Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23994 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/10/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 29/10/2020), n.23994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15422/2013 R.G. proposto da:

B.D., B.L., B.A., B.F.,

B.G. e B.P., tutti rappresentati e difesi dall’Avv.

Giuseppe Sirgiovanni, con domicilio eletto in Roma, via A. Bafile,

n. 2, presso lo stesso avvocato;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 33/01/13 depositata il 21 gennaio 2013;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 giugno

2020 dal Consigliere Nicastro Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate notificò a B.D., B.L., B.A., B.F., B.G. e B.P., comproprietari di un terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria, sei avvisi di accertamento, con i quali accertò – nei confronti di ognuno di tali contribuenti, in relazione alla loro quota della comunione (pari a un sesto ciascuno) – la realizzazione, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, comma 1, lett. b), di una plusvalenza, non dichiarata, mediante la cessione a titolo oneroso, con atto del 22 dicembre 2005, del predetto terreno;

l’Agenzia delle entrate determinò la plusvalenza come differenza tra il corrispettivo della cessione di Euro 1.200.000,00 (corrispondenti a Euro 200.000,00 per ciascun contribuente) e il prezzo di acquisto del terreno – che i contribuenti avevano acquistato per effetto delle due successioni di B.W. e di B.T. – costituito dal valore dichiarato nelle relative denunce (corrispondente a Euro 17.418,00 per ciascun contribuente);

gli avvisi di accertamento furono impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale di Roma che, con distinte sentenze, rigettò i ricorsi dei contribuenti;

avverso tali pronunce, B.D., B.L., B.A., B.F., B.G. e B.P., con ricorso collettivo, proposero appello alla Commissione tributaria regionale del Lazio (hinc anche: “CTR”), che lo rigettò;

in via preliminare, la CTR disattese l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dall’Agenzia delle entrate sull’assunto che “l’unico motivo di censura è costituito da una domanda nuova ossia la determinazione del valore di acquisto del terreno” (così la sentenza impugnata), affermando, in proposito: “al di là dell’eccezione di inammissibilità formulata dall’Ufficio appellato D.Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 57, anche in considerazione delle deduzioni di parte sul punto e contenute nella memoria di replica”;

nel merito, la CTR motivò che “la stessa doglianza, secondo cui il valore ceduto al Comune, inteso come costo da aggiungere al valore iniziale, neutralizzerebbe la plusvalenza, non può essere accolta poichè il terreno, nella sua interezza, aveva natura edificatoria (cfr. Denunce di successione) ancor prima del 2005, anno della Convenzione con il Comune, e non è provato nè in che misura e nè se effettivamente il valore di vendita sia stato determinato dalla sopportazione di un “costo”, rectius cessione gratuita di una parte del terreno stesso, per ottenere l’edificabilità della residua parte. Nè invero può assurgere ad adeguata prova sul punto, la perizia di parte che in effetti si basa su astratte formulazioni di costi non verificabili in concreto e che inoltre giunge a determinare un valore finale confliggente con quello dichiarato nell’atto pubblico”;

avverso tale sentenza della CTR – depositata il 21 gennaio 2013 ricorrono per cassazione B.D., B.L., B.A., B.F., B.G. e B.P., che affidano il proprio ricorso, notificato l’11/12-17 giugno 2013, a tre motivi;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, notificato il 22 luglio 2013. Con lo stesso atto, l’Agenzia delle entrate ha altresì proposto ricorso incidentale, affidato a un unico motivo;

B.D., B.L., B.A., B.F., B.G. e B.P. hanno depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), la “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4) e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4)”, l'”inesistente e/o omessa e/o contraddittoria motivazione circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (erroneo calcolo della plusvalenza)” e la “nullità della sentenza d’appello”, in quanto, premesso che, fin dal primo grado di giudizio, avevano lamentato che l’Agenzia delle entrate, nel determinare la plusvalenza, non aveva tenuto conto del fatto che “(a)l valore da sottrarre al prezzo finale andava aggiunta una componente rilevante e costituita da quanto ceduto al Comune che era servito per conferire il valore poi incassato come prezzo in sede di compravendita”: a) da un lato, le affermazioni della CTR che “il terreno, nella sua interezza, aveva natura edificatoria (cfr. Denunce di successione) ancor prima del 2005, anno della Convenzione con il Comune” e che “non è provato nè in che misura e nè se effettivamente il valore di vendita sia stato determinato dalla sopportazione di un “costo”, rectius cessione gratuita di una parte del terreno stesso, per ottenere l’edificabilità della residua parte” “contrasta(no) con le risultanze documentali in atti dalle quali diversamente emerge che si deve alla convenzione col Comune di Roma la effettiva destinazione urbanistica che ha sostenuto e legittimato la richiesta economica del prezzo pattuito in sede di trasferimento” (secondo gli stessi ricorrenti, alla luce delle suddette “risultanze documentali”, “innanzitutto non è vero che il terreno aveva destinazione urbanistica edificatoria sic et simpliciter sin da prima della vendita, e poi non è vero nemmeno che la cessione gratuita al Comune non avesse inciso favorevolmente sulla destinazione edificatoria e sugli indici di edificabilità (in) concreto praticabili in loco, e ciò che venne ottenuto in cambio della cessione gratuita al Comune costituisce la vera utilità che fruttò il prezzo incamerato dai contribuenti in sede di cessione, e che pertanto doveva considerarsi come costo costitutivo del valore iniziale ai fini del calcolo della plusvalenza essendo tale costo (ossia il valore dei beni donati al Comune) direttamente finalizzato a valorizzare il bene ceduto al prezzo in parola”); b) dall’altro lato, l’affermazione della stessa CTR secondo cui “(n)è invero può assurgere ad adeguata prova sul punto, la perizia di parte che in effetti si basa su astratte formulazioni di costi non verificabili in concreto e che inoltre giunge a determinare un valore finale confliggente con quello dichiarato nell’atto pubblico” è “contraddittoria e insufficientemente motivata”, atteso che “fila perizia giurata non era affatto di contenuti astratti o non verificabili, ma era costituita da elementi concreti e verificabili, se del caso attraverso una CTU disposta dalla stessa Commissione”;

con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 68, per avere la CTR disconosciuto che nella nozione di “ogni altro costo inerente” – che, ai sensi di tale art. 68, va ad aumentare il prezzo di acquisto dei terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria – è compreso anche “il valore da attribuirsi ad una parte consistente del terreno ceduta gratuitamente al Comune per coprire i costi di urbanizzazione e (…) consentire così indici di edificabilità e destinazione tali da valere un certo prezzo (della parte restante) poi incamerato da parte dei cedenti”;

con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, per avere la CTR, sempre con riguardo al costo costituito dalla cessione a titolo gratuito al Comune di Roma delle aree a destinazione pubblica: a) ritenuto “ingiustamente irrilevante” la propria perizia di parte, atteso che il fatto – sottolineato dalla sentenza impugnata – che la stessa “giunge a determinare un valore finale confliggente con quello dichiarato nell’atto pubblico”, “non poteva giustificare la pretermissione della perizia giurata e la mancata valutazione al costo sopportato dai contribuenti quale valore iniziale”; b) omesso di “dispo(rre) alcuna misura istruttoria che pur poteva adottare nell’esercizio dei propri poteri” a norma dell’invocato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7;

con l’unico motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, per avere la CTR disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello, sollevata dalla stessa Agenzia delle entrate in sede di costituzione nel relativo giudizio, nonostante tale impugnazione si fondasse su un’unica doglianza – riguardante la mancata aggiunta al valore “iniziale” del terreno del costo inerente costituito dalle spese per le opere di urbanizzazione e dal valore delle aree a destinazione pubblica cedute a titolo gratuito al Comune di Roma – che non era stata prospettata nei ricorsi introduttivi e che costituiva, perciò, un’inammissibile domanda nuova;

in ordine logico, deve essere anzitutto esaminato quest’ultimo unico motivo del ricorso incidentale;

tale motivo è fondato;

il processo tributario ha un oggetto che è rigidamente delimitato per quanto qui rileva – dalle contestazioni comprese nei motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo prospettati nel ricorso introduttivo (D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 24), i quali costituiscono la causa petendi dell’auspicato annullamento del medesimo atto (Cass., 24/06/2011, n. 13934);

questa Corte ha conseguentemente affermato che, nel giudizio tributario di appello, si ha domanda nuova, come tale improponibile a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, quando il contribuente, nel ricorso in appello, “introduce, al fine di ottenere l’eliminazione – o la riduzione delle conseguenze – dell’atto impugnato, una “causa petendi” diversa, fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, sicchè risulti inserito nel processo un nuovo tema d’indagine” (Cass., 30/07/2007, n. 16829);

nella specie, dalla lettura dei motivi prospettati in primo grado (integralmente trascritti dall’Agenzia delle entrate, in ossequio al principio di autosufficienza, nel ricorso incidentale), emerge che i contribuenti, impugnando gli avvisi di accertamento, contestarono unicamente che, nella determinazione della plusvalenza, l’Agenzia delle entrate aveva fatto riferimento “a due valori diversi e non equipollenti” (in particolare, per quello “finale”, “al valore commerciale dell’immobile avente catastalmente destinazione urbanistica, in esito alla Convenzione notarile del 13 dicembre 2005”, per quello “iniziale”, “al valore originario catastale, ancorchè rivalutato avente destinazione diversa non residenziale”), affermando la necessità di utilizzare un diverso criterio di determinazione della plusvalenza che, tenendo conto del fatto che, con la suddetta “convenzione”, “i proprietari avevano rinunciato a favore del Comune di Roma alla maggior parte dell’ampiezza delle aree di loro proprietà, conseguendo, in corrispettivo, la variazione catastale della nuova destinazione urbanistica (…) e quindi il diritto ad edificare l’area rimasta in loro proprietà” – “(t)alchè l’appezzamento di terreno compravenduto ha acquistato, come area residenziale, un diverso valore commerciale” accertasse “il valore iniziale commerciale dell’appezzamento di terreno avente nell’anno 2005, destinazione residenziale” (dal che anche la richiesta di “acquisizione di un accertamento tecnico peritale sul valore dell’appezzamento a destinazione residenziale con riferimento all’anno 2005”);

risulta pertanto evidente che, in primo grado, i contribuenti avevano contestato la determinazione della plusvalenza, da parte dell’Agenzia delle entrate, unicamente perchè questa aveva fatto riferimento “a due valori diversi e non equipollenti” e non aveva “accerta(to) il valore iniziale commerciale dell’appezzamento di terreno avente nell’anno 2005, destinazione residenziale” e non anche per la mancata aggiunta al valore “iniziale” del terreno del costo costituito dalle spese per le opere di urbanizzazione e dal valore delle aree a destinazione pubblica cedute a titolo gratuito al Comune di Roma;

nei motivi formulati in primo grado, il riferimento a quest’ultima cessione risulta in effetti operato – come si è visto – esclusivamente nella prospettiva che, poichè il terreno, in conseguenza di essa, avrebbe acquisito destinazione urbanistica residenziale, l’Agenzia delle entrate “avrebbe dovuto accertare il valore iniziale commerciale dell’appezzamento di terreno avente nell’anno 2005, (detta) destinazione” e non per sostenere che la stessa cessione a titolo gratuito aveva generato un costo inerente, costituito dal valore delle aree cedute, che l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto aggiungere al valore “iniziale” del terreno compravenduto;

dalla sentenza impugnata risulta che, nel ricorso in appello, i contribuenti prospettarono proprio – ed esclusivamente – quest’ultima contestazione (“non aver tenuto conto, i primi giudici, ai fini della determinazione del valore iniziale del terreno edificabile trasferito, sia dei costi di urbanizzazione sostenuti, sia del valore delle aree cedute gratuitamente al Comune con la Convenzione del 3/11/2005”);

tale contestazione introduce una nuova causa petendi, non compresa nella domanda originaria, essendo fondata su una situazione giuridica diversa da quella prospettata con gli atti introduttivi l’esistenza dei suddetti costi inerenti, che si vorrebbero aggiunti al valore “iniziale” del terreno compravenduto, in luogo dell’asserita necessità di assumere, quale valore “iniziale”, “il valore (…) commerciale dell’appezzamento di terreno avente nell’anno 2005, destinazione residenziale” – la quale ha comportato l’inserimento nel processo di nuovi temi d’indagine, sia in diritto (in ordine alla portata della nozione di “ogni altro costo inerente”), sia in fatto (circa il se il corrispettivo della cessione del terreno sia stato effettivamente “determinato dalla sopportazione di un “costo”, rectius cessione gratuita di una parte del terreno stesso, per ottenere l’edificabilità della residua parte” nonchè in ordine all’entità dello stesso costo), così alterando l’oggetto sostanziale dell’azione;

pertanto, erroneamente la sentenza impugnata non ha rilevato l’improponibilità del motivo, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, e – trattandosi, come si è visto, dell’unico motivo di appello – non ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione;

in accoglimento dell’unico motivo del ricorso incidentale, la stessa sentenza deve, perciò, essere cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3;

l’accoglimento del ricorso incidentale comporta l’assorbimento dei motivi del ricorso principale;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e sono liquidate come indicato in dispositivo;

le spese del giudizio di appello vengono compensate.

P.Q.M.

accoglie il ricorso incidentale; dichiara assorbiti i motivi del ricorso principale; cassa senza rinvio la sentenza impugnata; compensa le spese del giudizio di appello; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

 

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