Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24 del 05/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 05/01/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 05/01/2021), n.24

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 545-2020 proposto da:

L.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE BRIGANTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 11/11/2019

R.G.N. 833/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto n. 13629/2019 il Tribunale di Ancona ha respinto l’impugnazione proposta da L.M., cittadino nigeriano, avverso il provvedimento con il quale la C.T. aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione, sussidiaria e umanitaria;

2. l’odierno ricorrente ha motivato la necessità di allontanamento dal paese di origine con una concomitanza di eventi; il primo, rappresentato dal fatto che le persone della sua comunità, chiamata Ogbohunlor, volevano costringerlo a venerare l’idolo di una setta alla quale era predestinato al compimento del venticinquesimo anno di età – in contrasto con la religione cristiana alla quale apparteneva e per questo sin da giovane aveva pensato di fuggire; il secondo rappresentato dal fatto che all’esito di un conflitto nel regno di Abavo era stato nominato un re di appartenenza musulmana che aveva cercato consenso anche fra i membri della comunità del ricorrente, il cui padre, essendo rimasto neutrale, si era visto distruggere il ristorante che aveva all’epoca ed era stato costretto a trovare rifugio con la famiglia in un’altra cittadina nella quale l’odierno ricorrente aveva aperto un negozio di barbiere; da tale cittadina era stato indotto a fuggire in quanto testimone di un omicidio avvenuto nei pressi della sua abitazione per cui aveva avuto timore di essere accusato del delitto dalla polizia e di venire ucciso dagli autori del reato in quanto testimone dell’accaduto;

3. ha ritenuto il Tribunale che il racconto del ricorrente non fosse credibile e che non fossero state offerte giustificazioni per considerare il rischio di subire un flagrante diniego di giustizia nel paese di origine; la narrazione era poco plausibile e le dichiarazioni apparivano incoerenti e confuse in merito alla situazione della regione di provenienza – il Delta State – in quanto le notizie acquisite da fonti qualificate evidenziavano che si trattava di un’area non interessata da situazioni di conflitto armato tale da comportare un grado di generalizzata e permanente; non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato non avendo l’interessato offerto elementi attendibili sulla situazione individuale dai quali desumere il pericolo di una persecuzione grave e non risultando deteriorati gli strumenti istituzionali di protezione nel paese di origine; infine, non sussistevano i presupposti per la concessione della protezione umanitaria posto che nel paese di provenienza esistevano strumenti istituzionali oppure privati i quali avevano comunque una forma aggregativa ed una funzione di protezione dei propri membri; in relazione al livello socio economico non risultava attestato in atti alcuno sforzo ai fini dell’effettiva integrazione nel tessuto socio economico italiano risultando rivelandosi a tal fine inidonei gli attestati relativi alla partecipazione a corsi di formazione, di volontariato o di apprendimento della lingua italiana ecc.;

4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso L.M. sulla base di quattro motivi, successivamente illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.;

5. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo parte ricorrente deduce nullità del decreto per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 1, comma 11, lett. a) e art. 13, degli artt. 737 e 135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, dell’art. 106Cost., comma 2, art. 111 Cost., comma 6, e della L. n. 46 del 2017, art. 2.

Denunzia apparenza di motivazione per non avere il Tribunale argomentato compiutamente in ordine alla valutazione di non credibilità del richiedente, valutazione che assume frutto della mancata applicazione dei criteri legali D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 3 e 5; lamenta, inoltre, il mancato confronto con aggiornate fonti internazionali; denunzia contraddittorietà della decisione per avere da una parte affermato la non credibilità del ricorrente e dall’altra comunque utilizzato le relative dichiarazioni per escludere alla stregua delle stesse la possibilità di un grave danno nell’ipotesi del rientro; deduce, infine, che la circostanza che l’udienza nel corso della quale si era verificata l’audizione del ricorrente da parte del GOT delegato dal giudice relatore si traduceva in palese violazione dello spirito della legge nonchè dell’art. 106 Cost., comma 2, e della L. n. 46 del 2017, art. 2 in quanto la possibilità di utilizzare il GOT non può ritenersi operante in materia di protezione internazionale, materia attribuita al Tribunale in composizione collegiale; tanto determinava la nullità della decisione;

2. con il secondo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti. Si duole della omessa valutazione della vicenda narrata dal richiedente, come già richiamata ed esposta alla C.T., della situazione socio- economica della Nigeria alla luce di fonti aggiornate alla data della decisione, degli aspetti, verbali e non verbali, della narrazione del ricorrente; denunzia, inoltre, omessa valutazione comparativa effettiva degli elementi di vulnerabilità presenti, in particolare con riguardo alla circostanza che il sistema istituzionale nigeriano non offriva le garanzie riconosciute dalla Costituzione italiana e tanto configurava un ostacolo all’esercizio delle libertà democratiche; rappresenta, inoltre, che l’adesione del Tribunale alle conclusioni già raggiunte dalla C.T., attuata in assenza di autonoma valutazione critica, ove ritenuto non configurare il vizio di attività del giudice di merito rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 denunziato con il primo motivo, integrava il vizio di omesso esame, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

3. con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, artt. 3 e 32 Cost., della L. n. 881 del 1977, art. 11, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 37, 32, art. 35 bis, comma 9 e comma 11, lett. a) e dell’art. 16 Direttiva Europea n. 2013/32 nonchè degli artt. 2 e 3, anche in relazione all’art. 115 c.p.c. e al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt., 5, 6, 7, e 14 e al TU n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 2;

3.1. sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto prendere in esame tutte le dichiarazioni del ricorrente e valutarne la credibilità alla luce dei parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e nel caso di residue incertezze attivare i poteri istruttori di ufficio; si duole dell’utilizzo da parte del Tribunale di clausole di stile e del fatto che la decisione adottata ometteva di confrontarsi con la specifica vicenda del richiedente; rappresenta che in mancanza di video registrazione dell’intervista svolta in sede amministrativa davanti alla C.T. il libero interrogatorio dinanzi al Tribunale non si configurava quale mero adempimento burocratico per cui occorreva la valutazione da partem del collegio giudicante anche di tutti i risvolti non verbali delle dichiarazioni del ricorrente; in questa prospettiva ribadisce la violazione dello spirito della legge per essere l’interrogatorio del ricorrente stato effettuato dal GOT delegato dal magistrato designato; ribadisce, inoltre, che le fonti informative devono essere aggiornate e che il danno grave non può essere escluso dal fatto che lo stesso possa scaturire da soggetti privati laddove, come nel caso di specie, l’autorità statuale non era in grado di fornire adeguata ed effettiva tutela;

4. con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 13 Convenzione EDU, dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e all’art. 46 Direttiva n. 2013/32;

4.1. in sintesi assume violazione dei principi delle richiamate fonti internazionali e comunitarie sotto il profilo della necessità di effettività di tutela implicante un obbligo di cooperazione da parte dello Stati laddove gli elementi forniti dal richiedente la protezione non risultassero esaustivi, attuali o pertinenti;

5. il primo motivo di ricorso è inammissibile;

5.1. occorre esaminare con priorità, rispetto alle molteplici ragioni di doglianza articolate con il motivo in esame, quella incentrata sul fatto che l’audizione del ricorrente è stata effettuata dal GOT e non dal Tribunale in composizione collegiale stante il carattere dirimente collegato all’eventuale accoglimento;

5.2. la censura è inammissibile per difetto di autosufficienza; posto che la circostanza che l’interrogatorio del L. era stato condotto dal GOT non emerge dal provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, costituiva onere del ricorrente, consentirne al collegio la verifica mediante la trascrizione degli atti di pertinenza nel ricorso per cassazione; tale onere non è stato assolto nè il rilevato difetto di specificità della censura può essere superato dalla riproduzione nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 – bis.1. c.p.c. del verbale dell’udienza del 19.9.2019 stante la funzione illustrativa e non integrativa di tale atto (Cass. n. 30760/2018, n. 17603/2011);

5.3. tanto assorbe l’ulteriore rilievo di infondatezza nel merito del motivo alla luce della giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito che in tema di protezione internazionale non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale abbia svolto attività processuali e abbia poi rimesso la causa per la decisione al collegio della sezione specializzata in materia di immigrazione, in quanto l’estraneità di detto giudice al collegio non assume rilievo a norma dell’art. 276 c.p.c., dato che, con riguardo ai procedimenti camerali, il principio di immutabilità del giudice non opera con riferimento ad attività svolte in diverse fasi processuali (Cass. n. 7878/2020, n. 4887/2020);

5.4. la decisione non è affetta dal vizio di motivazione apparente la quale sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico alla base del decisum; dalle argomentazioni esibite dal giudice di merito a sostegno del rigetto della domanda di protezione, sono evincibili i passaggi logico-giuridici che ne sono alla base, passaggi riassumibili nella mancanza di credibilità del complessivo racconto del ricorrente, nella possibilità di ricevere adeguata tutela nei confronti delle minacce di privati da parte dell’autorità statuali o dalla comunità di riferimento secondo quanto attestato dalle fonti consultate, nell’assenza di elementi giustificativi della protezione umanitaria anche alla luce della inconfigurabilità di un radicamento effettivo in Italia;

5.5. la doglianza con la quale è denunziata contraddittorietà di motivazione è inammissibile non essendo più configurabile con l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, il vizio di contraddittoria motivazione atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4) (Cass. n. 13928/2015);

5.6. neppure sussiste la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 prospettata nell’illustrazione del motivo posto che, a differenza di quanto assume la parte ricorrente, la decisione impugnata è invero pienamente coerente con i principi posti dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un. n. 27310/2018), in quanto il giudice di merito ha svolto quel “… ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria” che è ritenuto necessario, in materia di protezione internazionale, a seguito del recepimento in Italia della Direttiva 2004/83/CE, operato con D.Lgs. n. 251 del 2007. Il Tribunale ha infatti adempiuto al dovere di cooperazione del giudice nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, esercitando i suoi poteri istruttori officiosi in quanto ha analizzato la situazione del paese di provenienza dando contezza delle fonti – aggiornate, v. in particolare pagg. 3, 4 e 6 del decreto in concreto utilizzate;

6. il secondo motivo di ricorso è inammissibile per non essere la censura articolata conforme all’attuale configurazione del vizio di motivazione; la giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Cass., Sez. Un. 33679/2018, n. 8053/2014) è costante nell’affermare che: il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134), applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; – neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; – nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, risolvendosi nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (non denunciata nella fattispecie);

6.1. il motivo in esame non è sviluppato in coerenza con tali indicazioni posto che è del tutto carente l’indicazione dello specifico fatto storico-fenomenico, avente carattere decisivo nella soluzione della controversia, fatto da evocarsi nel rispetto delle prescrizioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6; le doglianze del ricorrente si limitano infatti alla generica denunzia di omessa valutazione della vicenda narrata, della situazione socio economica, di fonti aggiornate ecc. (v. ricorso, pag. 45) e risultano in definitiva intese a sollecitare una inammissibile revisione del giudizio di fatto operato dal giudice di merito non avendo il ricorrente offerto, nel ricorso, alcuno specifico elemento idoneo ad inficiare le premesse e lo svolgimento del ragionamento logico-argomentativo e del percorso motivazionale del provvedimento impugnato;

7. il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto privo di specificità; il vizio di violazione di legge, infatti, va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 287/ 2016, n. 635/2015, n. 25419/ 2014; Cass. n. 16038/2016, n. 3010/2012);

7.1. parte ricorrente non individua alcuna affermazione in diritto in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie nè tantomeno identifica uno specifico vizio di sussunzione del fatto accertato nella ipotesi normativa, ma ascrive apoditticamente al giudice di merito la violazione dei parametri normativi nella verifica di credibilità del racconto del ricorrente, nella cooperazione istruttoria e nell’acquisizione di elementi sulla base di fonti aggiornate, violazione da ritenersi insussistente che alla luce di quanto già rappresentato al paragrafo 5.6.;

8. il quarto motivo di ricorso è inammissibile per assoluta genericità della censura;

8.1. parte ricorrente si limita ad invocare principi scaturenti dalle richiamate norme sovranazionali e internazionali, in particolare in tema di effettività di tutela del richiedente la protezione, ma non chiarisce con riferimento alla specifica vicenda, in che modo il giudice di merito se ne sarebbe discostato nè specifica quali sarebbero in tesi i documenti, dallo stesso acquisibili, destinati ad avere concreto rilievo nella vicenda;

6. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

7. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2021

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