Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23997 del 12/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 12/10/2017, (ud. 19/06/2017, dep.12/10/2017),  n. 23997

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25954-2013 proposto da:

V.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

EMANUELE GIANTURCO 6, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO SCIUTO,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UFFICIO TERRITORIALE GOVERNO PREFETTURA GENOVA, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2125/2013 del TRIBUNALE di GENOVA, depositata

il 27/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SCIUTO Filippo, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

V.M. ha proposto ricorso, sulla scorta di cinque motivi, per la cassazione della sentenza con cui il tribunale di Genova, confermando la sentenza del giudice di pace della stessa città, ha rigettato l’opposizione da lei proposta avverso due ordinanze ingiunzione emesse dal prefetto di Genova, relativamente a due violazioni del disposto dell’art. 7 C.d.S., comma 14, addebitate alla opponente per essere transitata, il (OMISSIS), in zona a traffico limitato del Comune di Genova.

Il prefetto di Genova ha resistito con controricorso.

Il ricorso, avviato alla discussione in sede camerale ex art. 380 bis c.p.c., comma 1 nell’adunanza del 20 gennaio 2017, è stato rimesso alla pubblica udienza, in relazione alla questione della competenza ad emettere le ordinanza istitutiva della zona a traffico limitato, ed è stato quindi chiamato alla pubblica udienza del 19 giugno 2017, per la quale la ricorrente ha depositato una memoria e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’errore in cui il tribunale genovese sarebbe incorso non rilevando il difetto di legittimazione processuale del Viceprefetto Aggiunto B.G., che aveva rappresentato l’Amministrazione davanti al Giudice di pace, ancorchè nel fascicolo di primo grado della Prefettura fosse presente una delega a stare in giudizio rilasciata al Viceprefetto Aggiunto G.M.P..

La ricorrente invoca il disposto della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 4, assumendo che il riferimento normativo della sentenza gravata all’art. 204 bis C.d.S.sarebbe non pertinente ed erroneo.

Il motivo è infondato perchè l’art. 204 bis, comma 4 bis, correttamente citato dal tribunale di Genova, nel testo, applicabile ratione temporis, inserito dalla L. n. 120 del 2010, art. 39 recita esattamente: “Il prefetto può essere rappresentato in giudizio da funzionari della prefettura-ufficio territoriale del Governo”, senza alcun riferimento alla necessità di apposite deleghe; donde l’irrilevanza di qualunque accertamento in fatto in ordine all’eventuale rilascio di una (inutile) delega a funzionario diverso da quello che concretamente rappresentò la prefettura davanti al Giudice di pace.

Il secondo motivo si articola in tre distinte censure.

Con la prima censura del secondo motivo si lamenta la mancata disapplicazione dell’ordinanza sindacale istitutiva della Z.T.L. per essere stata la stessa emanata da autorità incompetente e, precisamente, dal Sindaco invece che dal competente dirigente dell’amministrazione comunale.

La censura va giudicata inammissibile. La ricorrente assume che la deliberazione politica relativa alla realizzazione di una Z.T.L. risalirebbe alla Delib. Giunta comunale n. 498 del 2008 e che la concreta attuazione di tale deliberazione politica sarebbe stata realizzata con atti del Sindaco (ordinanze sindacali n. 195 del 4/3/09 e n. 314 del 2/4/09) invece che della dirigenza amministrativa, come previsto dalla legge (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107 – T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali; D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4 – Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità (Cass. 13885/10).

Osserva il Collegio che l’assunto della ricorrente non è supportato, come imposto dall’onere di autosufficienza del ricorso per cassazione, dalla riproduzione, almeno in forma sintetica, del contenuto delle suddette ordinanze della Giunta e del Sindaco e nemmeno dalla indicazione della sede di merito in cui le stesse sarebbero state prodotte; nel ricorso, anzi, non si fa alcun riferimento alla produzione di dette ordinanza nel giudizio di merito, ma si riferisce soltanto che delle stesse si farebbe menzione nelle controdeduzioni dell’Organo accertatore al Prefetto del 29.12.10, allegate dall’Amministrazione come doc. 3 del fascicolo di primo grado e come doc. “D” del fascicolo di secondo grado (paragrafi 2.1 e 2.6 del ricorso per cassazione); cosicchè la doglianza relativa all’errore in cui il tribunale sarebbe incorso nel non rilevare l’incompetenza del Sindaco all’adozione delle ordinanze n. 195 del 4/3/09 e n. 314 del 2/4/09 risulta formulata senza mettere la Corte di cassazione in condizione di apprezzare il contenuto di tali ordinanze e, quindi, di verificare se le stesse, come sostenuto dalla ricorrente, fossero dirette a regolamentare aspetti particolari della circolazione su singole strade del centro abitato, limitandosi ad attuare la Delib. Giunta del 2008, o se, viceversa, esse avessero un contenuto deliberativo implicante il coinvolgimento dell’organo politico, come ritenuto nella sentenza gravata. D’onde l’inammissibilità della censura per carenza di autosufficienza.

Con la seconda censura del secondo motivo la ricorrente denuncia l’errore in cui il tribunale sarebbe incorso confondendo l’omologazione ministeriale rilasciata in relazione alle telecamere delle società Elsag utilizzate per il controllo degli accessi alla Z.T.L., prodotta in giudizio dall’Amministrazione, con l’autorizzazione ministeriale alla istallazione delle telecamere nella zona oggetto di causa, non mai prodotta dall’Amministrazione e la cui assenza costituiva motivo di illegittimità della sanzione amministrativa denunciato in sede di opposizione alle ordinanze ingiunzione prefettizie.

La censura va disattesa perchè la valutazione delle risultanze processuali operata dal giudice di merito – che, nella specie, ha condotto il tribunale genovese a ritenere sussistente l’autorizzazione ministeriale di cui al D.P.R. n. 250 del 1998, art. 1 all’installazione delle telecamere per le riprese a distanza (cfr. l’ultimo capoverso di pag. 7 della sentenza gravata) – non è censurabile in sede di legittimità; questa Corte ha infatti già chiarito, con la sentenza n. 11892/16, che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nè nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che, nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012, attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè nel paradigma del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

Con la terza censura del secondo motivo la ricorrente denuncia l’errore in cui il tribunale sarebbe incorso non disapplicando l’ordinanza sindacale istitutiva della Z.T.L. per essere stata la stessa emanata in difetto del parere del Municipio, previsto obbligatoriamente dal Regolamento comunale. La censura è inammissibile perchè non attinge la ratio decidendi sviluppata nel paragrafo 6 della sentenza gravata (pag.8) – autonomamente idonea a sorreggere la statuizione impugnata – secondo cui “trattandosi di (non contestata) conferma di precedente divieto già istituito nel 1987, quando il parere in questione non era obbligatorio, non vi era ragione di ulteriore consultazione”.

Il terzo motivo di ricorso si articola in due censure.

Con la prima censura del terzo motivo si critica la sentenza gravata per aver ritenuto che la segnaletica che indicava la presenza della Z.T.L. fosse vincolante nonostante che i cartelli non contenessero, sul retro, l’indicazione degli estremi dell’ordinanza di apposizione.

La censura va disattesa perchè, come questa Corte ha già chiarito con la sentenza n. 16884/07, sulla legittimità del provvedimento amministrativo che ha imposto il divieto di sosta in una determinata zona, non incide l’eventuale mancanza delle indicazioni che ai sensi del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 77, comma 7, vanno riportate sulla parte posteriore del relativo segnale stradale.

L’obbligatorietà della prescrizione contenuta nel detto segnale, infatti, dipende esclusivamente dalla legittimità della apposizione del segnale stesso, la quale – come per tutti gli atti amministrativi – è correlata alla provenienza dell’ordine dall’autorità competente, al rispetto delle disposizioni primarie e secondarie che disciplinano il potere specifico e al rispetto delle forme prescritte.

Con la seconda censura del terzo motivo la ricorrente lamenta come le ordinanze istitutive della Z.T.L. “se effettivamente esistenti” (paragrafo 3.1 del ricorso) non sarebbero mai state prodotte e argomenta che, ai fini della legittimità di una sanzione, sarebbe “indispensabile la prova, incombente a carico dell’amministrazione proprietaria della strada, dell’effettiva esistenza di un’ordinanza motivata che legittimi la prescrizione ravvisato della segnaletica” (paragrafo 3.3.1 del ricorso).

La doglianza è inammissibile perchè pone in sede di legittimità una questione nuova, non dedotta in sede di merito. Dalla sentenza di secondo grado (come pure dalla narrativa del processo svolta nel ricorso per cassazione) non emerge, infatti, che la sig.ra V. abbia mai contestato, davanti al Giudice di pace nè davanti al tribunale, il contenuto dell’atto di controdeduzioni dell’Organo accertatore al Prefetto del 29.12.10; atto che, come riferisce la stessa ricorrente (cfr. paragrafo 2.1 del ricorso per cassazione), era stato allegato dall’Amministrazione come doc. 3 del fascicolo di primo grado e conteneva l’affermazione che la Z.T.L. era stata istituita con le Delib. Giunta comunale n. 498 del 2008 e con ordinanze del Sindaco n. 195 del 4/3/09 e n. 314 del 2/4/09.

Con il quarto motivo di ricorso, promiscuamente riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 la ricorrente censura il mancato rilievo, da parte del tribunale, dell’incompetenza del soggetto che aveva rilevato l’infrazione, non risultando dai relativi verbali di contestazione se tale soggetto fosse un agente di polizia municipale o un ausiliario del traffico; secondo la ricorrente il tribunale avrebbe mal governato i principi regolativi della distribuzione dell’onere della prova nell’affermare che non era stato dimostrato che l’Amministrazione civica non si attenesse alle disposizioni che assegnano alla Polizia Municipale il potere di rilevamento delle infrazioni in materia di accesso alla Z.T.L..

Il motivo è inammissibile perchè non attinge specificamente la ratio decidendi della sentenza gravata, la quale si articola nel duplice giudizio di fatto che:

a) L’appartenenza dell’accertatore al corpo di Polizia Municipale era desumibile dalla “provenienza del verbale di accertamento” e dal rilievo che “la identificazione mediante matricola è una caratteristica che connota l’identificazione degli agenti e non degli ausiliari del traffico” (pag. 14, ultimo capoverso, della sentenza);

b) L’accertatore era comunque identificabile nell’ agente della Polizia Municipale sig. S., abilitato alla redazione dei verbali di infrazione (pag 15, secondo capoverso, della sentenza).

La doglianza del ricorrente non censura il giudizio di fatto sub a) con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (unico mezzo attraverso il quale è possibile sollecitare il sindacato della Corte di cassazione sui giudizi di fatto del giudice di merito) e non censura in alcun modo il giudizio di fatto sub b); d’onde il suo difetto di specificità.

Con il quinto motivo di ricorso, promiscuamente riferito all’art. 360 c.p.c., nnm. 3 e 4 la ricorrente censura il mancato rilievo, da parte del tribunale, dell’incompetenza del soggetto che aveva rilevato l’infrazione, non essendo stato dimostrato che il medesimo, ove fosse stato dipendente dall’azienda di trasporto comunale, fosse munito della qualifica ispettiva. Anche questo motivo difetta di specificità, perchè la sentenza gravata non afferma che l’accertatore fosse un dipendente dall’azienda di trasporto comunale, ma – come si è evidenziato nell’esame del quarto motivo di ricorso – pone a fondamento del decisum l’accertamento di fatto che l’accertatore era identificabile nell’ agente della Polizia Municipale sig. S., abilitato alla redazione dei verbali di infrazione; accertamento di fatto in relazione al quale le doglianze spiegate nel quinto motivo di ricorso vanno rigettate perchè inidonee ad attingere il giudizio di fatto del giudice di merito.

Il ricorso va quindi, in definitiva, rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, D.Lgs. n. 546 del 1992.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso principale.

Condanna la ricorrente a rifondere alla contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 800, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, D.Lgs. n. 546 del 1992, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017

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