Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23996 del 03/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 03/10/2018, (ud. 20/04/2018, dep. 03/10/2018), n.23996

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28362/2011 R.G. proposto da:

Como Srl quale incorporante della Sogesta Srl e Misano Immobiliare

Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Lombardi, presso il

quale è domiciliata in Isernia, via Umbria (Centro Commerciale),

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 317/14/11, depositata il 4 maggio 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 aprile 2018

dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Mastroberardino Paola, che ha concluso perchè il ricorso

sia dichiarato inammissibile.

Udito l’Avv. Marco Lombardi per il contribuente che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. Bruno Dettori per l’Agenzia delle entrate che insiste

per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate contestava alla Como Srl, incorporante di Sogesta Srl e Misano Immobiliare Srl, per l’anno 2003, un maggior reddito imponibile per Euro 30.800.000,00, maggiore Irpeg per Euro 10.472.000,00, ed Iva per Euro 4.760.000,00, avendo la Sogesta Srl annotato la fattura n. 29 del 2002 di Euro 23.800.000,00, oltre Iva, ricevuta dalla ICC per indagini tecniche, assistenza tecnico-amministrativa ed opere di manutenzione e ristrutturazione su svariati immobili, relativa ad operazioni oggettivamente inesistenti, nonchè la contabilizzazione di una passività di Euro 7.000.000,00 quale finanziamento infruttifero dei soci non documentato; per l’anno 2004, recuperava a tassazione il reddito complessivo di Euro 28.801.280,00 per ricavi non dichiarati, sopravvenienze attive non contabilizzate, per rettifica del valore delle rimanenze e recupero in ragione della differenza tra rimanenze finali dichiarate ed accertate. Como Srl impugnava gli avvisi di accertamento deducendo la duplicazione dell’imposizione ai fini Irpeg ed Irap della fattura n. (OMISSIS) per il 2003 e il 2004, la veridicità della stessa e l’effettività della sopravvenienza passiva e, in ogni caso, l’infondatezza dei rilievi. L’Agenzia delle entrate riconosceva la fondatezza della contestata duplicazione e, in via di autotutela, annullava parzialmente l’avviso di accertamento per l’anno 2003 limitatamente al recupero Irpef dell’indebita deduzione di costi per Euro 23.800.000,00. L’impugnazione, accolta dalla Commissione tributaria provinciale di Roma, era respinta dal giudice d’appello.

La contribuente ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso. Il contribuente deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, per non aver la CTR valutato le dichiarazioni di terzi e la sentenza penale di assoluzione con riguardo alla inesistente fatturazione.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Va premesso che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, “in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario” (v. Cass. n. 16262 del 28/06/2017).

Orbene, nella specie la sentenza penale di assoluzione invocata non era neppure irrevocabile, sicchè, a maggior ragione, l’esame del giudice – operato con l’autonomia e nei termini consentiti per il giudizio tributario – poteva avere ad oggetto il solo materiale probatorio acquisito nel giudizio penale ed introdotto nel processo tributario, quali, ad esempio, le consulenze espletate o le dichiarazioni rese da terzi.

Rispetto a queste, peraltro, il ricorso è del tutto carente per autosufficienza: il ricorrente, infatti, si è limitato ad assumere di aver legittimamente prodotto le suddette dichiarazioni, ma ha omesso, ex art. 366 c.p.c., n. 6, la specifica indicazione delle stesse (l’elenco a pag. 2 del ricorso indica solo la sentenza penale di assoluzione), nonchè dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito; nè il ricorrente ha riprodotto – se non per un limitato ed assolutamente generico frammento (“aver lavorato alla ristrutturazione dei palazzi di (OMISSIS), etc…”) – il contenuto delle stesse che sorregge la censura (Cass. n. 23575 del 18/11/2015).

La censura, in ogni caso, è carente di decisività quanto ai fatti oggetto della prova neppure essendo contestate le risultanze del pvc poste a fondamento della decisione della CTR: è infatti necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze su cui il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (v. Cass. n. 24092 del 24/10/2013).

2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia; in particolare: (a) per aver la CTR affermato l’insufficienza motivazionale della sentenza di primo grado senza esplicitarne le ragioni, non valutando le doglianze dell’appellante Ufficio e le controdeduzioni del contribuente sulla contabilizzazione della passività per prestito infruttifero ai soci e alla detraibilità dell’Iva; (b) per aver la CTR descritto in modo errato il contenuto degli avvisi di accertamento ed omesso di valutare la natura e fondatezza della ricostruzione delle rimanenze iniziali e finali, giungendo a condividere acriticamente e immotivatamente le conclusioni dell’Ufficio.

Nell’articolazione del motivo evidenzia altresì di aver proposto ricorso per revocazione per errore di fatto quanto all’importo di Euro 11.702.882,00 derivante dalla rettifica delle rimanenze iniziali del 2004, sottratto a tassazione.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Preliminarmente va rilevato che la dedotta proposizione di ricorso per revocazione non si è accompagnata ad alcuna deduzione od allegazione in ordine allo stato del giudizio e, in particolare, sulla attuale pendenza, presso la Corte di cassazione, di una corrispondente impugnazione.

Ricerche attraverso i registri informatizzati di cancelleria hanno poi pienamente confermato tale risultato, nel senso che non risulta mai presentato alcun ricorso per cassazione che abbia ad oggetto la vicenda in questione, ossia la domanda di revocazione avverso la sentenza della CTR di cui al presente giudizio.

Nessun chiarimento in tal senso, infine, è stato dedotto neppure con la memoria ex art. 378 c.p.c.

Ne deriva l’irrilevanza della questione ai fini del presente giudizio. 2.3. Con riguardo ai diversi profili dedotti con il motivo va rilevato che:

2.3.1. In ordine all’asserita mancanza delle ragioni per cui la CTR ha ritenuto l’insufficienza motivazionale della sentenza di primo grado, la censura esula dal vizio dedotto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 che deve, pur sempre, attenere ad un fatto storico e normativo, mentre con il mezzo si censurano le valutazioni in diritto effettuate dal giudice d’appello.

La censura, in ogni caso, è carente di interesse: il giudice d’appello, infatti, dopo aver affermato l’erroneità della sentenza di primo grado “in quanto dettata da una inesatta interpretazione dei fatti di causa”, ha proceduto, in autonomia, ad una sintetica ricostruzione dei passaggi fondamentali della vicenda a partire dal processo verbale di constatazione a carico della Sogesta, operando, dunque, una nuova valutazione dei fatti in giudizio.

Ne deriva che la doglianza avrebbe dovuto essere rivolta, in ipotesi, direttamente contro la motivazione della sentenza d’appello (e alla sua eventuale congruità o insufficienza quali vizi propri) e non rispetto alla valutazione da essa operata sull’erroneità della prima decisione.

2.3.2. Quanto all’omessa valutazione delle doglianze asseritamente proposte dalle parti, la censura è inammissibile in quanto formulata in termini del tutto generici, neppure essendo precisato quali siano stati i motivi e le censure riproposti dal contribuente.

2.3.3. Quanto all’ultimo rilievo – ferma l’inammissibilità per difetto di autosufficienza della contestata errata valutazione del contenuto dell’avviso di accertamento, essendo necessario, in tale evenienza, “che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso” (Cass. n. 16147 del 28/06/2017) – è evidente che proprio l’autonoma ricostruzione della vicenda nei suoi passaggi fondamentali operata dalla CTR costituisce chiaro indice di una ragionata condivisione della soluzione offerta dall’ufficio, mentre, per contro, anche tale doglianza è inammissibilmente lacunosa, restando del tutto generiche le dichiarate controdeduzioni di cui la CTR non si sarebbe fatta carico, nonchè le asserite prove, delle quali è omessa ogni specifica indicazione.

3. Il ricorso va pertanto rigettato per inammissibilità dei motivi.

4. S’impone, peraltro, il rinvio alla competente CTR in diversa composizione ai fini dell’applicazione dello ius superveniens invocato dalla contribuente.

Con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, quali configurabili nel caso di specie, e limitatamente alle imposte sui redditi, infatti, il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, conv. nella L. n. 44 del 2012 ha stabilito, con portata retroattiva giusta il disposto del comma 3 della norma, che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese (Cass. n. 27040 del 19/12/2014; Cass. n. 7896 del 20/04/2016).

In tal caso, dunque, fermo l’onere a carico del contribuente di provare che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti fittizi, siano anch’essi fittizi, detti componenti positivi vanno esclusi dalla base imponibile, fatta salva l’applicazione di una sanzione amministrativa.

In sede di rinvio il giudice regolerà anche le spese.

P.Q.M.

La Corte decidendo sul ricorso cassa la sentenza impugnata nei limiti indicati in motivazione e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2018

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