Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23996 del 23/10/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 23996 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: GRECO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIALTO srl, rappresentata e difesa dall’avv. Giancarlo Zoppini e

dall’avv. Giuseppe Pizzonia, presso il quale è elettivamente
domiciliata in Roma in via della Scrofa n. 48;

ricorrente

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
presso la quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n.
12;
– contzumicorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Lombardia n. 60/39/06, depositata il 5 luglio 2006.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 30 novembre 2012 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
uditi l’avv. Giuseppe Russo Corvace per la ricorrente e
l’avvocato dello Stato Giovanni Palatiello per la
controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Federico Sorrentino, che ha concluso per il

Data pubblicazione: 23/10/2013

Imposte dirette beni
ammortizzabili di
modesto valore
unitario – IVA distacco di
personale

à

rigetto del ricorso.
RATTO E DIRITTO

La srl Rialto propone ricorso per cassazione, sulla base di
sei motivi, nei confronti della sentenza della Commissione
tributaria regionale della Lombardia che, accogliendo
parzialmente l’appello dell’Agenzia delle entrate, in relazione
all’avviso di accertamento ai fini dell’IRPEG, dell’IRAP e
dell’IVA per il periodo d’imposta 1999-2000, ha ritenuto
ammortizzabili di valore unitario inferiore al milione non
suscettibili di autonoma utilizzazione, ed ha ritenuto
indetraibile l’IVA corrisposta dalla contribuente alla spa
capogruppo Il Gigante in relazione al costo del personale da
questa riaddebitato, nell’ambito del rapporto intercorso fra le
società: secondo il giudice d’appello ricorreva infatti l’ipotesi
di distacco o prestito di personale, per il quale non sussistono
i presupposti per l’applicazione dell’IVA quando le somme pagate
corrispondono esattamente al costo sostenuto, quando cioè
l’impresa beneficiaria corrisponda un compenso che non eccede
l’importo del costo riaddebitato.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
MOTIVI DELIADECISIE

Con i primi due motivi del ricorso la contribuente
denuncia, sotto il profilo dell’error in procedendo, la nullità
della sentenza d’appello, rispettivamente, per avere il giudice
deciso, in ordine all’eccezione di inammissibilità del gravame,
soltanto implicitamente, senza nulla argomentare, e per aver
omesso di dichiarare l’inammissibilità dell’appello, privo, si
assume, dell’esposizione sommaria dei fatti e di specifici motivi
di impugnazione.
I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto legati,
sono infondati.
Questa Corte ha chiarito come “ad integrare gli estremi
della omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa
statuizione del giudice, essendo necessario che sia completamente
omesso il provvedimento che si palesa indispensabile in
riferimento alla soluzione del caso concreto: il che non si
verifica quando la decisione adottata, in contrasto con la

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indeducibile dal reddito imponibile il costo di acquisto di beni

pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto, anche
se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo
ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa
avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti
incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della
pronuncia” (Cass. n. 10696 del 2007, n. 20311 del 2011).
Nella specie la Commissione regionale ha esaminato
direttamente il merito dell’appello dell’ufficio, disattendendo
trascritta nello “svolgimento del processo”, di “inammissibilità
del ricorso in quanto non contenente l’esposizione sommaria dei
fatti ed i motivi specifici di impugnazione”.
Del resto, le censure dell’amministrazione appellante alla
sentenza di primo grado, che occupano cinque paragrafi dello
“svolgimento del processo”, appaiono articolate e tutt’altro che
generiche.
Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia “nullità
della sentenza nella parte in cui, in riforma della decisione dei
primi giudici, ha confermato la ripresa a tassazione relativa ai
costi per cespiti di valore inferiore al milione di lire, per
difetto di motivazione ai sensi degli artt. 1, secondo coma, e
36, secondo coma, n. 4), d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546,
dell’art. 132, secondo coma, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art.
118 disp. Att., in relazione all’art. 360, primo coma, n. 4),
cod. proc. civ.”, per avere il giudice d’appello “basato la
propria decisione su un’interpretazione del dato positivo (quella
secondo cui, ai sensi dell’art. 67, sesto coma del tuir sarebbe
necessario, per la deduzione dei costi integrali nell’esercizio
di sostenimento, il fatto che gli stessi si riferiscano a beni
“autonomamente utilizzabili”), differente da quella propugnata,
attraverso analitiche e diffuse argomentazioni, dalla parte
ricorrente (vale a dire quella, conforme al testo della norma,
per cui non sarebbe richiesto il predetto requisito), limitandosi
a “giustificare” la propria scelta ermeneutica sulla base di
poche, apodittiche, asserzioni, senza cioè vagliare criticamente
e conferentemente le ragioni del contribuente, senza altresì far
constatare compiutamente e chiaramente le ragioni del proprio
convincimento, ovvero l’iter logico-giuridico seguito al fine di

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così l’eccezione, sollevata dalla contribuente appellata e

addivenire alla decisione medesima, facendo risultare soltanto il
senso meramente superficiale della decisione, e senza
giustapporre criticamente e congruamente i diversi, opposti
ordini di ragioni formulati dalle parti in causa”.
Il motivo è infondato, non essendo dato ravvisare l’error
in procedendo addebitato alla sentenza impugnata, nella quale si
è dato conto delle ragioni di adesione al rilievo dell’ufficio in
ordine alla non integrale deducibilità dei costi relativi ai beni
per essere nella specie detti beni privi di individualità ed
autonomia, per cui il costo relativo avrebbe dovuto essere
contabilizzato “ad incremento dei beni, acquistati e regolarmente
ammortizzati secondo i coefficienti previsti dalla legge”. Il
concetto di indeducibilità integrale del costo sostenuto per i
beni ammortizzabili di valore inferiore ad un milione, ha
osservato infatti il giudice d’appello, trae origine da gran
parte della dottrina, in base alla quale essi possono essere
integralmente ammortizzati a condizione che siano utilizzabili in
moro autonomo ed indipendente, laddove nell’ipotesi in cui la
loro utilizzazione sia collegata ad un bene principale, il costo
dovrà essere considerato congiuntamente al costo dello stesso.
Con il quarto motivo, denunciando la “illegittimità della
sentenza nella parte in cui, in riforma della decisione dei primi
giudici, ha confermatl la ripresa a tassazione relativa ai costi
1ft “.14per cespiti di valor/al milione di lire, per violazione e falsa
applicazione dell’art. 67, sesto comma, d.P.R. 22 dicembre 1986,
n. 917, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Illegittimità della ripresa a tassazione db qua in quanto priva
di fondamento giuridico”, assume che la norma in rubrica non
possa essere interpretata, anche in assenza di un’espressa
previsione, nel senso che, al fine della configurabilità della
facoltà di deduzione integrale, i costi debbano afferire a
cespiti che siano suscettibili di “autonoma utilizzabilità”, e
che sarebbe perciò illegittima la sentenza con la quale sia
considerata fondata la ripresa a tassazione avente ad oggetto
costi, come nella specie, afferenti a beni di valore non
superiore al milione di lire (e dedotti integralmente dal
contribuente nell’esercizio di sostenimento), sulla base della

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ammortizzabili di valore unitario inferiore al milione di lire,

considerazione che i cespiti non sarebbero “autonomamente
utilizzabili”.
Il motivo è fondato.
Questa Corte ha già affermato che “la lettera dell’art. 67,
comma 6, del d.P.R. n. 917 del 1986, ai sensi della quale “per i
beni il cui costo unitario non è superiore a L. 1.000.000 (ora
euro 516,46), è consentita la deduzione integrale delle spese di
acquisizione nell’esercizio in cui sono state sostenute”, e la
che appare intuitivamente individuabile nella

finalità di semplificare gli adempimenti dei contribuenti ed i
controlli degli Uffici in merito alla deduzione di spese di
piccolo importo, non autorizzano l’interpretazione restrittiva
propugnata dall’Agenzia. Inducono, invece, a ritenere
integralmente deducibili nell’esercizio in cui sono state
sostenute (e non assoggettate ad ammortamento pluriennale) le
spese di acquisizione di tutti i beni, di valore inferiore a
quello sopra indicato, dotati di specifica ed autonoma oggettiva
individualità, ancorché funzionalmente strumentali
all’utilizzazione di altro bene” (Cass. n. 14042 del 2011, in
motivazione).
La funzionale strumentalità all’utilizzazione di altro bene
che connoti beni, dotati di oggettiva individualità, il cui costo
unitario non sia superiore al milione di lire, non può dunque
costituire ostacolo alla deduzione integrale delle relativa spese
di acquisizione nell’esercizio in cui sono state sostenute.
Con il quinto motivo, denunciando nullità della sentenza
per difetto assoluto di motivazione, in relazione all’art. 360,
n. 4, cod. proc. civ., si duole che con riguardo alla
fattispecie, nella quale, essendo incontroverso l’assetto
fattuale caratterizzante l’operazione, sarebbe tuttavia
controversa la sua qualificazione come operazione di distacco del
personale (disciplinata dagli artt. 8, coma 35, della legge 11
marzo 1988, n. 67, e 11, comma 1 bis, d.lgs. 15 dicembre 1997, n.
446), si sarebbero ritenute applicabili le norme fiscali che
regolano tale ipotesi, semplicemente assumendo, senza nulla
argomentare in proposito, che l’assetto fattuale concreto sarebbe
qualificabile come distacco del personale, senza indicare criteri
ed elementi che in genere rileverebbero a tal fine, né quelli

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relativa ratio,

che, nel caso concreto, avrebbero condotto a qualificare nei
predetti termini l’operazione, vale a dire senza far constare le
ragioni del convincimento.
Il motivo è infondato, in quanto il giudice d’appello ha
motivato sul punto. Muovendo dalla premessa che per le
fattispecie di distacco o prestito di personale fra imprese
appartenenti allo stesso gruppo non ricorrono i presupposti per
l’applicazione dell’iva quando le somme pagate corrispondono
imponibile ai fini iva quando l’impresa beneficiaria corrisponda
un compenso che non eccede l’importo del costo riaddebitato, ha
ritenuto che nella specie emergesse che il riaddebito dei costi
centralizzati sostenuti dalla società capogruppo fosse stato
effettuato al costo effettivo senza alcun ricarico, e che in base
a tale considerazione, “l’operazione relativa al distacco di
personale possa e debba considerarsi un’operazione non
assoggettabile ad iva”.
Con il sesto motivo, denunciando la violazione e falsa
applicazione degli artt. 8, coma 35, della legge 11 marzo 1988,
n. 67, e 11, coma 1 bis, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, in
relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., censura la
sentenza per aver affermato la fondatezza di riprese a tassazione
aventi ad oggetto i costi per prestazioni di servizi riaddebitati
da una società controllante ad una sua controllata, e basate sul
presupposto che il riaddebito afferirebbe ad un’operazione di
distacco di personale (vale a dire ad un’operazione, ai sensi
delle norme in rubrica, irrilevante ai fini dell’iva, e
comportante costi indeducibili dalla base imponibile irap), nel
caso in cui, come nella specie, costituiscano dati incontestati
quelli per cui i detti costi afferiscono a complesse prestazioni
di servizi cui la controllante si è impegnata nei confronti della
controllata e che il personale impiegato non è stato attratto
nell’ambito organizzativo della controllata, rimanendo sotto il
controllo gerarchico della controllante.
Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
Con l’art. 8, coma 35, della legge 11 marzo 1988, n. 67,
il legislatore ha stabilito che “non sono da intendere rilevanti
agli effetti dell’IVA i prestiti o i distacchi di personale a

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esattamente al costo sostenuto, essendo l’operazione non

fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”.
Questa Corte (Cass. sezioni unite, 7 novembre 2011, n. 23021) ha
al riguardo rilevato come la dottrina, valutando attentamente la
nuova disposizione, avesse attribuito ad essa natura eccezionale,
in quanto faceva derivare l’irrilevanza della prestazione da una
circostanza che, di regola, non poteva spiegare alcun rilievo al
riguardo e, cioè, dallo ammontare della somma dovuta dal
distaccatario, che ove perfettamente uguale al costo del
effetti dell’IVA. “Proprio perché norma speciale, ha proseguito
inoltre la dottrina, l’art. 8, coma 35, della L. n. 67 del 1988
era destinato ad essere applicato soltanto al caso in esso
previsto senza nessuna possibilità di essere elevato a strumento
d’interpretazione generale anche perché, diversamente opinando,
avrebbe dovuto escludersi la sussistenza del presupposto
impositivo in qualunque altra ipotesi in cui il committente o il
cessionario si fosse limitato a rimborsare alla controparte i
soli costi da questa sopportati per la prestazione del servizio o
la produzione del bene. Anche l’Amministrazione finanziaria, con
le sue risoluzioni, è pervenuta alla medesima conclusione,
sottolineando che per restare fuori dal campo di applicazione
dell’IVA occorreva la duplice condizione che a) si trattasse di
un vero e proprio distacco di personale, ovverosia di un accordo
in forza del quale un soggetto, al fine di soddisfare un proprio
specifico interesse, metteva a disposizione di un altro delle
persone a lui legate da un rapporto di lavoro subordinato e che
b) il distaccatario riversasse al distaccante una somma
esattamente pari al costo retributivo e previdenziale dei
dipendenti utilizzati, dato che il riconoscimento di un
corrispettivo maggiore o minore avrebbe comportato
l’inapplicabilità dell’agevolazione, con conseguentemente
sottoposizione ad

na

dell’intero importo pattuito. La Corte di

cassazione ha condiviso tale impostazione, stabilendo con
sentenza n. 1788 del 1996 che indipendentemente dalla natura
interpretativa o innovativa della L. n. 67 del 1988, art. 8,
coma 35, restava comunque il fatto che il distacco o prestito di
personale non costituiva operazione imponibile fintanto che
l’impresa beneficiarla si fosse limitata a rifondere le sole

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personale, avrebbe comportato l’ininfluenza dell’operazione agli

retribuzioni nonché gli oneri fiscali e previdenziali e le altre
spese sostenute per i dipendenti”.
Il distacco o prestito di personale non costituisce quindi
operazione imponibile, “purché l’impresa beneficiaria corrisponda
il solo costo di tale utilizzazione, e cioè la retribuzione, gli
oneri fiscali e previdenziali, e le spese sostenute dai
dipendenti” (Cass. n. 1788 del 1996).
La norma in esame – ha quindi osservato Cass. sez. un., n.
al regime ordinario, prevedendo che il distacco di personale che,
come si è detto, integrerebbe in astratto una prestazione di
servizi soggetta all’IVA non può, in concreto, più essere
considerato tale nel caso in cui il beneficiario rimborsi al
concedente il solo costo del personale utilizzato. Tale rimborso
deve essere, però, esattamente uguale alle retribuzioni ed agli
altri oneri perché ciò che occorre ai fini della irrilevanza è,
come riconosciuto dalla dottrina e dall’Amministrazione
finanziaria, che si tratti di una operazione sostanzialmente
neutra, ovverosia di una vicenda che non comporti un guadagno per
il distaccante, ma nemmeno un risparmio per il distaccatario,
visto che, in caso contrario, non vi sarebbe ragione di riservare
ad esso un trattamento diverso dal normale… Va pertanto
confermato, come principio di diritto, che la L. n. 67 del 1988,
art. 8, comma 35, deve essere inteso nel senso che il distacco di
personale è irrilevante ai fini dell’IVA soltanto se la
controprestazione del distaccatario consista nel rimborso di una
somma esattamente pari alle retribuzioni ed agli altri oneri
previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante.
A tali principi, discendenti dal carattere di “eccezione al
regime ordinario” dell’iva della previsione in discorso, dovrà
quindi attenersi il giudice del rinvio nel nuovo esame, e
segnatamente alla ricorrenza nella specie di distacco o prestito
di personale, e non di ordinarie prestazioni di servizi, e alla
corrispondenza della somma riversata dal dístaccatario al costo
sostenuto dal distaccante, intendendo come componente di tale
costo la retribuzione del personale ed i relativi oneri
previdenziali e fiscali.

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23021 del 2011, cit. – ha effettivamente introdotto una eccezione

JAISE1
In conclusione, i primi tre motivi del ricorso ed il quinto

_

– N.5
AWERIATRIBUTARIA

devono essere rigettati, mentre deve essere accolto il quarto
motivo, cassata la sentenza e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con
raccoglimento del ricorso introduttivo della contribuente, e
deve essere accolto il sesto motivo, la sentenza deve essere
cassata in relazione ad esso e la causa rinviata, anche per le
spese, ad altra sezione della Commissione tributaria della
P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto ed il sesto motivo del ricorso
e rigetta il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo,
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi come accolti
e, in ordine al quarto motivo, decidendo nel merito accoglie il
ricorso introduttivo della contribuente, mentre in ordine al
sesto motivo rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della
Commissione tributaria regionale della Lombardia.
Così deciso in Roma il 30 novembre 2012.

Lombardia, che si atterrà ai principi enunciati.

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