Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23996 del 30/10/2020

Cassazione civile sez. III, 30/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 30/10/2020), n.23996

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31327/2019 proposto da:

I.J., elettivamente domiciliato in Roma, Via Comano 95,

presso lo studio dell’avvocato Luciano Faraon, rappresentato e

difeso dall’avvocato Andrea Faraon;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3895/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 da Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. – Con ricorso affidato a un solo, articolato, motivo, I.J., cittadino (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Venezia, resa pubblica il 27 settembre 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima Città, che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale del riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) sussisteva il giudicato sulla domanda relativa allo status di rifugiato in quanto non impugnato concernente il rigetto di detta domanda; b) non sussisteva nella specie il dovere di cooperazione istruttoria a fronte di “dichiarazioni intrinsecamente inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; c) in ogni caso, anche ove fossero ritenute credibili le dichiarazioni del richiedente (che aveva narrato di aver lasciato il Ghana “per timore di essere ucciso dallo zio per motivi ereditari”), non potevano comunque dar luogo alla “concedibilità della protezione internazionale”, perchè riguardanti una vicenda a “carattere esclusivamente privato-familiare”; d) era generica la censura sul mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, mancandone, in ogni caso, i presupposti, anche in riferimento del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non risultando, da attendibili fonti di informazione (EASO del marzo/settembre 2017), che in Ghana vi fosse una situazione di conflitto armato interno foriero di violenza indiscriminata; e) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo il richiedente in situazione di vulnerabilità in caso di rimpatrio nel Paese di origine, quale situazione “esclusa secondo quanto si desume dalle COI sopra richiamate”.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione ad udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. – Con l’unico, articolato, mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3”, per aver errato il giudice di appello: a) nel ritenere sussistente il giudicato sul rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, in assenza di specifica impugnazione, stante il “principio di unitarietà della domanda di protezione internazionale”, così da omettere anche la necessaria cooperazione istruttoria; b) nel ritenere non credibile il richiedente in relazione all’istanza di concessione della protezione sussidiaria, avendo mancato di valorizzare le persistenti criticità, in Ghana, in punto di garanzia del “pieno esercizio dei diritti umani fondamentali” e di corruzione dell’apparato di sicurezza”, nonchè la situazione socio-politica di “rischio terrorismo” evidenziata dal sito “(OMISSIS)” aggiornato al gennaio 2019, così da omettere la necessaria cooperazione istruttoria, in riferimento: c) nel ritenere non credibile il richiedente in riferimento al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, avendo mancato di valorizzare l’integrazione del richiedente nel nostro Paese, dove egli prestava attività di lavoro retribuita, avendo, inoltre, reciso ogni legame con il Paese di origine.

2. – Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

2.1. – La censura sub a) è infondata.

Nella specie trova applicazione ratione temporis il regime processuale di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 (nella formulazione precedente alla novella di cui al D.L. n. 13 del 2017, convertito dalla L. n. 46 del 2017), che rende assoggettabili al rito sommario di cognizione (art. 702 bis c.p.c.) le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti previsti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e, dunque, alla disciplina dell’appello dettata dall’art. 702 quater c.p.c., che non deroga al principio, recato dall’art. 342 c.p.c., del c.d. “tantum devolutum quantum appellatum”, per cui il giudizio di appello è limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame (cfr. anche Cass. n. 11465/2013).

La mancata impugnazione del rigetto, pronunciato dal giudice di primo grado, sulla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato (ciò che neppure il ricorrente contesta) comporta, quindi, che sul punto si sia formato il giudicato interno. Non conferente, dunque, si palesa la difesa del ricorrente allorquando richiama il principio della unitarietà della domanda in materia di protezione internazionale, giacchè incentrata sulla diversa prospettiva del giudizio proposto all’esito negativo della fase amministrativa (quello di primo grado), che – secondo orientamento consolidato (tra le tante, Cass. n. 30105/2018) – non si configura come giudizio impugnatorio del provvedimento della Commissione territoriale, bensì avente ad oggetto il diritto soggettivo dell’istante alla protezione invocata.

Giudizio di primo grado che, comunque, non si sottrae al principio dispositivo e, dunque, al principio della domanda, nel senso che la deroga a detto principio per effetto delle speciali regole di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, non vale quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore (Cass. n. 19197/2015, Cass. n. 13088/2019, Cass. n. 8819/2020).

2.2. – La censura sub b) è in parte infondata e in parte inammissibile.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ovvero come violazione del c.d. “minimo costituzionale” della motivazione, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., n. 4 (Cass. n. 3340/2019; Cass. n. 31579/2019).

Il ricorrente non ha censurato in modo specifico e congruente, nei termini innanzi ricordati, il giudizio di inattendibilità ribadito dal giudice di appello, mancando, altresì, di specificare quali fossero le critiche mosse sul punto in sede di gravame alla decisione del primo giudice (nè provvedendo al alcuna localizzazione processuale delle stesse).

Quanto, poi, alla protezione sussidiaria di cui alla lett. c) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, la Corte territoriale ha, comunque, escluso la sussistenza di una situazione di conflitto armato nel Paese di origine del richiedente, affidandosi a COI che non sono specificamente censurate al riguardo dal ricorrente, se non con il riferimento, non congruente, a “rischio terrorismo” e alla corruzione degli organi di polizia, desunti peraltro da fonte (sito “(OMISSIS)” del Ministero degli affari esteri), i cui contenuti – se non corroborati da altre pertinenti e recenti fonti informative – sono per sè inidonei (per le preminenti finalità di assistenza al turismo che connota la fonte) a fornire informazioni pienamente adeguate e attendibili sulle effettive situazioni di criticità del tessuto sociale, politico ed economico dei territori considerati.

2.3. – La censura sub c) è infondata.

In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., S.U., n. 29459/2019, Cass. n. 8819/2020).

La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tale principio, là dove ha ritenuto – in base agli elementi di prova raccolti – non sussistere alcuna situazione personale di vulnerabilità nel paese di origine, non essendo sufficiente a tal proposito il solo percorso d’integrazione intrapreso dal ricorrente nel nostro Paese, che, peraltro, ha reputato privo del sostegno di specifiche allegazioni.

La censura, invero, formulata in modo affatto generico e calibrata essenzialmente sulla situazione di integrazione (riferendosi al Paese di origine solo per la assenza di legami familiari), si sostanzia in una sollecitazione alla Corte di legittimità di rivalutare i presupposti fattuali sottesi alla reclamata protezione umanitaria e ciò a fronte di una motivazione che, in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, ha evidenziato, con valutazioni in fatto, l’assenza di una condizione di soggettiva e oggettiva vulnerabilità del richiedente.

3. – Ne consegue il rigetto del ricorso.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva della parte intimata.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

 

 

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