Via Pasubio
15, presso lo studio dell’Avvocato Dario Piccioni,
che la rappresenta e difende unitamente e
disgiuntamente agli Avv.ti Prof. Alberto
Marcheselli e Vittorio Nizza, in forza di procura
speciale in calce al ricorso
– ricorrente –

contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore
p.t., e Ministero dell’Economia e delle Finanze,
domiciliati in Roma Via dei Portoghesi 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato che li
rappresenta e difende ex lege
– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 9/20/06 della Commissione
Tributaria regionale del Piemonte, depositata il
15/05/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 3/12/2012 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
uditi l’Avv.to Marcheselli, per parte ricorrente, e

Data pubblicazione: 23/10/2013

l’Avvocato dello Stato, Gianni De Bellis, per parte
controricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Sergio Del Core, che ha concluso per
l’accoglimento del primo motivo del ricorso,
assorbiti gli altri.
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 9/20/06 del 20/2/2009, depositata

Regionale del Piemonte, Sez. 20, respingeva, con
compensazione delle spese di lite, l’appello
proposto, in data 14/10/2005, dalla Maveda srl, in
via principale, e l’appello incidentale proposto
dall’Agenzia delle Entrate, avverso la decisione n.
53/06/2005 della Commissione Tributaria Provinciale
di Torino, che aveva accolto solo parzialmente
(riducendo l’imposta accertata e le sanzioni) il
ricorso proposto dalla contribuente contro un
avviso di accertamento, notificato nel novembre
2004, relativo a maggiore imposta IVA dovuta (C
94.506,31), oltre le sanzioni e gli interessi, per
l’anno di imposta 2000.
L’avviso impugnato era stato emesso sulla base di
un processo verbale di constatazione redatto in
data 27/9/2004 e riguardava la contestazione
dell’omessa autofatturazione da parte della Maveda,
ai sensi del 3 0 comma dell’art.17 DPR 633/1972, di
relative a

“operazioni intracomunitaríe”

prestazioni di servizi, utilizzate in Italia e
fornite da aziende estere (una con sede a Londra ed
altra con sede negli Stati Uniti d’America), che
non avevano stabile organizzazione in Italia,
operazioni identificabili, secondo l’Ufficio
erariale,

rispettivamente,

pubblicitarie” e

in

“prestazioni

“fornitura di sito web” e quindi

2

in data 15/5/2006, la Commissione Tributaria

rientranti nella deroga al principio generale di
territorialità, all’epoca vigente, di cui al 4 °
comma dell’art.7 DPR 633/1972, avendo invece la
Maveda registrato le operazioni in esenzione di
imposta, ai sensi dell’art.7 3 ° comma DPR 633/1972,
ritenendo, in particolare, le operazioni
trasfrontaliere imponibilili ai fini IVA, non in
Italia, per carenza del requisito della

delle prestazioni, in base alla residenza fiscale
dei prestatori di servizi, secondo la regola,
all’epoca, generale, nonché la contestazione circa
l’indebita detrazione dell’IVA per C 1.074,23, per
l’anno 2000, relativamente alla registrazione di
una fattura per il servizio di banqueting,
organizzato in occasione di un briefing.
La CTP di Torino (la cui sentenza è stata
richiamata ed integralmente allegata al ricorso per
cassazione) aveva, in particolare: a) da un lato,
ritenuto, quanto al contratto stipulato da Maveda
con la società londinese Madler, intitolato
“Mandato di Agenzia”,

che si trattasse

“non di

attività pubblicitaria, ma di un servizio di
intermediazione volto a procurare affari in campo
pubblicitario”

e come tale rientrante comunque

nella previsione di cui all’art.7 comma 4 ° lett.d),
del DPR 633/1972, nel testo vigente

ratione

temporis, non avendo il legislatore nazionale,

“pur

adeguando la normativa nazionale a quella
comunitaria”,

inserito la dizione

conto altrui”,

“in nome e per

contenuta nell’art.9 par.2 della

Direttiva 77/388/CEE, cosicché l’operazione doveva
considerarsi effettuata in Italia, luogo di
residenza fiscale della committente beneficiaria
del servizio; dall’altro lato, quanto al contratto

territorialità, ma nei distinti Paesi di origine

stipulato dalla Maveda con la statunitense Intune
. Limited, avente ad oggetto prestazioni
e pubblicazione di pagine web”)

(“creazione

rese tramite

servizi elettronici, riconosciuto illegittimo il
recupero dell’imposta relativa alle prestazioni
rese a Maveda dalla detta società statunitense, in
quanto tali servizi erano stati inclusi nella

solo per effetto del d.lgs. 273/2003, emanato in
attuazione della Direttiva 2002/38/CE. I giudici di
primo grado avevano, di conseguenza, ridotto la
maggiore imposta accertata (per l’anno 2000), con
proporzionale diminuzione delle sanzioni e degli
interessi.
La Commissione Tributaria Regionale respingeva sia
il gravame della società contribuente sia l’appello
incidentale dell’Agenzia delle Entrate
(relativamente all’accoglimento, in primo grado,
del ricorso limitatamente al recupero dell’imposta
relativa a prestazioni rese dalla ditta
statunitense Intune tramite servizi elettronici),
in quanto riteneva anzitutto, con riguardo
all’appello principale della Maveda, che era
infondata l’eccezione di carenza di motivazione
dell’ atto impositivo e che, alla luce del 4 ° comma
dell’art.7 DPR 633/1972 e dell’art.40 d.l.
331/1993, dovevano considerarsi effettuate in
Italia, luogo di residenza della committente (nella
specie, la Maveda), le prestazioni rese da ditta
estera (nella specie, la Madler Associated) senza
stabile organizzazione o rappresentate fiscale in
4

Italia, con conseguente obbligo del committente di
emettere l’autofattura. La CTR ribadiva infatti
(seguendo il ragioname to dei giudici della CTP)

deroga al principio generale di territorialità
dell’IVA, di cui al 4 0 comma dell’art.7 citato,

che le prestazioni rese dalla Madler, in esecuzione
“di

un mandato di agenzia avente ad oggetto il

procacciare ordini e lavori in relazione ad alcune
attività specificamente indicate”,
“pubblicitarie”
carattere di

attività non

in senso stretto, ma aventi il

“intermediazione diretta a procurare

affari nel settore pubblicitario”,

fossero

dell’art.7 citato, non avendo il legislatore
italiano, nell’adeguamento della normativa
nazionale a quella comunitaria, previsto che
“l’attività venisse svolta da intermediari in nome
e per conto altrui”.

Con riguardo poi all’appello

incidentale dell’Agenzie ed alle prestazioni rese a
favore della italiana Maveda dalla Intune Limited,
tramite servizi elettronici, la Commissione
tributaria regionale specificava che esse
rientravano, del pari, nel 4 ° comma dell’art.7
citato, ma solo a seguito dell’intervento normativo
di cui al d.lgs. 273/2003, entrato in vigore in
data 1/8/2003, con il quale il legislatore
nazionale, in attuazione della Direttiva n.
2002/38, aveva ricompreso nella lett.d) dell’art. 7
anche le

“prestazioni di forniture di siti web e

web hosting, gestione a distanza di programmi ed
attrezzature”,

cosicché per gli anni precedenti,

quali quelli che interessavano le contestazioni
alla Maveda, vigeva per l’IVA il principio del
domicilio del prestatore e quindi era illegittimo
il recupero effettuato dall’Ufficio. I giudici
dell’appello inoltre giudicavano legittimo anche il
recupero di 1.074,23, non avendo la Maveda dato
prova che il contestato servizio ricevuto (di
banqueting,

servizio fornito da

altra ditta)

“assimilabili all’attività di intermediazione” e
quindi rientrassero nella lett.d) del 4 0 comma

rientrasse
l’attività
strumentale

nell’attività
doveva
e non

d’impresa,

considerarsi
oggetto

cosicché
“meramente

dell’attività

di

impresa”.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per
cassazione la Maveda, deducendo tre motivi di
ricorso per cassazione, per violazione e/o falsa
applicazione di norme di diritto, ex art.360 n. 3

633/1972, da leggere secondo l’interpretazione
imposta dall’art.9 comma 2 lett.c) della Sesta
Direttiva IVA n. 77/388/CEE del 17/5/1977,
direttamente applicabile in quanto assolutamente
dettagliata, precisa ed incondizionata, cosicché le
deroghe al principio generale territoriale per
l’IVA, vigente all’epoca, erano ammesse, in materia
di prestazioni di servizi rese da intermediari,
esclusivamente nel caso in cui gli intermediari
stessi avessero agito in nome e per conto altrui,
il che non si era verificato, pacificamente (fatto
questo accertato giudizialmente), nella
fattispecie; nel medesimo motivo, peraltro, viene
dedotto anche un vizio di mancanza di motivazione
o di motivazione apparente, per avere i giudici
tributari motivato soltanto sulla operatività della
norma interna), per contraddittoria motivazione su
punto decisivo controverso, ex art.360 n. 5 c.p.c.
(Motivo 2, avendo la CTR contemporaneamente
affermato e negato che il legislatore nazionale si
è adeguato alla normativa comunitaria), ed anche
per violazione e/o falsa applicazione di norma di
diritto e motivazione apodittica ed apparente, ex
art.360 n. 3 c.p.c. (Motivo 3, in relazione
all’art.19 bis 1, 1 0 comma lett.e) DPR 633/1972, in
quanto, seppure, di regola, l’imposta relativa alla

c.p.c. (Motivo l, in riferimento all’art.7 DPR

somministrazione di bevande e di alimenti sia
indetraibile, l’imposta addebitata dal fornitore è
ammessa in detrazione, nel caso in cui la stessa
sia parte di una prestazione di un servizio reso
dal committente a favore di un proprio cliente e
quindi formi

“oggetto dell’attività propria

dell’impresa”, come nella fattispecie).
In

via

subordinata,

la

ricorrente

deduce

contribuente e/o danni per l’Erario, sia operando
che non operando l’autofatturazione, e lamenta
quindi la violazione dell’art.10 dello Statuto
Contribuente, attese sia l’oggettiva complessità
della norma applicata dall’A.F. sia ma natura
“meramente formale”

della violazione fiscale e

chiede pertanto che siano annullate, nell’atto
impositivo, le sanzioni applicate.
La Maveda propone poi, sempre in via subordinata,
la rimessione pregiudiziale, previa sospensione del
giudizio, alla Corte di Giustizia UE della
questione interpretativa dell’art.9 comma 2 ° lett.
e) della VI Direttiva IVA.
L’Agenzia

delle

Entrate

ha

resistito

con

controricorso.
La ricorrente ha anche depositato memoria, ai sensi
dell’art.378 c.p.c..
Motivi della decisione
La società ricorrente lamenta, con il primo motivo,
un vizio di violazione e/o falsa applicazione di
norme di diritto, in riferimento all’art.7 DPR
633/1972, da leggere secondo l’interpretazione
imposta dall’art.9 comma 2 lett.c) della Sesta
Direttiva IVA n. 77/388/CEE del 17/5/1977, quanto
alle prestazioni rese, a suo favore, dalla società
londinese Madler.

l’insussistenza di vantaggi fiscali per il

Il primo motivo (assorbente il motivo 2), con
riguardo all’operazione intracomunitaria tra la
Maveda e la Madler, è fondato.
La questione controversa attiene alle condizioni di
assoggettabilità a Iva delle prestazioni di
servizio evidenziate nella impugnata sentenza, in
relazione al principio di territorialità per come
disciplinato dalle disposizioni vigenti all’epoca,

riorganizzazione dell’intera materia dell’ Iva, e
quindi dalle modifiche introdotte, nella normativa
nazionale, dal d.lgs. 18/2010 (che si applica alle
operazioni effettuate dal 1 0 /1/2010).
Nella specie si discorre di obblighi tributari
associati all’esercizio 2000.
Occorre

necessariamente

normativo, vigente

definire

ratione temporis,

il

quadro

con riguardo

anzitutto alle disposizioni comunitarie.
L’art.

9, par. 1 e 2,

lett. e), della sesta

direttiva, nel testo vigente ratione temporis,
luogo di

disponeva quanto segue: “/. Si considera
una prestazione di servizi il luogo

in cui il

prestatore ha fissato la sede della propria
attivita’ economica o ha costituito un centro
di attivita’ stabile, a partire dal quale la
prestazione di servizi viene resa o, in
mancanza

di tale

sede o

stabile, il

attivita’

di tale

centro di

luogo del suo domicilio o

della sua residenza abituale_ 2 lett.e). Tuttavia,
il

luogo

servizi,
della
stabiliti

seguenti

delle
rese

Comunita’

prestazioni

a destinatari stabiliti
o

a

nella Comunita’,

soggetti
ma

fuori

di
fuori

passivi
del

paese del prestatore, e’ quello in cui il
destinatario ha stabilito la sede della sua

prima della direttiva 2006/112/CE contenente la

attivita’ economica o ha costituito un centro
di attivita’ stabile per il quale si e’ avuta
la prestazione di servizi o, in mancanza di
tale sede o di tale centro d’attivita’
stabile, il luogo del suo domicilio o della
sua residenza abituale: – cessioni e concessioni
di diritti d’autore, brevetti, diritti di
licenza, marchi

di

e

diritti analoghi; – prestazioni

pubblicitarie; consulenti,
periti

e di

prestazioni

ingegneri,

commercio

fornite

da

uffici studi, avvocati,

contabili ed altre prestazioni analoghe

nonche’ elaborazioni di dati e fornitura di
informazioni;
interamente

obblighi
o

professionale,

o

di

non

esercitare

parzialmente

una

attivita’

un

diritto

di

cui

alla

presente lettera e); – operazioni bancarie,
finanziarie e assicurative, comprese le operazioni
di riassicurazione, ad eccezione della
locazione

di

casseforti; – messa a

disposizione di personale; – prestazioni di
servizi rese dagli intermediari che agiscono in
nome e per conto altrui, quando intervengono
nelle prestazioni di servizi di cui alla presente
lettera e)

(vedi Testo Francese:

“les prestations

de services effectuées par les intermédiaires qui
agissent au nom et pour le compte d’autrui,
lorsqu’lls interviennent dans la fourniture de
prestations de services visées à la presente lettre
e).” ;

Testo Inglese:

“the services of agents who

act in the name and for the account of another,
when they procure for their principal the services
referred to in this point (e).”); di un bene mobile materiale, ad

la locazione
esclusione di

qualsiasi mezzo di trasporto; – prestazioni

di

di altri

fabbrica

servizi di telecomunicazioni”.
Con riguardo sempre alla territorialità, occorre
richiamare anche il disposto dell’art.6 della Sesta
Direttiva IVA, ove, nel qualificare, in generale,
le prestazioni di servizi prese in considerazione
dalla disciplina comunitaria (“/.

Si considera

“prestazioni di servizi” ogni operazione che non
costituisce cessione di un bene ai sensi

l’altro: in una cessione di beni immateriali,
siano o no rappresentati da un titolo;- in un
obbligo di non fare o di tollerare un atto od
una situazione…”),

si precisava altresì che

“4.

Qualora un soggetto passivo che agisca a proprio
nome ma per conto di altri, partecipi ad una
prestazione di servizi, si riterrà che egli abbia
ricevuto o fornito tali servizi a titolo proprio.”.
Detta norma non produceva dunque solo l’effetto
di qualificare come prestazione di servizi
l’operazione posta in essere dal mandatario senza
rappresentanza che rendeva o riceveva servizi per
conto del mandante, ma realizzava la finalità di
dare un assetto fiscale, agli effetti IVA, ai
rapporti tra mandante e mandatario imperniato su
una

“fictio iuris”,

in base alla quale venivano

totalmente omologati ai servizi resi o ricevuti dal
mandatario quelli da

lui

resi al mandante,

realizzandosi così una finzione giuridica di due
prestazioni di servizi identiche fornite
consecutivamente. L’omologazione riguardava anche
la natura delle prestazioni rese dal mandatario
senza rappresentanza al mandante, che rivestivano
lo stesso carattere di quelle rese o ricevute dal
mandatario per conto del mandante.
In sostanza, in forza di tale finzione, il soggetto

dell’articolo 5. Tale operazione può consistere tra

che partecipava alla prestazione di servizi, vale a
dire il commissionario o il mandatario

(senza

rappresentanza), si riteneva avere, in un primo
tempo, ricevuto i servizi in questione dal soggetto
per conto

del quale agiva, vale a dire il

committente o mandante, prima di

fornire,

in un

secondo tempo, in nome proprio, tali servizi al
cliente. Come precisato anche dalla Corte di

464/10, in motivazione par.34 e 35),

“per quanto

riguarda il trattamento di tale intermediazione dal
punto di vista dell’IVA, l’art. 6, n. 4, della
sesta direttiva dispone che, qualora un soggetto
passivo che agisce in nome proprio ma per conto
altrui partecipi ad una prestazione di servizi, si
riterrà che egli abbia ricevuto o fornito tali
servizi a titolo proprio”

e pertanto

“tale

disposizione crea la finzione giuridica di due
prestazioni di servizi identiche fornite
consecutivamente. In forza di tale finzione,
l’operatore che partecipa alla prestazione di
servizi, cioè il commissionario, si ritiene avere,
in un primo tempo, ricevuto i servizi in questione
dall’operatore per conto del quale agisce, cioè il
committente, prima di fornire, in un secondo tempo,
personalmente tali servizi ad un cliente. Ne
consegue che, per quanto riguarda il rapporto
giuridico tra il committente e il commissionario,
il loro ruolo rispettivo di prestatore di servizi e
di pagatore è artificialmente invertito ai fini
dell’IVA”.
Tanto sopra, è utile al fine di chiarire le ragioni
per le quali il legislatore comunitario ha adottato
un trattamento differenziato, ai fini della
regolamentazione dell’IVA con riguardo al luogo di

Giustizia (sentenza del 14/7/2011, in causa C-

imposizione, tra intermediazioni svolte

“in nome

proprio e per conto altrui” e quelle effettuate “in
nome e per conto altrui”,

categorie dunque non

omogenee.
L’art. 9 della sesta direttiva, nel testo vigente
all’epoca, conteneva dunque le regole che
determinavano il luogo di collegamento fiscale
delle prestazioni di servizi. Mentre il par. 1 di

di carattere generale, il par. 2 del medesimo
forniva una serie di criteri di collegamento
specifici; scopo di tali disposizioni era quello di
evitare, da un lato, conflitti di competenza idonei
a portare a doppie imposizioni e, dall’altro, che
taluni cespiti non fossero assoggettati ad imposta.
La Corte di giustizia dell’Unione europea ha
costantemente negato qualsiasi preminenza del primo
paragrafo dell’art. 9 sul secondo, individuando in
quest’ultimo una disposizione tesa a fissare un
regime speciale per particolari categorie di
prestazioni di servizi. In particolare, nella
pronuncia n. 327/1994, la Corte ha avuto modo di
chiarire che

“I numeri 1 e 2 dell’art. 9 della

direttiva non dovrebbero essere interpretati nel
senso che stabiliscono una regola generale soggetta
a specifiche eccezioni. Essi hanno un obiettivo
comune: precisare il luogo della prestazione del
servizi Il n. 2 perciò dovrebbe essere
interpretato nel senso che prevede una lex
specialis riguardo alle varie prestazioni
specializzate alle quali si applica, mentre il n. 1
prevede una residuale lex generalls. Così una
tendenza sistematica ad interpretare l’art. 9 n. 2
in modo restrittivo sarebbe errata.”

(vedasi anche

sentenza 15/3/2001, nella causa C-108/00). Dunque,

tale articolo poneva, a questo riguardo, una regola

ad avviso della Corte di giustizia, i criteri
individuati nel primo paragrafo dell’art. 9 della
sesta direttiva sono criteri

residuali

più che

generali, ed i problemi interpretativi legati
all’individuazione del luogo di effettuazione delle
prestazioni devono essere risolti alla luce delle
finalità che la norma comunitaria si propone,
finalità identificabili nella necessità di evitare

conseguenti potenziali fenomeni di doppia
imposizione, di non imposizione o di distorsione di
concorrenza.
Questo può evincersi chiaramente dal Settimo
considerando della sesta direttiva:

“Considerando

che la determinazione del luogo delle operazioni
imponibili ha provocato conflitti di competenza tra
gli Stati membri, segnatamente per quanto riguarda
la cessione di un bene che richiede un montaggio o
le prestazioni di servizi ; che anche per il luogo
delle prestazioni di servizi deve essere fissato in
linea di massima là dove il prestatore ha stabilito
la sede della sua attività professionale, occorre
tuttavia fissare tale luogo nel paese del
destinatario, in particolare per talune prestazioni
di servizi tra soggetti d’imposta, il cui costo non
è compreso nel prezzo delle merci”.

In sostanza, il

legislatore comunitario ha ritenuto che, siccome il
destinatario della prestazione, soggetto passivo di
imposta, di solito, vende le merci o fornisce i
servizi che costituiscono l’oggetto di tali
specifiche attività nello Stato in cui egli è
stabilito, recuperando l’IVA corrispondente dal
consumatore finale, anche l’IVA su detti servizi,
ad es. sulla prestazione pubblicitaria, dovesse
essere versata dal destinatario a quello stesso

13

conflitti di competenza tra giurisdizioni e

Stato. La Corte di Giustizia ha concluso quindi
che, in ordine all’interpretazione dell’art. 9
della

sesta

direttiva,

non

esiste

alcuna

preminenza del n. l sul n. 2 di tale norma. La
questione che si poneva in ciascun caso consisteva
nel chiedersi se esso fosse disciplinato da
uno dei casi menzionati all’art. 9, n. 2;
altrimenti esso rientrava nel n. l (sentenza 26

dovendo l’art.

9,

n.

2, lett. e), secondo

trattino, della sesta direttiva, in quanto
eccezione ad una regola, essere interpretato in
senso restrittivo.
Il campo di

applicazione dell’art.

9,

n. 2,

della sesta direttiva doveva essere determinato
alla

luce

della

finalità

espressa dal suo settimo
quella

di

fissare

un

di

quest’ultima,

Considerando,
regime

speciale

ossia
per

talune prestazioni di servizi, immateriali per
lo più, tra soggetti di imposta, il cui costo
era compreso

nel prezzo delle merci (sentenza

Dudda citata), essendo presa in

considerazione,

come criterio di riferimento,

la natura della

prestazione

di servizi, immateriali, in quanto

tale.
La Corte di Giustizia ha inoltre chiarito (sentenza
C-108/00 del 15 marzo 2001) che le regole sulla
territorialità dell’Iva di cui all’art. 9, n. 2,
lett. e) si applicano

“non soltanto alle

prestazioni pubblicitarie fornite direttamente e
fatturate dal prestatore di servizi ad un utente
pubblicitario soggetto passivo, ma anche a
prestazioni fornite indirettamente all’utente
pubblicitario e fatturate ad un terzo che le
fattura a sua volta all’utente stesso.”

14

(cfr. anche

settembre 1996, causa C-327/94, Dudda), non

sentenza C-01/08 del 19 febbraio 2009:

“in un caso

di prestazioni di servizi indiretti, come quello
controverso nella causa principale, che comportano
un primo prestatore di servizi, un destinatario
intermedio e un committente di pubblicità che
riceve prestazioni di servizi dal destinatario
intermedio,

occorre

esaminare

separatamente

l’operazione di prestazioni di servizi fornita dal

fine di determinare il luogo d’imposizione
operazione”).

Il

criterio

di tale

speciale

di

localizzazione delle prestazioni di servizi di cui
al par.2, quali, ad es., quelle pubblicitarie si
applica

dunque

non

solo

a

quelle

fornite

direttamente e fatturate dal prestatore di servizi
ad un committente di pubblicità, ma anche alle
prestazioni fatturate ad un intermediario, che poi
le fattura, a sua volta, al committente stesso.
Passando

invece

all’esame

della

normativa

nazionale, la sesta direttiva è stata trasposta nel
diritto italiano con decreto del Presidente della
Repubblica 26 ottobre 1972,

n.

633,

recante

istituzione e disciplina dell’imposta sul valore
aggiunto.
Anzitutto, l’art.3 comma terzo ultimo periodo, in
generale, chiariva, in piena conformità al testo
dell’art.6 della Direttiva 77/388/CEE, che

“Le

prestazioni di

dal

servizi rese o ricevute

mandatari senza rappresentanza sono considerate
prestazioni di servizi anche nel rapporti tra
il mandante e il mandatario.”

(nel testo in vigore

ratione temporis).
Anche il legislatore nazionale dunque, al pari di
quello

comunitario,

aveva

distinzione tra mandato

senza

ben

presente

la

rappresentanza e

primo prestatore al destinatario intermedio, al

mandato con rappresentanza.
Osserva la Corte che, con riguardo al criterio di
individuazione del Paese in cui assoggettare ad IVA
un’operazione, questa era, in generale, nel testo
vigente ratione temporis,

tassata al domicilio del

prestatore del servizio in assenza di una norma in
deroga. L’art. 7, comma 3 DPR 633/1972,
effettivamente prevedeva, per la prestazione di

Italia, ed era quindi soggetta a IVA, solo quando
fosse stata resa da

hanno

“soggetti che

il

domicilio nel territorio stesso o da soggetti ivi
residenti che
all’estero,

non abbiano stabilito il domicilio

nonché quando

organizzazioni in Italia
residenti

all’estero

sono rese

da

stabili

di soggetto domiciliati e

ipotesi queste che,

• • • •

pacificamente, non si realizzano nel caso in esame.
E però il successivo comma 4, lett. d)
espressamente prevedeva, nel testo in vigore dal
1997, che, in deroga a quanto innanzi,

derivanti da contratti di locazione

prestazioni
anche

“…d) le

finanziaria,

noleggio e

simili

di beni

mobili materiali diversi dal mezzi di trasporto, le
prestazioni di
secondo

servizi indicate al numero 2) del
prestazioni

comma dell’articolo 3, le

pubblicitarie, di consulenza e assistenza tecnica o

legale, comprese quelle di formazione e di
addestramento del

servizi

di

personale,le prestazioni

telecomunicazioni,

di

di

elaborazione e

fornitura di dati e simili, le operazioni bancarie,
finanziarie e assicurative e le prestazioni
relative a prestiti

di

personale,

nonché

le

prestazioni di intermediazione inerenti alle
suddette prestazioni o operazioni e finanziarie e
quelle inerenti a )-d’obbligo di non esercitarle,

/

16

servizi, che essa si considerava effettuata in

nonché le cessioni di contratti relativi alle
prestazioni di sportivi professionisti, si
considerano effettuate nel territorio dello Stato
quando sono rese a soggetti domiciliati nel
territorio stesso o a soggetti ivi

residenti

che non hanno stabilito il domicilio all’estero e

Italia

di

all’estero,

rese a stabili organizzazioni in
soggetti
a

domiciliati

o

residenti

meno che non siano utilizzate

fuori dalla Comunita’ economica europea…”.
Il principio territoriale delle prestazioni di
servizio è stato poi modificato dal D.L. 331/1993
solo per alcune categorie di servizi
intracomunitari. Per quanto qui interessa, nel
testo della norma vigente

ratione temporis,

l’art.40 D.L.331/1993 prevedeva che

“le

prestazioni di intermediazione, diverse da
quelle indicate nel commi 5 e 6 – (trasporto e
prestazioni accessorie) – e da quelle relative
alle prestazioni di cui all’articolo 7, quarto
comma, lettera d) – quelle sopra esaminate -, del
decreto del Presidente della Repubblica 26
ottobre 1972, n. 633, relative ad operazioni su
beni mobili, si considerano effettuate nel
territorio

dello

Stato

se

ivi effettuate,

operazioni

relative
con

delle prestazioni di intermediazione

esclusione
rese

soggetti passivi in altro Stato membro.
il

ad

a
Se

della prestazione di

committente

intermediazione e’ soggetto passivo d’imposta nel
territorio dello Stato la

prestazione si

effettuata

ancorche’

considera

ivi

l’operazione

cui l’intermediazione si riferisce

sia effettuata in altro Stato membro”.

I servizi

pubblicitari no n rientrano tra le prestazioni
,

17

quando sono

comunitarie di cui al suddetto art.40 D.L.
331/1993.
Le deroghe presenti nel testo vigente
temporis

ratione

dell’art.7 comma 4 ° facevano riferimento

al criterio del luogo di consumo, anziché a quello
di residenza del prestatore del servizio, criterio
costituente invece espressione del principio
dell’imposta “a monte”.

non costituiva figura negoziale specifica,
dovendosi invece tale termine – adottato nella
norma, nella sua più lata e comprensiva accezione intendere riferito a tutte le figure negoziali (tra
cui il mandato, la mediazione e l’agenzia), che
comportassero una interposizione nella circolazione
dei beni e dei servizi. La prestazione dei servizi
di intermediazione viene dunque fornita, in linea
generale, nel luogo in cui si trovano la
sede dell’attività economica del prestatore o,
se del caso, il centro di attività stabile da
cui egli fornisce i servizi. Questa regola era
espressione del principio dell’
monte”

“imposta a

e consentiva di collocare geograficamente

il fatto generatore dell’obbligo fiscale, nonché
di individuare il diritto nazionale applicabile. Il
punto di riferimento si spostava dalla sede
temporanea del prestatore del servizio a quella
del destinatario nel caso in cui si trattasse di
un’intermediazione nell’ambito delle prestazioni
di cui all’art.7, comma 4 ° , lett.d), se a favore di
persone, per quanto qui interessa, soggetti passivi
di imposta, stabiliti in Italia.
Tanto premesso, la questione posta nella causa
riguarda espressamente la situazione di un soggetto
economico londin e che partecipa ad un’operazione
eA24–18

L’intermediazione, nella disposizione nazionale,

commerciale, per conto del prestatore, con sede in
Italia, di offerta di servizi pubblicitari, ma
opera in nome proprio nella raccolta di tali
ordini, presso clienti esteri.
Una tale partecipazione in nome proprio significa
che il rapporto giuridico nasce non direttamente
tra l’intermediario e l’impresa per conto della
quale il primo operatore agisce, ma tra tale

operatore e detta impresa nazionale, dall’altro
lato. Per il trattamento di tale intermediazione
dal punto di vista dell’IVA , l’art. 6, n. 4, della
sesta direttiva disponeva che, qualora un soggetto
passivo che agiva in nome proprio ma per conto
altrui, partecipava ad una prestazione di servizi,
si doveva ritenere che egli avesse ricevuto o
fornito tali servizi a titolo proprio. Tale
disposizione creava infatti la finzione giuridica
di due prestazioni di servizi identiche, fornite
consecutivamente, ed,in forza di tale finzione,
l’operatore che partecipava alla prestazione di
servizi, cioè il commissionario o il mandatario
senza rappresentanza, si riteneva avere, in un
primo tempo,

ricevuto

i servizi in questione

dall’operatore per conto del quale agiva, cioè il
committente, prima di fornire,

in un secondo tempo,

personalmente tali servizi ad un cliente.
Ne consegue che, per quanto riguarda il rapporto
giuridico tra il committente e il commissionario,
il loro ruolo rispettivo di prestatore di servizi e
di pagatore era artificialmente invertito ai fini
dell’ IVA .
In riferimento, dunque, alle prestazioni di servizi
oggetto del rapporto contrattuale tra la Maveda e
la Madler e con riguardo specifico alla distinzione

operatore ed il cliente estero, da un lato, e tale

tra intermediazione con spendita del nome del
committente o mandante ed intermediazione in nome
proprio e per conto altrui, deve concludersi che,
nell’ipotesi che qui interessa (essendo un dato
fattuale, accertato nelle decisioni dei giudici
tributari, quello che il contratto concluso tra
l’italiana Maveda e la londinese Madler era di
conferito dalla prima alla seconda,

rappresentanza,

a procurare

senza

ordini o affari

nell’ambito delle prestazioni pubblicitarie), non
pone neppure la questione dell’ operatività della
deroga di cui- all’art.7 comma 4 lett.d ) DPR
633/1972, da leggere in necessario adeguamento alla
disciplina comunitaria di cui all’art.9 par.2
lett.e) della Sesta Direttiva IVA, recante norme
incondizionate e sufficientemente precise (cfr.
Corte Giustizia 1372/1996, cause C-197/94 e C252/94; Cass. 10059/2009, tra le tante), in quanto
l’operazione intercorrente tra la mandante italiana
e la mandataria senza rappresentanza londinese, in
ambito pubblicitario, si configurava come
prestazione

di

servizi

dall’operatore nazionale

pubblicitari
ad

resa

un soggetto

comunitario, con conseguente insussistenza del
requisito territoriale, trattandosi di prestazioni
effettuate all’estero, e la non imponibilità ai
fini IVA dell’operazione.
In effetti, anche alla luce della disciplina
civilistica, mentre nel mandato con rappresentanza
gli effetti diretti della prestazione di servizi si
producono nella sfera giuridica del mandante, nel
mandato senza rappresentanza, gli effetti giuridici
ricadono direttamente sul mandatario, il quale sarà
tenuto successivamente a rendere in proprio la
stessa prestazione al mandante. In questa ipotesi,

20

mandato,

ai sensi dell’art.3 comma 3 0 DPR 633/1972, le
prestazioni di servizi rese

o ricevute dal

mandatario senza rappresentanza
prestazioni

costituiscono

di servizi anche nei rapporti tra

mandante e mandatario, mantenendo dunque la stessa
natura giuridica delle prestazioni di servizi
trasferite, oggetto del mandato (nella specie,
prestazioni pubblicitarie, per quanto accertato in

dell’individuazione del luogo di imposizione per
l’IVA relativo alle prestazioni di servizi tra
mandante e mandatario, il rapporto tra la mandante
italiana Maveda e la mandataria Madler, soggetto
comunitario, andava qualificato, per la finzione
giuridica prevista ai fini dell’applicazione del
tributo di cui all’art.3 DPR 633/1972, come
prestazione

di

servizi

pubblicitari

resi

dall’impresa nazionale al soggetto londinese (e da
questo poi

trasferiti

al

cliente-committente

estero), con conseguente insussistenza del
requisito territoriale e non imponibilità ai fini
Iva dell’operazione.
Anche il terzo motivo è fondato.
La ricorrente lamenta che l’impugnata sentenza
avrebbe falsamente applicato le disposizioni in
materia, ed in particolare il D.P.R. n. 633 del
1972, art. 19, giacché il diritto alla detrazione
concerne l’imposta relativa ai beni e ai servizi
importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa
corte, l’inerenza, che traduce l’appena riferito
concetto, esige che, rispetto all’ Iva sulle
operazioni attive, resti detraibile esclusivamente
l’imposta relativa all’acquisto di beni necessari
per l’esercizio vero e proprio dell’impresa (cfr.

fatto dai giudici tributari). Ai fini dunque

Cass. n. 3706/2010; n. 3518/2006; n. 5599/2003; n.
2729/2001, n. 4517/2000, n. 236/1999),
effettivamente destinati, cioè, dall’imprenditore
alla realizzazione degli scopi produttivi
programmati; in guisa tale che il requisito della
“inerenza”

all’esercizio d’impresa deve essere

identificato non già da un generico riferimento a
futuri proficui rapporti d’affari, sebbene sulla

quelle attive, dovendo risultare assolta la prova a onere dell’imprenditore – della strumentalità
della prima rispetto alle seconde. Può in questo
senso confermarsi che, per il riconoscimento del
diritto alla detrazione, l’inerenza va intesa alla
luce del nesso di strumentalità del bene rispetto
alla specifica attività d’impresa; cosicché, stante
l’inesistenza di deroghe ai comuni criteri in tema
di onere della prova (v. Cass. n. 7344/2011; n.
3706/2010; n. 16730/2008; n. 11765/2008), la
relativa dimostrazione si impone a carico
dell’interessato(Cass.19865/2012).
Nella specie, la CTR non ha fatto corretta
applicazione di tale principio, considerato che la
società Maveda ha come oggetto principale la
prestazione di servizi di marqueting e pertanto
l’attività di banqueting (banchetto), nell’ambito
dell’organizzazione di un briefing (conferenza),
servizio quest’ultimo reso da Maveda ad un proprio
cliente, doveva ritenersi legata alla prima da un
nesso funzionale e necessario e quindi formante
oggetto dell’attività propria dell’impresa, con
conseguente sussistenza del diritto per Maveda alla
detrazione dell’imposta addebitatale dal fornitore,
e susiste il denunciato vizio di violazione di
legge.

22

base del raffronto tra l’operazione passiva e

?
AI SENS’,
N. 131 TA -3. ALL. – N.5
La
Corte
accoglie
pertanto
il
ricorso, MATERIA TRIBUTARIA
relativamente al primo motivo, inerente violazione
di legge con riguardo all’operazione MavedaMadler,assorbito il secondo, ed al terzo motivo,
inerente violazione del disposto del DPR 633/1972
inerente la detraibilità dell’imposta relativa ad
un servizio di somministrazione di alimenti e
bevande ricevuto da terzi, con conseguente

e, decidendo nel merito, non essendo necessari
ulteriori accertamenti in fatto, accoglie il
ricorso introduttivo della Maveda, compensando
integralmente tra le parti le spese del giudizio di
merito e del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, quanto al primo
motivo, assorbiti il secondo, ed al terzo motivo,
cassa la sentenza impugnata senza rinvio e,
decidendo nel merito, accoglie il ricorso
introduttivo della contribuente Maveda, compensando
tra le parti integralmente le spese del giudizio di
merito e quelle del giudizio di legittimità.
Deciso

in Roma, nella camera di consiglio della

cassazione della sentenza impugnata, senza rinvio,

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